DATE DI NASCITA Incontro con Francesco Orlando a cura di Francesca Borrelli Francesco Orlando (Palermo 1934) ha pubblicato molti libri importanti per la nostra critica letteraria: Ricordo di Lampedusa (All'Insegna del Pesce d'Oro 1963); Infanzia, memoria e storia da Rousseau ai romantici (Liviana 1966); Le costanti e le varianti (IlMulino 1983). Sua opera maggiore il ciclo freudiano pubblicato da Einaudi. Nella sua casa di Pisa, nella cui università insegna, Francesco Orlando ha sistemato la scrivania tra la luce di due.finestre che inquadrano il Lungarno granducale: di fronte, il riflesso dell'acqua nel sole proietta nella stanza mobili bagliori, di fianco la prospettiva si allunga sul fiume che curva a sinistra e offre illusioni di fuga allo sguardo adagiato sul suo corso. Per molti anni questa vista splendida ha riscattato l' immobilità necessaria alla lettura, alla concentrazione, all'indagine testuale che non si accontenta di gratificazioni a portata di mano. Un tragitto senza termine visibile si andava consumando in quella stanza, un itinerario nei secoli al suono di lingue diverse, un andare per immagini come solo la letteratura sa offrire. A chi la frequenti con intenti estranei al puro intrattenimento, il nome di Francesco Orlando evoca letture dove l'analisi dei testi e il metodo psicoanalitico hanno trovato un terreno di incontro singolarmente felice. Freud, Marx, de Saussure: tra le coordinate di questa triade si svolge da anni l'investigazione letteraria di Orlando, il comune tessuto interpretativo di un ciclo di studi che lo hanno portato a pubblicare, tra gli altri libri, Due letture freudiane: Fedra e il Misantropo, Per una teoria freudiana della letteratura, Illuminismo e retorica freudiana. Poi un silenzio di più di dieci anni, fino all'uscita recentissima dell'ultimo grande saggio, pubblicato da Einaudi - come già gli altri libri citati - con il titolo Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura. Parte da questa uscita la motivazione del nostro incontro, dalla curiosità che si muoveva intorno a questo studio monumentale almeno da qualche anno: perché si sapeva della mole immane del materiale schedato, del travaglio che accompagnava una scrittura impietosa dei suoi primi esiti, tanto straordinariamente felice nell'approdo quanto faticosamente lavorata affinché si liberasse dei suoi passaggi più impervi, senza sacrificare nulla alla complessità delle sue ragioni. Per non dire di quelle immagini così singolari, così poco frequentate che si andavano annunciando già dal titolo: rappresentazioni di oggetti inutili, privati della loro originaria funzionalità, invecchiati, apparentemente superflui. La letteratura sembra prediligerli, corteggiarli, inventariarli in elenchi cui affida le dilazioni della trama. Ma perché? Perché a essi è delegata la contraddizione di un imperativ.o funzionale, dice Orlando nel suo libro; o, per tornare a postulati cari anche ai suoi studi precedenti, perché la letteratura è "sede immaginaria di un ritorno del represso ... apertamente o segretamente concessiva, indulgente, parziale, solidale o complice verso tutto quanto incontra distanza, diffidenza, ripugnanza, rifiuto o condanna fuori dalle sue finzioni". Dunque, in queste immagini di oggetti desueti che popolano di esempi il libro di Orlando "è come se il ritorno del represso, altrove immateriale, si fosse incarnato e incorporato nelle cose". Tanto più risoluta appare l'intenzione trasgressiva dell'ordinamento razionale di cui è interprete la letteratura, se si osserva come le immagini di oggetti privati di funzionalità conoscano uno smisurato incremento tra il tardo '700 e i primi dell'800: vale a dire, in coincidenza con la rivoluzione industriale inglese e la rivoluzione politica frances~. Nel momento di massima apoteosi sociale della merce, la letteratura risponde esibendo la sua preferenza per inutile.ciarpame, pòpola le sue immagini di splendide digressioni riservate all'antimerce. Circa seicento testi, dei quasi mille schedati, si riversano nelle pagine di Orlando: ci sono voluti poco meno di trent'anni per raccoglierli; poi, finalmente, la loro organizzazione in scrittura. Riandiamo con l'autore alla lunga fase che ha occupato la gestazione dell'idea che governa il suo ultimo libro. Cosa restava, durante i tempi lunghi che hanno occupato la stesura del suo lavoro più recente, dei postulati iniziali delle sue ricerche? Quel che restava erano i tre grandi punti di riferimento ideologico e metodologico che già avevano informato i miei libri precedenti: un aggancio storico-politico sotto il segno di Marx, un referente semiotico-linguistico sotto il segno dello strutturalismo e, dunque, alcuni spunti freudiani che costituivano l'essenziale del discorso. Per esempio, il modello che fa capo al ritorno del rimosso- che io facevo diventare il ritorno del represso appunto per poterlo riempire di contenuti non necessariamente inconsci, non specificamente individuali, ma addirittura storici - sembrava permettermi la lettura potenziale di tutti i testi possibili. Prendiamo un'opera comica: il momento repressivo è costituito dalla presa di distanza dall'oggetto comico, col quale non ci si identifica minimamente a un livello cosciente; tuttavia, una oscura, inconscia simpatia può passare al di sotto del riso e al tempo stesso potenziarlo. lo rido di quel personaggio perché non sono io, anzi, coscientemente mi ripugna; e tuttavia ne godo anche perché, in fondo, una parte di me si identifica in lui, vorrebbe essergli simile. Al polo opposto, un esempio massimale di identificazione con il represso potrebbe essere costituito dalla cosiddetta letteratura impegnata, nella quale, ugualmente, si fanno valere ideali ancora da affermare: anch'essi devono avere la meglio contro una loro possibile repressione. Nel mio primo studio avevo preso in considerazione una ipotesi intermedia, dove i valori repressi non sono né inconsci, come nel caso della commedia, né perfettamente coscienti e ideologici come nel caso della letteratura impegnata: parlo della Fedra di Racine, cioè di un personaggio lacerato tra il proprio senso del diritto e del dovere e una passione devastatrice, che si afferma al di sotto del suo super-io morale, ed è di questo più forte. La possibilità che questo modello aveva di inserirmi nel cuore della ricchissima retorica freudiana e, allo stesso tempo, l'aria neanche troppo vagamente politica che assumeva questa rivendicazione del represso, si univano alla componente strutturalista che suggeriva una razionalizzazione semiologica tale per cui l'opera diventava simile a un campo di forze: una specie di diagramma configurabile sulla carta sotto forma di grafici visivi. Così, la collaborazione simultanea di tutti questi elementi concorreva a motivare la fiducia nelle possibilità della razionalità umana di fare indietreggiare le frontiere di ciò che tanto spesso appare come l'ineffabile, ossia il trionfo dell'irrazionale. Sono tuttora convinto che questa direzione di lavoro può portare al dominio dell'analisi_molti elementi eh~ prima sarebbero sembrati eternamente esclusi; e non a pr~zzo di schematismi o forzature, ma osservando un profondo nspetto dell'oggetto testuale. Dall'epoca del mio primo ciclo di libri è pa~~ato~olt<;>teml?o. Sono arrivati gli anni 80, con la loro caduta di ideah e di utopie; le verità che si rivelavano erano scoraggianti. Per restare a!l'_ambito dei miei studi, direi che rispetto a una precedente ambizione interpretativa, e dunque conoscitiva dei testi, si affermav~o allora in Italia due tendenze apparentemente oppost~ e t~ttavia_ix:rfettamente complementari: da una pa~e, q_ueltipo di pessirrusmo rivolto alla interpretazione e alla raz10nahzzaz10n~del_fenomeno letterario che consiste nel dire che essa non solo è mutile, ma non è nemmeno desiderabile; perché una interpretazione vale !'altra, perché non esiste alcun nucleo duro di consistenza oggettiva del 69
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