IN UNA SOCIETÀ DI PADRONI E DI SCHIAVI Discorso di acceHazione del Jerusalem Prize ( 198 7) J.M. Coetzee L'assegnazione di questo premio mi mette di fronte ad un paradosso e ad una difficoltà: come può accadere che una persona come me, che non solo è nata ma continua a vivere in un paese notoriamente non libero, riceva un premio per la libertà? In una società di padroni e schiavi, nessuno è libero. Lo schiavo non è libero, perché non è padrone di se stesso; il padrone non è libero perché non può fare a meno dello schiavo. Per secoli il Sud Africa è stato una società di padroni e servi; ora è una terra in cui i servi sono in aperta ribellione e i padroni sono in scompiglio. I padroni, in Sud Africa, formano una casta ereditaria chiusa. Chiunque nasce con la pelle bianca nasce nella casta. Dato che non c'è modo di sfuggire alla pelle con cui si nasce (può forse il leopardo cambiare le sue chiazze?), non si può abbandonare la casta. Si può immaginare di farlo, si può mimare un abbandono simbolico ma, a meno che non ci si scrolli la polvere del proprio paese di dosso, non c'è modo di farlo veramente. Come vivono oggi la mancanza di libertà i padroni in Sud Africa? Non mi dilungherò a parlare di sonni inquieti, di fantasie di disastro, del ritorno del rimosso sotto forma di incubo. Non intendo farlo poiché in questo momento della storia, e soprattutto in Israele, con l'ombra dell'Olocausto alle spalle, la gente sa che esiste un tipo banale di male che non ha coscienza, non ha imm~inazione, e probabilmente non ha sogni, che mangia bene e dorme bene e sta in pace con se stesso. 60 Vorrei dire qualcosa invece, molto brevemente, sulla mancanza di libertà della casta dei padroni così come viene vissuta nella vita sociale, da svegli. All'inizio degli anni Cinquanta, gli anni eccitanti in cui ancora si costruiva la grande città dell'apartheid, fu approvata una legge che definiva reato i rapporti sessuali tra padroni e schiavi. Questa era l'esempio più palese di una lunga sequenza di leggi che regolavano tutte le fasi della vita sociale, il cui intento era quello di impedire ogni forma di rapporti orizzontali tra bianchi e neri. L'unico rapporto permesso doveva quindi essere quello verticale, cioè quello che consisteva nel dare e ricevere ordini. Qual era il significato di questa legge profondamente simbolica? Le sue origini, secondo me, risalgono alla paura e alla negazione: la negazione di un desiderio inaccettabile di abbracciare l'Africa, di abbracciare il corpo dell'Africa; e la paura di essere ricambiati con un abbraccio da parte dell'Africa. Lo statuto che proibiva l'amore tra le razze è stato revocato recentemente con un'altra mossa profondamente simbolica, quasi come per segnalare che il giorno della resa dei conti profetizzato da Alan Paton quaranta anni fa è arrivato. "Sento una grande paura nel cuore", afferma uno dei personaggi neri di Paton, "che un giorno, quando loro cominceranno ad amare, noi ci troveremo ad odiare". Al centro della mancanza di libertà dei padroni ereditari del Sud Africa c'è un'insufficienza d'amore. Per dirla in maniera più diretta: il loro amore non è abbastanza oggi e non è stato abbastanza sin dal loro arrivo nel continente; inoltre, il loro parlare, le loro chiacchiere eccessive, su quanto amano il Sud Africa sono state costantemente dirette verso la terra, cioè, verso qualcosa che non ha nessuna probabilità di corrispondere il loro amore: le montagne e i deserti, gli uccelli, gli animali e i fiori. Se non si riesce a vedere l'importanza di questo parlare d'amore, si può sostituire la parola amore con la parolafratellanza. La dissimulata mancanza di libertà del bianco in Sud Africa si è sempre fatta sentire più acutamente quando, scendendo un momento dal suo trono solitario, cedendo a un desiderio del tutto umano e comprensibile di fratellanza con le persone con le quali vive, ha scoperto con uno shock che la fratellanza da sola non si può avere, non importa quanto irresistibilmente sia sentita da entrambe le parti. Ineluttabilmente la fratellanza arriva insieme alla libertà e all'eguaglianza. Il desiderio vano e essenzialmente sentimentale che si esprime oggi nel movimento di riforma in Sud Africa è il desiderio di avere la fratellanza senza doverla pagare. Qual è il prezzo da pagare? Il prezzo più basso è la distruzione delle strutture innaturali di potere che definiscono lo stato del Sud Africa. C'è molto da dire su queste strutture di potere. lo mi limiterò a una sola osservazione. I rapporti deformati e tarpati tra esseri umani che furono creati sotto il colonialismo e esacerbati sotto quello che è chiamato generalmente apartheid hanno la loro rappresentazione psichica in una vita interiore deforme e tarpata. Tutte le espressioni di questa vita interiore, a prescindere da quanto sia intensa, o se sia toccata dall 'esaltazione o dalla disperazione, soffrono delle stesse tarpature e deformità. Faccio questa osservazione con la dovuta considerazione e nella piena consapevolezza che si riferisce a me e alle mie opere così come a chiunque altro. La letteratura sudafricana è una letteratura in servaggio, come si vede perfino nei suoi momenti più alti, pervasi come sono dai sentimenti che si provano quando si è senza casa e quando si desidera una liberazione senza nome. È una letteratura non del tutto umana, esageratamente preoccupata del potere e dei capovolgimenti del potere, incapace di allontanarsi dai rapporti elementari di contestazione, dominio e assoggettamento per raggiungere il mondo umano vasto e complesso che si trova al di là. È esattamente il tipo di letteratura che ci si potrebbe aspettare che la gente scrivesse dal carcere. E non parlo solo del gulag sudafricano. Come ci si potrebbe aspettare da un paese così vasto fisicamente, esiste una letteratura sudafricana della vastità. Eppure perfino questa letteratura della vastità, esaminata da vicino, riflette sentimenti di intrappolamento, intrappolamento nelle infinità. Due anni fa, Milan Kundera è salito su questo podio, qui a Gerusalemme, per rendere omaggio al primo di tutti i romanzieri, Miguel Cervantes, sulle cui spalle di gigante noi scrittori pigmei di un'epoca successiva poggiamo. Come vorrei potermi unire a lui in quel tributo, io e molti altri miei colleghi scrittori sudafricani! Come vorremmo lasciare un mondo di attaccamenti patologici e forze astratte, di rabbia e violenza, e stabilirci in un mondo dove è possibile un gioco vivo di sentimenti e idee, un mondo in cui noi abbiamo veramente una professione. Ma come potremmo allontanarci dal nostro mondo di fantasmi violenti per un mondo reale? Questo è un problema che il Don Chisciotte di Cervantes risolve abbastanza facilmente. Si lascia alle spalle La Mancha calda, polverosa e tediosa e entra nel reame delle fate per mezzo di un atto volontario d'immaginazione. Che cosa impedisce allo scrittore sudafricano di intraprendere un cammino simile, di tentare con la propria scrittura di uscire fuori da una situazione in cui la sua arte, per quanto benintenzionata, è - e qui dobbiamo essere onesti - troppo lenta, troppo all'antica, troppo indiretta per avere persino il più lieve e più ritardato effetto sulla vita della comunità o il corso della storia? Quello che glielo impedisce è lo stesso problema di Don Chisciotte: il potere che ha il mondo in cui vive il suo corpo di imporsi a lui e infine alla sua immaginazione che, gli piaccia o no, risiede nel suo corpo.L'asprezza della vita in Sud Africa, la forza nuda del suo fascino, non solo a livello fisico ma anche a livello morale, la sua durezza e le sue brutalità, la sua fame e la sua collera, la sua avidità e le sue menzogne, la rendono tanto irresistibile quanto non amabile. La storia di Alonso Chisciana o Don Chisciotte - sebbene non sia, aggiungo io, il libro enigmatico e acuto di Cervantes - finisce con la resa dell'immaginazione alla realtà, con il ritorno a La Mancha e la morte. L'arte ci serve, diceva Nietzsche, per non morire di verità. In Sud Africa ora c'è troppa verità perché l'arte riesca a sostenerla, verità a secchiate, tanta verità che schiaccia e sommerge ogni atto dell'immaginazione.
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