Linea d'ombra - anno XI - n. 82 - maggio 1993

IL CONTESTO Ma pur così gli slogan contro la corruzione di Shenzhen avevano una pessima eco, puntavano il dito sulla più grande ferita in seno al Pc: il partito dei principi ereditari, delegati al congresso di ottobre secondo le voci di Pechino, già possessori di una caterva di azioni delle industrie statali in via di privatizzazione. E Shenzhen ripeteva che le dimostrazioni di Tienanmen non erano cadute nel vuoto: "abbasso la corruzione" era un grido capace di mobilitare d'incanto centinaia di migliaia di persone. Shenzhen insegnava ancora un'altra cosa, che la piccola e media ricchezza cresciuta in questi anni nelle campagne del paese era disposta, per un'opportunità di guadagno, ad andare a uno scontro con la sfacciata prevaricazione: in questo triadi, pestaggi di riscossori del fisco e dissenso politico potevano essere messi pericolosamente in fila e aiutarsi a vicenda. In fondo mafie e triadi sono state da sempre in Cina una base di opposizione per interessi privati o collettivi al governo, e il primo passo di una sovversione di più grande respiro. E questo il Pcc lo sa bene. "Le triadi non sono poi un male" All'inizio del 1992 la giornalista Dai Qing2 disse a dei giornalisti stranieri che la Cina si stava ammorbidendo. E certo poco dopo Deng Xiaoping compì un pellegrinaggio a Shenzhen: annunciava riforme economiche e politiche da perseguire insieme. In pochi giorni i dissidenti sparirono dal cuore e dagli occhi dei cino-americani, i compatrioti d'oltre mare non vedevano l'ora di pensare alla Cina che si riapriva e alle nuove possibilità d'affari. E la Cina si riapriva sul serio. A oltre due anni da Tienanmen l'opposizione politica era stata schiacciata ma la trama sociale si era sfilacciata: il confine settentrionale con la Russia era praticamente del tutto aperto, i doganieri non imponevano i cari dazi statali ma richiedevano più economiche tangenti da infilarsi direttamente in tasca. I viottoli di Budapest o le carrozze della trans-siberiana giù giù fino al Carso italiano, porta non controllata per entrare nell'Europa ricca, erano un unico mercato per trafficanti cinesi di ogni genere. Ed era vero anche il rovescio: avventurieri polacchi, spacciatori di droga romeni, russi bianchi, nuovi cosacchi, armeni, kirghizi e persiani del Tajikistan, mafiosi siciliani e calabresi si riversano sulle strade di Pechino, Shanghai, Canton, nella quasi turca Urmuqi a vendere gli orologi e la fine del comunismo. Che l'Urss non esisteva più,. e il socialismo nel mondo neanche i cinesi lo appresero da questa moltitudine di contrabbandieri e tagliagole. A velocità supersonica i due flussi opposti di ex sovietici e cinesi fecero ripiombare quella porzione di mondo al baillame, confusione di dialetti, lingue, beni di tutti i generi, fumi non d'Qppio ma d'eroina stavolta, che aveva imperato qui negli anni Dieci. Oggi sotto il segno dei jeans e del dollaro americano. Il "Quotidiano del popolo" il 17 gennaio del 1992 se la prese con gli editori clandestini, colpevoli di pubblicare materiale controrivoluzionario, pornografico. Ma soprattutto denunciò "persone che si riuniscono segretamente, si organizzano in decine, forse persino in centinaia di società segrete, sotterranee". Politica? No, mafia, di quella che prospera nelle China town americane e in mezzo sud-est asiatico. Rapinavano i treni e le banche a mano armata, come nel far west americano, e avevano ripreso la lucrosa attività di pirateria marina, spesso e volentieri protetti dai guardiacoste delle forze armate3, ma diversamente da allora ora si commerciava la preziosa China White, l'eroina da sniffare, forte e purissima. Per i baroni del triangolo d'oro, che ormai facevano passare tutto il loro traffico dalla Cina popolare, 4 la China White voleva essere la risposta orientale alla cocaina sudamericana. Nel migliaio di campi di lavoro che alcuni giornalisti occidentali scoprirono in Cina solo una minima parte degli ospiti erano prigionieri politici: la maggior parte erano criminali comuni. Dissidenti e delinquenti diventavano sempre più due facce della stessa medaglia. Questa medaglia però aveva ancora almeno altre due facce. Una faccia era mostrata dal quasi ravvedimento di Xu Jiatun, l'amico di Deng fuggito da Hong Kong in America. Xu, a 76 anni, dava credito al cambio di direzione imposto da Deng al paese, anche se lo interpretava come una conseguenza delle manifestazioni di Tienanmen. Sulla stessa scorta alcuni intellettuali dissidenti fuggiti in America, come Su Shaozhi, cercavano contatti per rientrare in Cina. D'altro canto un'altra faccia ancora si mostrava il 21 luglio 1992. Allora Bao Tong, il segretario di Zhao, intelligente complottista di Tienanmen, venne condannato a nove anni di prigione per "attività controrivoluzionarie e divulgazione di segreti di stato". Era un nuovo inizio o la fine definiti va di Zhao? Dipendeva da come il congresso avrebbe giudicato il processo. Se addossava tutte le colpe a Bao Tong riabilitava Zhao, se viceversa avesse sottolineato i legami tra i due, per il vecchio Zhao non c'erano speranze. E la lotta nel partito non era al coltello, ma alle unghie, denti, forcine per capelli e limette per le unghie. Segnali contrapposti lampeggiavano sulla torrida estate cinese. Gli studenti cinesi all'estero, oltre 40 mila, erano invitati a tornare in patria, veniva apertamente promesso che il passato sarebbe stato dimenticato, non importava se avessero preso parte in Cina o fuori ad attività antigovernative. Alla fine di agosto, a Han Dongfang, un leader della protesta operaia, veniva concesso di uscire di prigione e andare in America. Ma alla fine di agosto quando Shen Tong, un leader studentesco, decise di tornare, fu fermato e "messo sotto sorveglianza" per "il suo coinvolgimento in attività il legali in collaborazione con stranieri". Che significava? Per molti dissidenti questa sembrava una musica già sentita, come la promessa di Li Peng, prima del 4 giugno 1989, che gli studenti non sarebbero stati arrestati e che non si sarebbe sparato loro addosso. Del resto, se chi fa le regole e chi le applica sono la stessa persona, chi può controllare o frenare il loro comportamento? Non c'è verso? Non si può cambiare? Il partito ha due anime e due mani, con una dà e con l'altra prende, lotta per aprire o chiudere il paese; e trova il modo di filtrare le regole che esso stesso fa per trarne il massimo vantaggio: che gli studenti tornino a casa per impiegarli nelle industrie, e se qualcuno più rompipalle che si unisce al mucchio ... beh lo si può imputare di altro, metterlo in prigione senza definire qutll 'atto "arresto", ma magari solo "fermo", "controllo" o qualunque altra cosa. Lo stato comunque avrebbe un suo equilibrio e andrebbe tutto bene se la politica agisse in piena autonomia, se i boss del partito non dovessero pensare ad altre forze. Ma anche qui ci sono due crepe. Il 19agosto il "Quotidiano economico", uno dei pochi giornali ancora controllato dai riformisti, rag.ionasulla produttività. Spiega che le riunioni politiche nelle fabbriche di stato sono una perdita secca di produttività. Un po' di calcoli: ecco, a parlare di comunismo si sprecano fino 50 giornate lavorative all'anno! Oltre due mesi secchi di fatica che invece di tirare fuori filati di seta, gli operai ripetono a campanello l'ultimo editoriale del "Quotidiano del popolo"!

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