Linea d'ombra - anno XI - n. 82 - maggio 1993

LA POETICA DELLA RECIPROCITA Incontro con J.M. Coetzee a cura di David Attwell traduzione di Michela Sorgoni Non.è da oggi che consideriamo Coetzee uno dei maggiori scrittori viventi. Uno dei suoi libri migliori. Deserto, è ora pubblicato da Donzelli nella traduzione di Paola Splendore. Ci è sembrata l'occasione giusta per tornare sulla sua opera. con un'intervista che gli è statafattadaDavidAttwell. curatore del volume di scritti coetziani Doubling the Point. Essays and lnterviews (Harvard University Press 1992) e traducendo dallo stesso volume il discorso con cui Coetzee ha accolto nel 1987 la consegna del Jerusalem Prize. Di Coetzee (nato nel 1940 in Sud Africa) il lettore italiano può disporre, nelle edizioni Rizzoli, di altre opere: Aspettando i barbari (1980), La vita e i tempi di Michael K. (1983), Foe (1987). Gran parte della sua opera di traduttore è dall'olandese: A Posthumous Confession di Marcellus Emants, la poesia di Leo Vroman e Sybren Polet, ma soprattutto Hans Faverey e Gerrit Achterberg. Qual è il suo rapporto con l'olandese e come sono nati questi progetti? L'unica lingua che ho studiato al liceo, a parte l'inglese e l'afrikaans, è il latino. Anche all'università è stata l'unica lingua straniera che ho studiato. Mi piacerebbe essere poliglotta ma non lo sono. Il mio rapporto con le lingue è profondo ma frustrato.Non ho orecchio e ho una cattiva memoria. Apprendo abbastanza rapidamente le regole di una lingua nuova, forse mi è perfino facile, allora mi metto a cercare delle scorciatoie, poi mi annoio. È sempre accaduto che lavorassi intensamente su una lingua per un certo periodo di tempo, di solito per uno scopo immediato, e poi la mettessi da parte per qualcos'altro, e il risultato è che non conservo la padronanza della lingua. Così è avvenuto anche nel caso dell'olandese, che conosco meglio di ogni altra lingua, all'infuori dell'inglese e dell' afrikaans. C'è stato un periodo, all'inizio degli anni Settanta, in cui la padronanza che avevo dell'olandese era tale da farmi ragionevolmente considerare come un buon traduttore a livello professionale. Dopo fio cominciato ad allontanarmi dalla letteratura olandese per dedicarmi ad altri interessi. Leggo ancora l'olandese letterario fluentemente, forse ancor più di quanto non avvenga con l' afrikaans letterario; ma l'olandese 'colloquiale, parlato è affar chiuso per me. Non ho mai vissuto in Olanda. Gli scrittori olandesi sui quali ho lavorato più intensamente, come lei ha osservato, sono i poeti Faverey e Achterberg e lo scrittore del diciannovesimo secolo Emants. Le traduzioni di Faverey sono state fatte su commissione. Nel caso di Achterberg e di Emants, avevo iniziato le traduzioni come progetto personale prima ancora di avere un contratto di pubblicazione. Achterberg è una figura dominante nella letteratura olandese del dopoguerra, ma il tipo di poesia da lui usato è oggi fuori moda: una poesia di compressione, paradosso e ironia, scritta in forme rigide. Il parallelo più vicino che posso fare in inglese è con William Empson, ma in Achterberg esiste una vena mistica che non si trova in Empson. La Ballad of the Gasfitter è il migliore (e più ambizioso) poema di Achterberg, un ciclo di quattordici sonetti che raccontano la storia della ricerca di un uomo. Del1' amore? Della grazia? Ho iniziato a tradurlo nella forma del sonetto inglese nel 1969 nel tentativo di comprenderlo, poi mi sono reso conto che non potevo tradurlo finché non lo avessi compreso. Qualcosa che un qualsiasi esperto di ermeneutica avrebbe potuto spiegarmi, ma io non sapevo niente di ermeneutica: stavo di nuovo reinventando la ruota. Nel saggio suAchterberg, lei utilizza dei modelli di riferimento pronominali tratti dalle descrizioni linguistiche di Emile Benveniste e dagli "shifters" di Roman Jakobson. Il rapporto loTe, comunque, si collega a problematiche più ampie nella sua opera dando luogo a quella che si può definire in termini generali una poetica della reciprocità. Essa prende varie forme: in Dusklands sembra attingere, tra le altre cose, alla dialettica fallita tra padrone e schiavo della Fenomenologia dello Spirito di Hegel; versioni successive contenute in Michael K e Foe implicano problemi di paternità della scrittura, la tensione tra lettori, narratori e soggetti o personaggi delle storie. Forme di questo rapporto possono anche collegarsi al suo interesse verso i problemi della consapevolezza e del desiderio e i suoi oggetti. La reciprocità e, implicitamente, il problema dell'identità hanno ovviamente un 'importanza centrale nella letteratura coloniale. Lei ha sollevato questa questione nell'introduzione a White Writing in cui parla del problema dell'europeo nel trovare una lingua in cui sia possibile la reciprocità. Inoltre, nel discorso di ringraziamento per il conferimento del Jerusalem Prize, lei ha parlato della "insufficienza d'amore" in Sud Africa. Il romanzo in cui maggiormente ciò si manifesta-lei ci stava lavorando più o meno ali' epoca - è sicuramente In The Heart of The Country [Deserto]. Il campo della lingua, il campo del romanzo in questo caso, diventa rilevante in molti modi: nelle ripetizioni episodiche, che servono ad attirare l'attenzione su Magda in quanto soggetto narrante (in questo lei sembra vicino alle preoccupazioni del nouveau roman), e nelle unità numerate che costituiscono il testo. La mia domanda riguarda il legame, o la tensione, tra le tematiche della reciprocità, da un lato, e il loro statuto fittizio dall'altro. Poiché nonostante le loro somiglianze, quando metto Deserto accanto al saggio su Achterberg, mi trovo a voler misurare la distanza che li separa. Naturalmente non è possibile uscire dalla lingu~, come esprime chiaramente il saggio; inoltre, nella situazione coloniale, le condizioni linguistiche che governano leforme disponibili di associazione sono forse più visibili di quanto non sarebbe possibile in condizioni storiche differenti (cosa che il romanzo drammatizza). Sebbene la dimensione esistenziale (L'essere e il nulla sembra figurare principalmente in Magda) sia chiaramente regolata da quella linguistica, questa dimensione è ancora presente come campo evanescente di possibilità. In altre parole, il campo dell'affetto non è in nessun modo offuscato e nemmeno neutralizzato dal campo della lingua. 57

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