Linea d'ombra - anno XI - n. 82 - maggio 1993

INCONTRI/FARAH dentro libri che parlino della Somalia nel Novecento? In tempi corrotti l'oralità può facilmente manipolare non solo il presente ma anche il passato: il passato somalo può venire del tutto azzerato dalle potenze coloniali o troppo facilmente rivisto e corrotto dalle dittature. Il testo scritto diventa un'arma. E allora scrivere ha un senso; anche in Africa e in Somalia, è una delle operazioni più politiche che si possano immaginare; in Mappe, il saggio Hilaal insiste: "Cosa c'è di più politico che lo scrivere? O, addirittura, del leggere?". Recentemente Chiuditi Sesamo è apparso anche in italiano, con introduzione di Claudio Gorlier, per le Edizioni Lavoro, nella collana diretta da Itala Vivan che, assicura, procederà a far pubblicare l'intera trilogia e forse anche altre opere di Farah. Di Farah "Linea d'ombra" ha pubblicato nel n. 68 (1992) il racconto Conoscersi. In un recente saggio, lei ha dichiarato che nei suoi romanzi ha "scritto di una nazione che assomiglia alla Somalia"; altrove ha detto che il mondo descrittovi è, dopo tutto, un "paese della sua immaginazione": non crede che tutta la narrativa storica contenga un forte elemento "immaginativo"? Probabilmente ciò vale per moltissimi altri scrittori che proclamano di rappresentare la realtà e che vivono all'interno delle nazioni di cui scrivono. Per quanto mi riguarda, non metto piede a Mogadiscio da 18 anni ma ho continuato a scrivere di questa nazione. I miei rapporti con la Somalia sono dunque passati attraverso altri luoghi, altri ricordi; persino quando vivevo in Somalia mi ponevo spesso domande che mi facevano usare la Somalia come metafora; la forza della mia scrittura (se ha una forza) è che mi sono sempre considerato non tanto uno che rappresenta la realtà, quanto uno che la sfida, facendo sì che la realtà funzioni per me come romanziere agli scopi che io mi propongo. Se la realtà non s'accorda con la mia percezione delle cose io la altero, inserendo temi, sogni, dipingendo immagini che Mogodiscio. Foto di Eric Onstodt (Sigmo/GNeri). 52 non hanno alcuna corrispondenza nella realtà; per esempio, in Maps, i sogni che vi ho inseriti sono più forti e più veri della "realtà". Comunque, penso che sia una nozione europea od occidentale della storia non ammettere che l'immaginazione o i sogni interferiscano con gli "eventi": in molte parti del mondo - e probabilmente, nel passato, anche in Europa - la storia includeva l'immaginazione e i sogni; c'è in realtà un approccio pseudoscientifico alla storia, attualmente molto contestato anche da parte di studiosi europei. Certo vi sono molti diversi tipi o scuole di storici: quel che mi chiedo è quanta storia sia leggibile così come sono leggibili i romanzi, nel senso che i romanzi contengono anche il futuro: non descrivono solo il passato, bensì predicono anche il futuro. I romanzieri possono arrogarsi il diritto di fare questo, mentre gli storici tendono a pensare che scrivono di cose che sono effettivamente accadute, nello stesso modo in cui i romanzieri realistici si prefiggono sempre di descrivere strade, luoghi, ecc., che sono "veri". Una delle cose di cui dopo tutto sono contento è che in un romanzo come A Naked Needle c'è una descrizione di molte parti di Mogadiscio, strada per strada, così che laMogadiscio reale di oggigiorno, al confronto della Mogadiscio lì descritta, tende a scomparire. Se qualcuno vuole oggigiorno ricostruire la vecchia Mogadiscio, deve necessariamente leggersi A Naked Needle e vedere come si chiamavano le sue strade, e che aspetto aveva. Questo è un problema particolarmente importante per la storia dell'Africa. Mi vengono alla mente molti romanzi ambientati in Sud Africa, o anche in Nigeria, attraverso i quali abbiamo ricostruzioni di città che sono state interamente demolite e rifatte; penso, ad esempio, ai romanzi di Richard Rive. Ma le sue parole mi ricordano anche le ripetute affermazioni di Wole Soyinka sulla necessità di alterare la storia per dar corpo alla propria visione del mondo. Credo che quello che è successo agli Africani e a molti altri popoli colonizzati sia che (dato che ci è stato negato il potere di articolare la nostra storia e dato che i padroni coloniali europei erano quelli che avevano il potere non solo di confezionare la storia ma anche di imporla alle nostre genti) abbiamo dovuto inventare una storia alternativa, o almeno sfidare quella che gli Europei hanno stilato, per poter raggiungere un nostro equilibrio di credibilità. Nei suoi libri, lei inserisce racconti della tradizione orale e miti locali, ma, per quanto possa comprenderne io, non fa dell'elemento mitico una struttura determinante. Mi sbaglio? No, ha perfettamente ragione. Quel che mi piace fare, quando racconto una storia, è esaminare gli aspetti più svariati di un episodio, e permettere che si possano udire moltissime opinioni alternative su di esso, il che in un certo senso va nella direzione della tendenza democratica della mia scrittura, una tendenza alla tolleranza. Tollerare le opinioni di altre persone e coesistere con le contraddizioni e non considerarsi debole per il fatto che si sono

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