FRATELLI E SORELLE Incontro con Nuruddin Farah a cura di Armando Pajalich Durante la sua permanenza in Italia nel febbraio scorso (invitato dal Premio Grinzane Cavour e dall'Università degli Studi di Torino) Nuruddin Farah si è assoggettato a una serie interminabile di interviste; giornalisti e media ne hanno approfittato per sentire cosa ne pensasse un intellettuale di fama internazionale dell'attuale tragedia somala e, ovviamente, del ruolo che l'Italia ha avuto e ha nei confronti di quella nazione. Le interviste riproponevano le stesse domande, alle quali Farah rispondeva cercando di evitare di ripetere le stesse identiche parole ... Quanto ali' Italia: Sì, l'Italia ha avuto un ruolo fondaFoto di Giovonni Giovannetti. mentalmente negativo, disumanizzando i Somali per poi occidentalizzarli (e solo in piccolissima parte): li obbligavano (i fascisti) a non portare scarpe, per poi, più tardi, poter affermare che erano gli Italiani a insegnar loro a portarle ... L'Italia, che ebbe a che fare con una cultura unitaria di tradizione millenaria, se ne è andata dalla sua colonia lasciando così poche scuole che i diplomati locali erano al massimo un centinaio all'anno ... L'Italia ha un suo razzismo interno (nord/sud ecc.): il razzismo dei colonizzatori pretende sempre tale presupposto interno; così fu per l'Italia: della colonizzazione approfittarono le vittime del razzismo interno italiano per farsi repressori ali' estero ... L'Italia vanta un idioma corrotto: il linguaggio stesso dei politici italiani è corrotto: in eventuali "aree di influenza", l'Italia non può che esportare tale sua corruzione ... Quanto ai Somali: Quelli che fanno la guerra oggi sono dei pazzi, non leader di presunti clan, e vogliono solo prendere il posto lasciato vacante da Siad Barre, che è stato il grande patriarca-tiranno impostosi in una società che crede ancora nei patriarchi-padroni. La società somala avrà pace solo quando ci sarà eguaglianza, anche all'interno della famiglia e fra uomini e donne: le donne sono la grande speranza della Somalia. Ma l'eguaglianza ci potrà essere solo tra individui disarmati. L'intervento esterno, pur se tardivo (e che, un paio di anni fa, sarebbe potuto essere solo un intervento politico) era necessario: la Somalia è un paziente malato che non può permettersi di scegliere le cure; appena potrà farlo sarà bene che tutti se ne vadano ... Gli Americani sono intervenuti quasi controvoglia (half-heartedly) e il loro ruolo al momento è molto ambiguo. Nato nella Somalia italiana nel 1945, Farah abbandonò la Somalia nel 1976, dopo vari viaggi di studio all'estero (India e Gran Bretagna): i primi due romanzi (e in particolare il secondo, apertamente critico nei confronti della "rivoluzione" del 1969) lo avevano messo in pericolo. Aveva già il biglietto per il rientro quando il fratello gli consigliò di INCONTRI/FARAH rinviare il rimpatrio di qualche giorno: sono passati così 16anni, trascorsi in Italia (1976-1979), Nigeria, Gambia, Sudan, Uganda. Attualmente vive per metà dell'anno in Nigeria e per metà in Gran Bretagna, spostandosi assieme alla moglie Amina, nigeriana. Fra le sue opere, quelle più conosciute appartengono a una trilogia, Variations on the Theme of anAfrican Dictatorship (Variazioni sul tema di una dittatura africana), pubblicata fra il 1979 e il 1983 e che comprende i romanzi Sweet and Sour Milk (Latte agrodolce), Sardines (Sardine) e Close Sesame (Chiuditi Sesamo), ambientati negli anni Settanta durante la tirannia del "Generalissimo". Precedentemente (1970 e 1976) aveva pubblicato Froma CrookedRib (Da una costola storta) eA Naked Needle (Un ago nudo). Successivamente (1986 e 1992) sono usciti Maps (Mappe) e Gifts (Doni): di prossima pubblicazione è Secrets (Segreti). I romanzi di Farah ricorrono, in modo più o meno evidente, alla struttura del thriller: al centro dell'azione romanzesca c'è un mistero che il lettore desidera risolvere. Il lettore partecipa del ruolo del protagonista: la narrati va si fa testo volutamente "oscuro" dinanzi al quale l'incertezza del protagonista indagante corrisponde all'incertezza del lettore stesso. Alla fine dei romanzi una soluzione è trovata solo obliquamente, parzialmente: ai misteri iniziali se ne aggiungono altri ... In realtà, il vecchio tradizionale thriller è per definizione conservatore e reazionario: si basa sulla convinzione che la verità esista oggettivamente e scientificamente, che esista il detective che tutto riso I ve e scopre. Non è così certo per i romanzi di Farah nei quali, se verità è trovata, questa risulta da un'operazione collettiva di indagine e di punti di vista, e non da portavoci ferrei, "interpreti" o leader carismatici. Per mantenere tale aura di mistero, Farah ricorre a narrazioni che non sono dominate da alcun punto di vista onnisciente: il narratore fa uso dei filtri che sono i suoi protagonisti, ne mette in luce le incertezze, le incomprensioni, la limitatezza. I nuclei familiari sono sempre il microcosmo in cui si muovono i suoi romanzi e all'interno di essi scoppiano i conflitti. Se nei primi due romanzi della trilogia la rivolta generazionale è parte del conflitto più generale (politico, storico e psicologico) nei romanzi più recenti (Chiuditi Sesamo e Mappe) sembra di poter cogliere una maggiore possibilità di fare ricorso alle radici e alla tradizione, se queste sono ridiscusse in modo intelligente e aperto. Ma i nuclei familiari sono anche una scusa, uno strumento per proporre una lunga serie di "doppi" (sia complementari che speculari) e mano a mano che la strategia narrativa di Farah si è raffinata, tale presenza di "doppi" è apparsa più esplicita, fino a far confluire nell'epica l'allegoria, e a fare che la storia rifletta la problematica individuale: il Capo dello Stato come padre, la propria terra come madre, e così via. Però, se di allegorie si può parlare, queste non beneficiano affatto di un quadro di riferimento certo e rassicurante, ma sprofondano, da un lato, nel mistero, e, da un altro lato, nella constatazione che tra pubblico e privato non c'è margine definito. Anche le rivolte e le rivoluzioni di cui la trilogia tratta sono essenzialmente rivolte individuali: non di un gruppo con una ideologia classificabile e definibile, ma di amici (appartenenti a una élite culturale, la priviligentzia), giovani e idealisti, abbastanza privilegiati e goderecci (almeno in Latte agrodolce e in Sardine), moss! dal disgusto per la corruzione e desiderosi di non rassegnarsi vigliaccamente. Il valore più grande, dopo tutto, sembra essere proprio la scrittura come resistenza: in una cultura orale secolare e ricca di poesia e letteratura, sembra che il potere corrotto abbia trasformato, ~venduto, quella tradizione, riducendola a facile propagan?a ?em~g?~1ca or~le'. slogan, discorsi, dicerie, arresti senza documentazioni, om1c1d1spacciati per suicidi, travisamenti dell'Islam e del Marxismo; anche i media sono stati usati e abusati a tale scopo. Cosa resta, quando lo strumento orale è stato corrotto, se non riprovarci con i documenti scritti, i memoranda di "Soyaan", il giornale di Medina, ecc.? Cosa resta se non mettere le storie 51
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