Linea d'ombra - anno XI - n. 82 - maggio 1993

Foto di Uliano Lucas. pensiero dei propri abiti la fermò. Se fossi al suo posto, non mi importerebbe niente dei vestiti cenciosi di mia madre, pensò; eppure non ebbe il coraggio di avvicinarsi e dargli un bacio. Guardò Aberalegn entrare in auto e andarsene via di corsa. "Quanto odio queste macchine!" disse a se stessa. "Come mai non l'ha riconosciuto quando le è passato accanto?" le chiese il guardiano. "È la striscia intorno al collo che mi ha confuso!" rispose. Il guardiano non capì. Alle due e trenta Aberalegn tornò per la lezione pomeridiana. Aveva una gran fretta. "Non si può essere del tutto contro queste macchine" pensò Yeshet, "dal momento che riportano indietro ciò che hanno portato via". Uno studente, ansioso di coglierlo di sorpresa, gli indicò allora quella donna in abiti trasandati. Ma Aberalegn non tradì alcuna emozione; aggrottò le sopracciglia come se ricordasse all'improvviso qualcosa e a passi lenti si diresse verso di lei. Yeshet però non lo guardava, non sembrava le interessasse. Rivolse invece lo sguardo verso l'ingresso dell'edificio. Anche quando lui le fu di fronte bloccandole la vista della porta, alzò la testa solo per chiedergli se conosceva suo figlio, Aberalegn. "Mi dispiace di averle causato dei contrattempi ..." Cominciò a dire Aberalegn, ma lei l'interruppe dicendo "No, no, non è niente, mi chiedevo solo, visto che lavora qui ..." "Sì, capisco!. .." "Allora conosce mio figlio?" "No, lei mi ha frainteso; vede il fatto è che anch'io mi chiamo Aberalegn e che qui mi hanno scambiato ..." "Ah, ho capito! Aberalegn è diventato un nome comune, ma STORIE/DANIACEW non loera quando l'ho dato a mio figlio. Per favore, può dire a mio figlio che sono qui?" "Lei non mi ascolta, pare ... Senta, ho cercato di dirle che sono il solo qui a chiamarmi Aberalegn. E... e... mi fa piacere che si renda conto della rarità del mio nome!" "È stato in America? Mio figlio c'è stato! ..." "No, no, solo suo figlio è stato in America!" disse e tornò velocemente sui suoi passi senza neanche una parola di saluto. "Che cosa brutta dover spiegare sempre ogni cosa in città!" fu l'unico suo commento sull'incontro col professore. "Mi dispiace che ha perso tanto tempo qui ..." cominciò il guardiano, ma Yeshet interruppe anche lui dicendo: "Perché non la smette con tutte queste scuse e non va a chiamare mio figlio? Che cosa vi è successo qui? Perché tutti si profondono in scuse? In nome di Dio padre. Posso capire perché l'altro si scusava; era arrabbiato con me perché non avevo riconosciuto il suo nome". "Le ho già detto signora che suo figlio non c'è qui." "Non è arrivato ancora dunque?" "No, non lavora qui. Ho scambiato il signore con cui ha appena parlato per suo figlio. Mi sono sbagliato e mi scuso." "Non lavora qui?! E allora perché non me l'ha detto prima? Comunque ..." "Mi dispiace, ho sbagliato ..." "No, no, non è colpa sua. La colpa è tutta mia. Avrei dovuto dirle che mio figlio era stato in America" disse, e aggiunse: "A proposito, se le capiterà di passare per il mio villaggio, basta che dica come mi chiamo, Yeshet, e nomini il grande worka davanti a casa mia, e chiunque potrà indicarle dove vivo. Un uomo forte come lei potrebbe rendersi utile come bracciante, non è dignitoso passare i propri anni migliori accanto a un cancello. Arrivederci, e che Dio l'accompagni!". 45

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