Linea d'ombra - anno XI - n. 82 - maggio 1993

STORIE/DANIACEW Il secondo giorno aveva raccolto circa quattro dollari. E sia a colazione che la sera, il giovane mendicante andò a comprarle quello che voleva, e ogni volta lei gli diede la sua benedizione materna. * * * Con l'emblema nazionale del leone dipinto su un lato, l'autobus correva a sessanta chilometri all'ora - il corpo rosso e giallo luccicava come un simbolo di patriottismo e di fede. " ... Forse è un po' colpa mia" pensò Yeshet ricordando la corrispondenza con suo figlio. "Se sapevo scrivere, non dovevo farmi aiutare dagli studenti della scuola e potevo dirgli quello che sentivo veramente ... come ha insistito nelle lettere che non mi mettessi in viaggio da sola, avvertendomi che potevo perdermi in città, e come si preoccupava della mia salute e del mio benessere; mi chiedeva se avevo bisogno di qualcosa dalla città, forse soldi o vestiti ... eppure non gli ho mai risposto con sincerità ... anche quando ha insistito per venirmi a trovare ... forse perché non volevo che venisse in una zona infestata dalle malattie e dalla fame ... Quanto odio questi autobus ... e il modo in cui gli ho detto che vivevo agiatamente; anche se mi ci sono voluti cinque mesi per filare il filo per i miei vestiti. E una volta pronto, c'è stato poi il problema del tessitore. Ho dovuto attendere il mio turno per l'unico tessitore del villaggio. Ho dovuto vendere del gesho1 per realizzare i soldi del viaggio. In tutto, mi ci sono voluti otto mesi per prepararmi a questo viaggio. Gli ho mentito perché non volevo che si preoccupasse per me. Non aveva ancora trovato una sistemazione ... e comunque, l'ho detto al confessore e ho avuto la penitenza ... gli ho anche dato due dollari perché pregasse sul mio nome di battesimo per farmi proteggere dagli angeli a non cadere di nuovo nel peccato ..." L'autobus correva a sessanta chilometri all'ora, sollevando dalla strada ghiaiosa una nuvola di polvere. E Yeshet tornò a pensare a quello che si era lasciata alle spalle. Pensò ali' unico vero amico ancora vivo, Baykedagn, il suo cane. Il pensiero la rattristò. Non gli era mai piaciuto venire in città. Per qualche motivo, non si sentiva mai a suo agio. Non appena Yeshet finiva con le spese, subito Baykedagn voleva tornare a casa. Le venne in mente quanto fosse agitato prima che lei salisse sull'autobus. Tre volte il cane aveva cercato di raggiungerla e non ce l'aveva fatta. I bambini gli avevano gettato delle pietre; lo avevano inseguito. Lui si era impennato, abbaiava, agitava la coda, scuoteva tutto il corpo; poi mentre cercava di salire sull'autobus, un calcio l'aveva buttato giù. Guaiendo, era corso a nascondersi dietro un cespuglio sul lato della strada, e qui, sollevando la testa dolcemente, aveva cominciato il suo triste mugolio. L'ultima scena che Yeshet ricordava era Baykedagn che abbaiava e guaiva cercando di mordere i copertoni dell'autobus. Erano passati trent'anni da quando Yeshet aveva visto per la prima volta un camion. Quella volta si era allontanata di corsa dalla strada per nascondersi dietro un cespuglio finché non era passato. Dopo ne aveva visti sempre più frequentemente: autocarri, camion e piccole automobili. Non era mai riuscita a fidarsi di ciò che definiva opera deiferenj2. "I ferenj riescono a controllare anche i diavoli; li fanno lavorare per loro. Ne sono certa. Non cercare di contraddirmi" aveva detto a suo figlio prima che partisse per l'America. Così parlava ogni qualvolta sentiva che si cercava di privarla delle sue convinzioni. Da sola, tuttavia, era più cauta. Cercava di ragionare: "Dio ci dà tutto quanto occorre a una vita decente. Se i camion fossero stati necessari, avrebbe già da molto tempo donato agli Etiopi il segreto per costruirli" diceva. Secondo lei gli Etiopi sono la sola razza di cristiani ... "Iferenj non digiunano; mangiano carne e burro anche di mercoledì e di venerdì. Negli altri giorni poi mangiano persino carne proibita come quella di maiale e di cavallo. No, no, non sono cristiani! E poi, tu stesso mi hai detto che non hanno i tabot, le arche sacre. Che razza di cristiani sono?" era questo il suo modo di ragionare. Per quanto odiasse gli autobus, era stato necessario, comunque, affrontare questo primo viaggio. Trecentoquaranta chilometri erano troppi da farsi a piedi. Ma l'autobus non era la sola esperienza nuova di Yeshet. Portava ai piedi il suo primo paio di scarpe. Neanche questo le piaceva troppo. La soffocavano: le davano una sensazione di fuoco in tutto il corpo. "Stazione di Arat Kilo! Stazione di Arat Kilo! Biglietti, prego" gridò il conduttore. Poi l'autobus si fermò lentamente. A Yeshet sembrò quasi un risveglio. Era qui che le era stato detto di scendere. "Sia lodato il Dio onnipotente dei miei padri: benedetta Santa Maria, benedetto San Michele del mio villaggio" disse chinandosi tre volte verso oriente, facendosi il segno della croce e aggiungendo: "Non c'è nulla che non sia in tuo potere!". E tuttavia si sentiva ansiosa e agitata; prendeva una cosa e ne lasciava un'altra, o faceva cadere una cosa mentre ne prendeva un'altra dalla reticella dei bagagli. Non le era mai capitato di stare seduta in una posizione così scomoda per tanto tempo. Sentiva le gambe rigide e tutto il corpo intorpidito. Aveva difficoltà con la vista e la testa le girava un po'. Finalmente riuscì a raccogliere le sue cose. Ringraziò l'autista e lo baciò sulle spalle. "Sì, è un insegnante, è un uomo importante qui in città. È il mio unico figlio. Tutti dovrebbero conoscerlo. Mi hanno detto che si lega un pezzo di stoffa colorata intorno al collo! Sono sicura che non mi sarà difficile trovarlo" stava dicendo a un vecchio che era fermo sulla porta accanto a lei. Baciò le spalle anche a lui, e poi, appena scesa dall'autobus, la terra. Quando l'autobus si rimise in moto, Yeshet alzò la voce dicendo "Ricordami nelle tue preghiere!". Poi cominciò a camminare, raggiunse il marciapiede e si chinò a baciarlo. "Dio di mio padre e di mia madre" disse, "finalmente potrò rivedere il volto del mio adorato figlio, il mio unico figlio". Poi senza rendersi conto di dove stesse andando, camminò fino a un palazzo a cinque piani. Baciò tre dei grandi pilastri, poi alzò gli occhi pieni di lacrime per guardare quel magnifico edificio e disse: "Non c'è niente che non sia in tuo potere!". Era come se stesse sognando. Tutto le passava davanti agli occhi. Poi, all'improvviso, si sentì molto st~nca. ~bbandon~ l'idea di cercare suo figlio. Si sedette appogg1andos1 a uno dei pilastri. . . "Sì", pensò, "è proprio il Paradiso! Che 1mpo~a se dovessi morire il giorno dopo aver visto questa città? Non fil sembrerebbe neppure di morire ma di rinascere", disse a se stessa. Eppure, riusciva a stento a trattenere le lacrime. Tra le lacrime, vide scolari con i libri in mano che si affrettavano verso casa e ricordò suo figlio alla stessa età. 43

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