INCONTRI/DANIACEW Menghistu. Il romanzo, commissionato e approvato dal regime, racconta la storia di un amore contrastato tra due giovani etiopi di diversa etnia. Fu sequestrato il giorno dopo la pubblicazione diventando benpresto un libro di culto. Dopo anni di distribuzione clandestina mano a mano, infotocopia, sia in Etiopia che nella crescente comunità etiopica in esilio, il libro è stato ora ristampato e circola liberamente. Quello di Bahlu non è stato un caso isolato. Molti scrittori hanno fatto una brutta fine sotto il Derg. Tra gli altri Abbe Gubegna, il più popolare scrittore in lingua amarica, fatto scomparire ancora molto giovane dopo che aveva scritto romanzi di grande successo, uno dei quali, Defiance, ambientato nel 1937 durante l'occupazione italiana di Addis Abeba. "Sento di non avere una patria. Non esiste oggi un paese che si chiama Etiopia, ma un insieme di clan e di etnie diverse che si combattono per la supremazia: gli oromo, gli eritrei, i tigrini ecc. "Perciò non si sente tranquillo ad andare fuori neanche per una passeggiata e spingersi ad esempio in zone oromo. Daniacew è un amhara, dice di non parlare oromo, perciò sarebbe subito identificato come intruso. Il paese da cui viene, Debre Sina (a nord diAddis) dove è nato, ha sempre avuto una culturamultietnica con una grande tolleranza religiosa, matrimoni misti, ma ora non può più tornarci. Odia ogni forma di nazionalismo; non esiste secondo lui la purezza etnica, perché tra i vari gruppi ci sono sempre stati incroci, nessuno può definirsi non toccato da contaminazioni con altri gruppi, eppure è in nome della purezza della razza che oggi sifa la guerra. Come è accaduto nei paesi dell'Europa orientale, e nell'ex-Iugoslavia, osservo, ma lui richiama l'esempio più vicino della Somalia. Il futuro di questo paese non può essere molto diverso da quello della Somalia, teme. "Una cosa buona degli italiani durante la loropermanenza nel nostro paese (Daniacew è nato nel 1936, l'anno dell'inizio dell'occupazione italiana) è che hanno rispettato gli individui per quello che erano, e hanno amato il paese. Hanno portato qui le loro tradizioni, ma non si sono segregati come tradizionalmente fanno i colonizzatori, e loro non si sono mai sentiti colonizzati. Sono molto simili a noi, di religione cristiana, urlano, litigano, sono come noi. " Decisamente importante nella sua formazione di scrittore il periodo trascorso negli Stati Uniti, alla fine degli anni Sessanta, presso l'Università di Iowa, sede di un prestigioso corso di scrittura creativa, durante il quale ha avuto la possibilità di approfondire la conoscenza delle letterature occidentali. Per tutti questi motivi, quando ha deciso di ricominciare a scrivere, Daniacew ha scelto l'inglese. Ha appena terminato un lungo romanzo intitolato Shout It From the Mountain Tops e ha già in mente il seguito. È sulla storia del paese negli ultimi venti anni. Spera di pubblicarlo in Inghilterra o in America, dove è in trattative con due case editrici. Gli chiedo come mai l'altro suo romanzo in inglese, The Thirteenth Sun, tradotto in tedesco, portoghese e francese, non sia mai stato tradotto in italiano. Mi dice che non ha voluto stabilire contatti con nessuno in tutti questi anni, neanche per un 'intervista, per programmi radiofonici, ecc. Nel mio caso ha ceduto solo perché ha un debole per gli italiani. È la prima intervista dopo un'altra che concesse a uno studioso americano nel 1975. Quando ne ricevette il testo, trovò che gli erano state attribuite molte cose che non aveva detto. Soprattutto 42 si lamenta del fatto che quelli che hanno scritto sulla sua opera, critici e studenti di dottorato, abbiano voluto chiarire tutte le ambiguità del suo testo senza preoccuparsi delleforzature che ne derivavano. The Thirteenth Sun è un'opera scritta in un linguaggio poetico e altamente simbolico, vicina alla letteratura europea modernista e a quella russa, in cui si offre uno spaccato della società etiopica alla fine degli anni Sessanta, in un'epoca cioè pre-rivoluzionaria, attraverso i conflitti generazionali e sociali. Ambientato durante il pellegrinaggio tradizionale al santuario di Abbo, a Zeqwala, un monte nei pressi di Addis Abeba, il romanzo racconta del difficile rapporto tra un notabile etiopico di nomina imperiale, un fitawrari, e suo figlio, uno studente radicale. Pochi personaggi, un'abile costruzione romanzesca, un'opera ricca di interesse etnico ed antropologico, oltre che letterario. Il racconto che pubblichiamo, La casa col grande albero, scritto nel 1974, è il risultato della brevissima e tempestosa collaborazione traDaniacewe l' "EthiopianHerald", il quotidiano governativo in lingua inglese di Addis Abeba, che nei primi anni dopo il colpo di stato del 1974 visse un momento breve ma intenso di libertà di stampa. Il racconto ha le stesse qualità di leggibilità e interesse intrinseco del romanzo; il trattamento ironico di una situazione all'apparenza sentimentale, e l'osservazione minuta dei comportamenti e della psicologia della gente comune, di città e campagna, lo rendono particolarmente interessante e attuale in unmomento come questo in cui la capitale è nuovamente invasa da migliaia di "poveri" e rifugiati da tutto il resto del paese, che vivono accampati per strada, esibendo sul proprio corpo la loro fame, le malattie, la miseria. Mescolati a loro, piccoli venditori di ogni tipo: ogni angolo di strada, ogni marciapiede è un mercato di piccoli averi, una cesta di arance, unfascio di carote, quaderni e scarpe cinesi, buste di plastica, rotoli di carta igienica. Tra tutti spicca l'esercito di bambini, lustrascarpe e zebegna, i guardiani delle auto, o i semplici accattoni. Come nel racconto, Addis deve appare a tutti loro un "paradiso in terra", l'unico luogo dove si può forse ancora sopravvivere, dove i negozi straripano di merci e i prezzi sono proibitivi, ma dove comunque si può ancora non morire di fame. Per quanto tempo ancora? (P. S.) Foto di Alessandro Triulzi.
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