Linea d'ombra - anno XI - n. 82 - maggio 1993

CORNO DI AFRICA Dalla Somalia un racconto di G.A. Gamuute, un'intervista con Nuruddin Farah; dall'Etiopia un racconto di Daniacew Worku, curato da Paola Splendore, che l'ha avuto dalle mani dell'autore e che riferisce del suo incontro con lui, pochi mesi fa a Addis Abeba. Ma nelle prime pagine di questo numero si può anche trovare un intervento di Alessandro Triulzi, storico dell'Africa e in particolare della ex AOI (Africa Orientale Italiana) come un tempo, tanto tempo fa, veniva chiamata quella parte del continente, prima e dopo d'allora meglio nota come "Corno d'Africa", che del nostro paese ha subito l'oppressione colonialista. È strano, o forse non lo è affatto, quanto scarsa sia la letteratura italiana sulle ex-colonie. Parliamo del romanzo, del racconto, del buon reportage, opera di italiani che lì abbiano vissuto, e combattuto. Si ricordano soprattutto due opere: un grande romanzo di Ennio Flaiano, Tempo di uccidere, tra i migliori della nostra letteratura del '900, e Settimana nera di Enrico Emanuelli, che descrive acutamente situazioni post-coloniali, e neo-colonialiste. Per il resto, una zavorra di "mal d'Africa", di letteratura colonialista e paracolonialista, da G.G. Napolitano a V.G. Rossi ai fascisti dichiarati. Mentre che, per trovare testi di quelle culture in lingua italiana, si fa davvero fatica, se si esce dall'accademia, che di esse ha continuato a occuparsi su un piano quasi esclusivamente storico (fondamentali, in ogni caso, i libri di Del Beca). Oggi, infine, si cerca di rimediare, anche se a farlo si è poi quasi sempre gli stessi. È ora disponibile in italiano un romanzo di Farah, Chiuditi Sesamo, nelle Edizioni Lavoro. E "Linea d'ombra" insiste sull'Africa e anche sul Corno d'Africa, cioè sull'Africa che ci ha riguardato e continua a riguardarci più da vicino, nostro rimorso nazionale. (Goffredo Fofi) LA CASA COL GRANDE ALBERO Daniacew Worku a cura di Paola Splendore Il nome sulla porta non è il suo. Non sono certa di trovarmi proprio davanti alla casa giusta poiché in Etiopia non ci sono indirizzi e la maggior parte delle strade non ha nome: le indicazioni vengono date in maniera approssimativa, l'edificio tra la banca tale e l'albergo tale, ecc. Ma è lui in persona ad aprire la porta. Il volto è invecchiato rispetto alla foto pubblicata sulla copertina del libro, ma lo riconosco immediatamente. Capelli bianchi e una corta barba caprina, lo sguardo penetrante. Non mi permette l'uso del registratore, e parla con poche pause. Prendo qualche appunto, cercando di non perdere la straordinaria mobilità degli occhi e delle mani. Daniacew è tra i pochi scrittori etiopici di lingua inglese, forse il più importante. Gli altri scrivono prevalentemente in amarico, la lingua nazionale, e lui stesso ha esordito in amarico con un romanzo e varie opere per il teatro. Il romanzo che l'ha reso famoso è The Thirteenth Sun, pubblicato in Inghilterra da Heinemann nel 1973, opera che ha avuto una circolazione difficile in Etiopia, dove fu pubblicata l'anno seguente, alla vigilia della rivoluzione del 1974; un romanzo di grande forza simbolica sulla violenza che è dentro ogni uomo e che in momenti particolari della storia esplode contro i più deboli. Un romanzo giudicato molto critico sul ruolo del governo e della Chiesa, sull'arretratezza, la miseria e la corruzione. "La storia è morta", mi dice, quasi prima che io possa aprire bocca. "Si ha la sensazione di vivere in un paese che vuole cancellare la propria storia. Ed è una sensazione sgradevole. " Daniacew non si fa alcuna illusione per il futuro; si è tagliato fuori da tutto, dall'Università, dove ha insegnato per anni lingua e letteratura amarica, e da tutto il resto della vita pubblica. Ha scelto il silenzio. Sono quasi venti anni che non pubblica più: l'imperatore era ancora al potere quando uscì The Thirteenth Sun, poi c'è stato il colpo di stato (o rivoluzione?) del 1974 e infine il lungo regime di Menghistu, durato fino al 1989, cui seguì il governo provvisorio attuale. "Odio la parola rivoluzione. Il Derg (il governo di Menghistu) ce l'ha fatta odiare, è diventata una parola vuota, così come è vuota oggi la parola democrazia (abusatadalgovernoattualeEPRDF,EthiopianPeople'sRepublic of Democratic Forces). Non si può parlare di rivoluzione senza progresso, senza che si offra agli individui la possibilità di imparare qualcosa, e per questo ci vuole tempo. " E lui come si definisce? Essendo stato molto critico del vecchio regime, ai tempi dell'imperatore, non ha visto nella rivoluzione - come è accaduto a molti altri intellettuali della sua generazione - il cambiamento che auspicava? gli chiedo. "No mai, fin dal primo momento" risponde. Non si è mai definito comunista, ma progressista; non ha mai preso la tessera del partito e ha rifiutato ogni incarico pubblico. Né ha voluto altri collegamenti con l'Università, dopo esserne stato allontanato perché si era rifiutato di avallare episodi di corruzione a favore di studenti legati al potere, e successivamente perché il Derg l'ha riempita di burocrati e membri di partito. "Mi sono trovato in un posto dove non c'erano più intellettuali, dove la ricerca a poco a poco è stata abolita. La gente era contenta di mantenere il posto e di sopravvivere. Tutto è stato ridotto al più basso livello di sopravvivenza. La distanza è diventata incolmabile." Nel 1980Daniacew è costretto a nascondersi: ilDerg distrugge o mette sotto sequestro tutto quello che aveva, la casa, la terra che si era comprato, la sua biblioteca di testi amarici, ricca di 7000 volumi, i suoi stessi scritti e il manoscritto di un secondo romanzo in inglese, Doormat, che non ha più visto la luce. Dopo di questo non ha più scritto. Per chi doveva farlo? Ha scelto tuttavia di non andare in esilio; ritiene che sia difficile riuscire a scrivere in un contesto alieno, "si cambia tono, si diventa sentimentali"; è rimasto così ad Addis Abeba con la propria famiglia, accontentandosi di un impiego che gli desse i mezzi per sostenersi e una copertura a livello sociale. Per vari anni Daniacew ha lavorato come redattore nella Kuraz Publishing House, la principale casa editrice etiopica, dove ha vissuto dall'interno la vicenda della pubblicazione e il successivo sequestro del romanzo in lingua aramaica oromai di Bahlu Girma e la rapida eliminazione dell'autore. Il caso di Bahlu Girma è forse quello più emblematico della dittatura di 41

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