Linea d'ombra - anno XI - n. 82 - maggio 1993

CONFRONTI Nel regno dell~ memoria Il romanzo di Clara Sereni Paola Splendore Come ci si confronta, nella scrittura, con la memoria dei propri genitori quando loro stessi hanno consegnato alla storia il proprio ritratto? Come si mettono insieme documenti e ricordi quando.gli uni sembrano tradire gli altri? Come si scelgono gli eventi capaci di rappresentare una vita; quali i passaggi, le parole attraverso cui si fanno racconto? Questi interrogativi e problemi formano la sostanza dell'ultimo libro di Clara Sereni, Il gioco dei regni (Giunti 1993, pp. 453, L. 24.000), romanzo familiare e insieme storico, in cui vicende e affetti privati si intrecciano agli eventi che hanno dominato la scena storica del ventesimo secolo: la rivoluzione russa, il comunismo, il sionismo, la costruzione dello stato d'Israele. Scritto da una prospettiva postcomunista, il romanzo non si interroga tuttavia, se non obliquamente, sui fatti e le ragioni storiche, ma racconta la storia di alcuni personaggi non comuni - quelli che vogliono in qualche modo farsi soggetto della storia, che vogliono cioè trasformare il mondo e realizzare su di sé l'esperimento di costruzione dell'uomo e della donna "nuovi". Dominano l'intreccio Mimmo e Xenia, genitori dell'autrice, e le loro rispettive famiglie d'origine. I Sereni sono un'agiata famiglia della borghesia ebraica romana, quattro figli, nonni, zii, cugini, feste di famiglia, celebrazioni ebraiche, allegre vacanze al mare. L'altra, un piccolo nucleo di due persone ridotte alla povertà e alla solitudine dell'esilio: la madre, Xenia Silberberg, una rivoluzionaria russa che ha partecipato ai moti del 1905 e ha perso il proprio compagno, morto per la causa, e la sua bambina, Xeniuska, approdate a Roma dopo varie peregrinazioni. Mimmo, il più giovane dei fratelli Sereni, e Xenia si incontrano ancora adolescenti e si innamorano immediatamente; a dispetto delle continue separazioni del carcere, dell'esilio, della clandestinità, della malattia, resteranno uniti fino alla fine, sostenuti dalla fede assoluta e condivisa nel comunismo. Emerge dalle pagine del Gioco dei regni il quadro di un'altra Italia da cui ci separano non solo una o due generazioni, ma un mondo di ideali e valori irrecuperabili. Così come Mimmo e Xenia imparano a darsi anima e corpo al Partito, negando e mortificando gli affetti più cari, gli altri personaggi costruiscono la propria vita secondo ideali e fedi altrettanto schiaccianti. E non sono soltanto i giovani a darsi mete del tipo "soffrire più in alto"; anche i vecchi sono modelli di intransigenza e razionalità. Colpiscono in particolare i ritratti delle nonne di Clara Sereni, Alfonsa, la madre ebrea che ha allevato i figli a vivere nel giusto e a lasciare una traccia dietro di sé, anche se questa negli anni assomiglia sempre più al compiersi di una maledizione, e Xenia, destinata come Alfonsa a finire i propri anni in un kibbutz in Israele, lontana dal conforto degli affetti familiari. Mentre l'autrice recupera una memoria più privata e sofferta dei propri genitori, si avverte tra le righe il suo bisogno di prenderne le distanze. Il romanzo di famiglia diventa così una ricerca di verità, il tentativo di capire le ragioni private di certe scelte, di andare al di là della storia ufficiale, un modo per "riappropriarsi" di loro costruendone un 'immagine il più possibile lontana dai ritratti ufficiali. Forse per questo Clara _Sereni,con Al centro Enzo Sereni e suo moglie Ada nel 1926, poco primo dello partenza per lo Palestina. una scelta narrativa felice, li immagina bambini, e reinventa i giochi di suo padre con i fratelli, e il rancore montante di Xenia nei confronti della madre per aver messo la rivoluzione al primo posto, per averla fatta "un'apolide senza radici né di posizione né di affetti" (p. 86) .. Li immagina cioè soprattutto come figli, ridimensionati dall'età o dallo sguardo ravvicinato - quasi tutte le scene del romanzo sono scene d'interno - proiettandoli nella dimensione più vicina a se stessa, e cioè quella di figlia. Un lavoro di confronto e di chiarificazione può rintracciarsi dunque alle origini di questo romanzo, che motiva peraltro tutta l'opera di Clara Sereni, da Sigma Epsilon ( 1974) a Casalinghitudine (1987) a Manicomio primavera (1989), e che collega in particolare Casalinghitudine a Il gioco dei regni, due opere all'apparenza molto diverse tra loro. In quest'ultimo romanzo, d'impianto storico, il narratore resta fino alla fine fuori della vicenda narrata, mentre Casalinghitudine - che è anche un libro di cucina - è tutto scritto in prima persona, al presente, nel tempo di chi lavora impastando ingredienti, sapori e odori delle varie parti di sé, la cucina ebraica con quella russa con quella povera e popolare più congeniale al gruppo di compagni cui la protagonista si è unita, riconciliando così le sue varie parti sempre in conflitto tra loro, mai pienamente accettate. Ma anche nel Gioco dei regni si mescola qualcosa, si traffica con arnesi di lavoro femminile. Perché se nella prima opera chi narra si fa cuoca, nel Gioco dei regni essa si fa sarta: si attrezza di forbici ago e filo per ricucire tra loro pezzi di varia scrittura, memorie private, documenti storici; lettere, diari, giornalini di bambini, intessendo così uno straordinario patchwork di memoria. Al di sopra di tutto, anche dell'intreccio tra storia e individuo, il motivo, tematico e strutturale insieme, che lega ogni cosa è dato dalla passione per le parole. Tutti i personaggi del romanzo sembrano affascinati, come stregati dalle parole; i bambini Sereni, si dice, "leggevano a crepapelle" (p. 122), e aggiungerei che scrivevano a crepapelle - lettere, diari, libri. Scrivevano anche per gioco ma sempre con un intento serio: "Per garantirsi la sopravvivenza si affidarono alla carta per capire e farsi intendere, per rendere leggibile - dunque accettabile - ogni cosa: le 25

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