Linea d'ombra - anno XI - n. 82 - maggio 1993

IL CONTESTO ripreso la notizia) per il fatto che le nuove carrozze degli Intercity con posti riservati agli invalidi sono soltanto di 2• classe ("Io ho il diritto a viaggiare in 1• classe"). Su questa strada, è chiaro, non si va molto lontano. Oggi è necessario fare un passo ulteriore, ancora più importante. Ci siamo accorti che la giusta rivendicazione dei diritti non basta: dobbiamo riscoprire e valorizzare anche i doveri. Alla solidarietà del portafoglio e dei buoni sentimenti, alla solidarietà dal di fuori, dobbiamo sostituire quella della condivisione, del1'accoglienza, del rapporto personale, del contatto fisico, dell' impegno di tutti. È inutile realizzare un inserimento scolastico o lavorativo se poi a scuola o nel reparto di lavoro o nell'ufficio l'handicappato viene lasciato in un angolo, da solo, al più tollerato. Quando questo succede, invece di ottenere una maggiore integrazione sociale si verifica la più atroce delle emarginazioni. E non può bastare l'impegno di un insegnante di sostegno a scuola o quello dell'operatore sociale in fabbrica per garantire un buon inserimento. Ci vuole l'impegno e la solidarietà di tutto l' ambiente, a cominciare dai compagni più vicini. In futuro non vorremmo più sentirci raccontare che un bidello si è rifiutato di accompagnare ai servizi un alunno handicappato ("non è compito mio, il mansionario non lo prevede"). Oppure che un autista si rifiuta di scendere dal pullmino per aiutare un disabile a salirci ("io sono pagato per guidare e basta"). Oppure che gli operatori di un Centro per gravissimi sono scesi in sciopero per rivendicazioni sindacali più che legittime, ma abbandonando a se stessi soggetti privi di ogni autonomia o lasciandoli a casa sulle spalle delle famiglie. Ecco il salto di qualità che tutti insieme dobbiamo fare. E sono cose semplici, non c'è bisogno di iscriversi a una associazione di volontariato per praticarle. Per lo più si tratta di dare una mano, di accompagnare una persona al gabinetto e di aiutarla a mangiare o a vestirsi, di chiacchierare un po' con lei e magari portarla ogni tanto in pizzeria. Tutto ciò non può essere scritto in nessun contratto di lavoro né in nessun mansionario. Oggi questa nuova cultura della solidarietà si sta diffondendo; un tempo era praticata solo da associazioni di tipo religioso e caritatevole. Oggi anche i laici, finalmente, si stanno svegliando e le associazioni di volontariato si moltiplicano, così come si moltiplicano le iniziative di solidarietà attiva. Citerò per tutte le cooperative di solidarietà sociale oggi così diffuse su tutto il territorio. Ho ben presente il pericolo che le istituzioni e gli imprenditori finiscano per privilegiare queste forme di inserimento piuttosto che accogliere gli handicappati nelle aziende pubbliche o private. Tuttavia bisogna riconoscere che in molti casi la via delle cooperative di lavoro e di solidarietà sociale è stata l'unica percorribile. Molti handicappati vi lavorano con soddisfazione, altrimenti sarebbero a casa. Questa nuova cultura della solidarietà ha secondo me anche una forte valenza morale e politica, perché costituisce una risposta al dilagante egoismo, alla religione del portafoglio, alla pratica della sopraffazione, al mito dei più forti, dei più sani, dei più belli, dei più ricchi, dei più furbi. Ed è in questo clima di riscoperta dei valori e dei doveri che devono ricollocarsi nuovi comportamenti e nuove modalità di rapporto tra utenti, associazioni, amministrazioni e forze sociali. È fondamentale che tutti facciano la propria parte superando sia le sterili contrapposizioni pregiudiziali e per lo più di natura ideologica, sia gli interessi particolari e corporativi che nulla hanno a che vedere con l'obiettivo che dovrebbe essere comune 20 a tutti, e cioè il miglioramento della qualità della vita di tutti i disabili. E veniamo alla questione morale. Oggi siamo tutti soddisfatti nel vedere finalmente smascherati gli amministratori disonesti e proviamo persino un certo godimento (per la verità un po' insano) nel vederli ammanettati e condotti in galera. E si può capire, visto che sono quegli stessi personaggi che, con minore o maggiore arroganza, invece di mettersi al servizio dei cittadini curavano soprattutto gli affari personali e/o di partito. Ma la questione morale non riguarda solo loro, ci riguarda tutti. Non dobbiamo commettere l'errore di sentirci più onesti perché abbiamo scoperto che chi ci governava era disonesto, né è vero che siamo solo le vittime di un sistema corrotto. Anche noi talvolta abbiamo vinto i nostri piccoli appalti e ottenuto le nostre piccole commesse e pagato le nostre minitangenti. La questione morale non riguarda solo i miliardi, ma anche le mille lire. Oggi sulla stampa e al bar siamo diventati tutti indignati moralizzatori. Anch'io in questo momento non sfuggo a questa tendenza, ma per lo meno mi sto sforzando di guardare anche in casa nostra. E la nostra casa è il mondo degli handicappati, delle loro famiglie, delle loro associazioni, che non sempre brillano per onestà e limpidezza di comportamento. Cominciamo dalle cose minime. Che cos'è se non una piccola tangente quella di poter viaggiare gratis sui mezzi pubblici perché si dispone di un certificato di invalidità civile (per ottenere la tessera basta iscriversi all' ANMIC)? Ma se uno è in grado di salire su uno dei nostri autobus vuol dire che non è handicappato e quindi è giusto che si paghi il suo biglietto come tutti. Ma quanti degli iscritti all' ANMIC sono disposti a rinunciare a questo piccolo ma ingiusto privilegio? E, per rimanere in tema di trasporti, che dire di quei disabili che fruiscono dei buoni taxi e non li usano per le finalità dichiarate o addirittura li rivendono ai taxisti? E che dire di chi espone sull'auto il permesso di sosta riservata anche se non sta trasportando un disabile? Dobbiamo forse giustificare quei disabili o le loro famiglie che alle Commissioni per l'accertamento di invalidità chiedono pressantemente (e spesso ottengono) un aggravamento (leggi: una percentuale più alta) della effettiva minorazione, al fine di godere di previdenze economiche più cospicue? Quale incalcolabile danno hanno portato alla causa dell' inserimento lavorativo tutti quegli invalidi (veri o falsi che siano) che hanno mercanteggiato il posto di lavoro con le aziende facendosi assumere e poi, in cambio di qualche milione, hanno accettato il licenziamento e si sono reiscritti alla lista del collocamento obbligatorio per rifare lo stesso percorso? Si dirà che pochi disonesti non fanno testo e che la stragrande maggioranza è pulita. È certamente così, ma questo non è proprio l'argomento che usano i segretari dei partiti sotto accusa per autoassolversi? Ma la cosa più grave è che quei pochi disonesti diventano pretesto e alibi per i nostri ministri che si sentono autorizzati a operare tagli di spesa e restrizioni assistenziali, che finiscono per colpire soprattutto i diritti legittimi degli handicappati veri. Tuttavia il fenomeno tutto italiano dei falsi invalidi non riguarda solo pochi individui, ma n'\olte decine di migliaia di persone e deve essere finalmente affrontato con il coraggio e il rigore necessari. Tutti lo denunciano, ma nessuno si impegna sul serio per combatterlo. Eppure il danno sociale ed economico è enorme, perché per ogni dieci falsi invalidi che percepiscono abusivamente una pensione ce n'è almeno uno vero a cui quelle "tangenti" potrebbero garantire un'assistenza adeguata. Ma il

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