Linea d'ombra - anno XI - n. 82 - maggio 1993

ILCONTESTO Diritti, doveri e questione morale Pico Merzagora Pico Merzagora (Como 1941-J uan !es Pins 1992) è stato segretario e socio fondatore della Ledha, la Lega per i diritti degli handicappati nata nel 1979. Nel maggio 1992 "La tt!rra vista dalla luna" ha pubblicato un'intervista di Goffredo Fofi a Pico Merzagora e Stefano Losurdo, dedicata all'attività della Ledha e alle concezioni che avevano portato alla sua costituzione; nell'intervista era esplicita una critica al corporativismo delle associazioni storiche degli handicappati, ma era anche proposta una riflessione sulla politica che la Sinistra ha adottato nei decenni scorsi rispetto al problema dell'handicap, dove l'insistenza sul coinvolgimento delle istituzioni pubbliche ha portato spesso a trascurare la questione della solidarietà individuale o a considerarla patrimonio esclusivo del volontariato di matrice cattolica. Il nucleo del discorso di Merzagora qui di seguito pubblicato era stato preparato per la manifestazione del 1 ° Maggio 1992 a Milano, quando le inchieste della magistratura suTangentopoli erano già in pieno corso, sebbene ancora limitate ai politici e imprenditori dell'area milanese. La necessità di ampliarlo e dargli forma scritta è poi nata dalla convinzione che la riflessione più complessa e meditata permessa dalla pagina scritta fosse da preferire alle "comparsate" televisive dedicate all'handicap. Come ci ha ricordato Stefano Losurdo, che con Pico Merzagora ha lavorato negli ultimi anni, alla "TV del dolore" che espone il caso pietoso e alle denunce superficiali che trovano posto sui media, la Ledha ha cercato di opporre un discorso critico e autocritico sulla condizione dei soggetti deboli, che aiuti a riflettere sui doveri sociali di ciascuno, nonché sull~ disonestà e gli abusi molte volte presenti anche nelle forme pubbliche e private di àssistenza all'handicap. Nel modo dissacrante e generoso, antiretorico e complesso con cui Pico Merzagora si impegnava nel mondo, l'etica non era mai separata dalla politica e i "grandi scopi" stavano radicati nella correttezza e nella concretezza di ciascuno: le sue riflessioni sul rapporto fra handicap e questione morale provano ancora una volta che il trattamento dei deboli e dei diversi è una delle spie più sensibili della maturità e moralità sociali. "Felice è il Paese ricco di eroi, ma più felice ancora è quel Paese che non ha bisogno di eroi", così scriveva Brecht in uno slancio utopico sul quale non si può non essere d'accordo. Parafrasando il poeta potremmo aggiungere: "Beato il Paese che può fare ameno delle associazioni e dei volontari". Ma questo sarebbe possibile solo se il mondo andasse verso una riduzione delle diversità e delle ingiustizie. Sappiamo'invece che queste sono in aumento, sia a livello globale (Paesi sempre più ricchi e Paesi sempre più poveri, Nord e Sud che si allontanano), sia a livello locale (in ogni Paese, ricco o povero che sia, le vecchie e nuove povertà ed emarginazioni non sono destinate a ridursi, bensì ad aumentare). Lo hanno capito persino i nostri sindacati, che, per la prima volta dopo molti decenni, hanno festeggiato il 1 ° Maggio 1992 con insolite parole d'ordine, quali solidarietà, dignità della persona ecc. E per la prima volta in piazza del Duomo il tradizionale messaggio ai lavoratori è stato affidato anche a un rappresentante delle Associazioni di volontariato. E se oggi partiti e organizzazioni sindacali sono diventati mostri burocratici e corporazioni in difesa di privilegi grandi e piccoli, e pertanto risultano inservibili per il riscatto sociale dei più deboli, non bisogna dimenticare che alle origini e per molto tempo furono l'opposto e cioè centri di mutuo soccorso e di solidarietà tra oppressi. "Certo, si può e si deve lottare perché sia lo Stato, la spesa pubblica, le istituzioni del welfare, a ridurre le povertà, a sostenere i soggetti deboli, a offrire reti di solidarietà e assistenza agli emarginati. Ma è altrettanto certo che uno Stato - anche straordinariamente più sollecito ed efficiente di quello italiano - non è in grado di assolvere tale compito: e non sarebbe in grado, in ogni caso, di 'personalizzare' i servizi prestati, di dar loro quel connotato di 'sensibilità' e di 'affettività' richiesto" (Luigi Manconi). E così per molti secoli a venire avremo ancora bisogno di piccoli e grandi eroi, di volontari e di associazioni. Anche le associazioni hanno dovuto compiere un lungo e non facile cammino per aprirsi alle forze sociali superando l'isolamento e la logica corporativa in cui si erano inizialmente rinchiuse (anche se, purtroppo, alcune ne sono ancora prigioniere). Le prime associazioni nacquero negli anni Cinquanta per iniziativa dei genitori che non trovavano nessuna assistenza per i loro figli handicappati e che non volevano rassegnarsi e rinchiuderli a vita negli istituti. Allora gli handicappati erano soprattutto "bambini infelici": i mutilatini di Don Gnocchi, i piccoli mongoloidi ... E per lo più l'handicap era associato alla povertà, al bisogno di aiuto economico. A questa cultura del pietismo e dell'assistenzialismo contribuirono non solo i mendicanti ciechi e storpi che chiedevano l'elemosina ostentando la loro menomazione, ma anche le associazioni che pensavano di poter risolvere i problemi con la beneficenza pubblica e privata. Ma restavano chiuse in se stesse senza aprirsi al mondo esterno, arroccate sulla difensiva, ostentando atteggiamenti corporativistici e vittimistici, affidandosi per lo più al buon cuore della gente. Col tempo per fortuna le cose sono cambiate: Sono nate alcune nuove associazioni, più consapevoli e culturalmente più avanzate. Si è cominciato giustamente a puntare sui diritti e suIl'integrazione sociale. Eravamo negli anni Settanta e si fecero allora battaglie di grande respiro sociale. Si lottò per la chiusura delle scuole speciali e degli istituti-lager e si cercò in tutti i modi di favorire l'inserimento scolastico e quello lavorativo. Dalla richiesta di soldi e pensioni si passò alla richiesta di servizi. Fu una battaglia lunga e difficile; si commisero anche degli errori; ma alla fine, almeno dal punto di vista culturale, la linea dei diritti si è pienamente affermata. Anche la Legge Quadro sull'handicap ha accolto pienamente questi principi, e tutti noi abbiamo contribuito a farla approvare (anche se ci sono voluti quindici anni). Ma anche la cultura dei diritti ha avuto e ha le sue degenerazioni. In molti si è consolidato l'atteggiamento del- "tutto è dovuto" perché "ne ho diritto", "non ho altri doveri se non quello di pagare le tasse", "la città è sporca, ma io non raccolgo quel pezzo di carta perché tocca al Comune", ecc. C'è persino chi ha denunciato le FF.SS. (e alcuni giornali, chissà perché, hanno 19

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==