Linea d'ombra - anno XI - n. 82 - maggio 1993

IL CONTESTO la aveva anche la connotazione teologica di un'opportunità e una promessa circa la vera essenza della Chiesa. Quanto a prima vista era rivolto contro la Chiesa rivelava in realtà di tornare a suo profitto. È questa, in astratto e in concreto, la situazione delicata venutasi a creare in nome di Bonhoeffer, quantunque non esclusivamente nel suo. "Delicata" essa lo era non solo per il fatto di presupporre una considerevole capacità di discernimento. Essa rischiava inoltre perennemente di crollare su se stessa una volta che avesse trovato un'applicazione concreta. Il discorso circa la rinuncia volontaria al potere e ai privilegi si scontrava con un potere che nei confronti di parrocchie e singoli cristiani non lesinava ingiustizie. Il rigido sistema della Weltanschauung costituita favoriva non uno spirito maggiorenne ma al contrario una mentalità da minorenni. E gli "altri", per i quali la Chiesa doveva essere disponibile giorno per giorno, non erano coloro che si trovavano alla testa della costruzione del socialismo. I problemi pressanti e persistenti procurati dallo Stato a cristiani come non-cristiani spinsero la base a introdurre nell'immagine della "Chiesa nel socialismo" una costante controtendenza che, a sua volta, doveva in qualche modo trovare una collocazione all'interno di questa immagine. Il progetto sembrava possibile in quanto, per mezzo di quella formula, la Chiesa era in certo qual modo autorizzata a esprimere la propria opinione in materia di "socialismo". Questo, tuttavia, non era affatto in sintonia con la rivendicazione dello Stato al monopolio sull'interpretazione dell'ideologia. Nella Chiesa, infatti, ben lungi dall'essere rimesso alla libera interpretazione, il "socialismo" doveva essere semplicemente accettato. In seno allo Stato suscitò quindi la massima preoccupazione il discorso di H. Falcke, che nel 1972, al sinodo federale di Dresda, collegò la "Chiesa per gli altri" all'idea di un "socìalismo perfettibile". Agli occhi del partito un simile concetto era in fondo ancora più pericoloso dell'aperta ostilità del "nemico di classe". Esso era considerato come un'opera particolarmente raffinata e occulta del nemico di classe di fronte a cui occorreva correre ai ripari. Risultava perciò anche molto gradito il fatto che la Chiesa non affermasse di essere "favorevole al socialismo". Era nondimeno inevitabile che il socialismo, incasellato in categorie quali "giustizia", "età adulta" e "onestà di pensiero" venisse sottoposto a un'insistente analisi circa la sua perfettibilità, perfino nel momento stesso in cui aveva già capitolato da sé. Non è quindi lecito giudicare semplicemente come atteggiamento di acquiescenza allo status quo la visione che di sé aveva la "Chiesa nel socialismo". Proprio riferendosi a Bonhoeffer, la Chiesa aveva di sé un'opinione tale per cui in realtà si sottraeva continuamente allo Stato, costringendo il socialismo ad assumere quelle caratteristiche in virtù delle quali voleva essere "al suo interno". È proprio l'inconveniente di una simile coscienza della propria missione politica da parte della Chiesa che, sempre richiamandosi a Bonhoeffer, ha provato a contrastare il succitato H. Miiller. Nonostante qualche punto in comune con quanto appena affermato, la sua idea di "Chiesa nel socialismo" coincide a grandi linee con quanto lo Stato avrebbe auspicato fosse reale. Occorre tenere ben presente questa opposta prospettiva per poter valutare correttamente, di converso, che cosa fosse veramente la Chiesa "nel socialismo". Mi limiterò, a questo proposito, ai tratti fondamentali del pensiero di Miiller, lasciando altresì aperta la questione circa la liceità o meno del rimando a Bonhoeffer, dal momento che a mio avviso si spiega da sé. Miiller ha concluso, dalla sua interpretazione dell'evoluzione di Bonhoeffer che il compito secolare della Chiesa consistesse nell'adotta're una 14 Weltanschauung a-religiosa e scientifica quale il marxismoleninismo, ivi incluso l'ateismo. La giustezza di quest'ultima Weltanschauung era a suo avviso oggettivamente attestata. Qualsiasi aspirazione della Chiesa, o comunque di ordine spirituale, a plasmare il mondo in prima persona o in società con altri è quindi giudicata un tentativo di stabilire un dominio religioso sul mondo terreno. Il fatto che la Chiesa si esprima pubblicamente su questioni politiche è inconciliabile con la croce di Gesù Cristo. Una "etica cristiana" ha lo stesso valore di una "teologia naturale", vale a dire, agli occhi di Miiller, di una pretesa di governo terreno. Che cosa resta allora da fare, alla Chiesa? Risposta: deve fare ammenda, e precisamente per le sue incessanti pretese di dominio. Come può mai, e come possono mai i cristiani, vivere nel mondo quando al marxismo-leninismo viene attestata sotto ogni aspetto una "liceità apparente"? Risposta: essa crede e vive "contro le apparenze". In questo modo essa rimane una Chiesa vera e legittima solo sul fondamento della fede. Letti gli enunciati di questa, a suo modo, perfetta "tesi dei due regni" si fa effettivamente fatica a levarsi di nuovo quel problema dalla testa, e si prova un senso di sollievo all'idea di non doversi trovare nei panni di chi si trovi poi a dover vivere altresì una situazione del genere. Di conseguenza non stupirà mai abbastanza il fatto che si sia tentato effettivamente di influenzare la Chiesa con questa spinosa assurdità. L'impresa doveva avvenire tramite l'istruzione degli studenti e delle studentesse dell'Istituto di teologia di Berlino, di cui Bonhoeffer era via via esaltato quale "maestro". A favore degli studenti era stato istituito un "Premio Bonhoeffer". La dogmatica di Hanfried Miiller era diventata una materia obbligatoria già per il secondo anno di corso. Ma tutto ciò non servì granché, dal momento che un simile bombardamento ideologico aveva anzi un effetto deterrente su studenti e studentesse. Alcuni docenti universitari che preferivano scegliere un atteggiamento accomodante nei confronti dello Stato insieme al partito cristiano-democratico (CDU) anziché insieme ai socialisti (SED) [tanto CDU quanto SED erano nella DDR partiti di Stato, n.d.t.], osarono, sì, esprimersi talvolta contro la nobilitazione della "mancanza di religione" e a favore del valore dell'elemento "religioso", ma a giudizio di moltissime persone di Chiesa, il rimando a Bonhoeffer si tramutava a questo punto in bieco oscurantismo. Va forse ricercato proprio in questo motivo il fatto che non sia mai esistito nessun profondo interessamento a questa interpretazione berlinese di Bonhoeffer. Né è mai stata presa veramente sul serio. Al fine di mantenere il richiamo a Bonhoeffer a proposito del programma di "Chiesa nel socialismo" nell'ambito di un proprio movimento e una propria discussione critica sarebbe stata invece una scelta opportuna. 3. Dietrich Bonhoeffer e la fine del socialismo Ho già evidenziato in apertura come, nella DDR, la discussione intorno alla teologia di Bonhoeffer fosse animata da svariati terni e angolazioni. Il fatto che essa non abbia mai presentato una vasta convergenza di opinioni non è del resto casuale. L'iter e l'opera di Bonhoeffer sono infatti car~tterizzati dal suo tentativo di puntare sempre alla totalità in ogni sua azione e in ogni suo pensiero: nella concentrazione cristologica di tutti i giudizi teologici, nel pacifismo, nella devozione dell'"eredità", nelle diverse impostazioni dell'Etica, nella lotta tra Stato e Chiesa, nella Resistenza e così via. Quanto di volta in volta risultasse decisivo dipendeva, e dipende, poi in ampia misura dal modo in cui i singoli si confrontavano, e si confrontano, con tutto ciò. Fra gli alterni poli,

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