STORIE/MASTRANGELO Un certo pomeriggio di gennaio veniva giù quella pioggia insistente e continua che dopo un paio di giorni entra nelle ossa. Nel bar entrarono due giovani mai visti prima di allora. In ufficio Luisa accese la radiolina portatile che teneva nel cassetto e sentì che la pista non era più araba: si sospettavano intrecci europei, la RAF ricostituita, le BR che si stavano riorganizzando ... C'era una pista italiana, e l'Interpol stava coordinando le indagini. Si sentì giocata, loro che si credevano definitivamente fuori, al riparo. Come quel personaggio dell'ex carbonaro nel film dei fratelli Taviani, che non riesce a liberarsi dei vecchi compagni d'arme finché non li denuncia. Di nuovo a casa, mentre cercava di sfogare il nervosismo in piccoli traffici domestici, lo squillo del telefono la fece sobbalzare. - Ahò, so' Mario, ve volevo ringrazzia' pe' l'ospitalità. - Ma dove sei? -E dove devo da esse'? So' a Roma, no? te sto a telefona' dal dopolavoro ... Qui c'è un collega mio che se voleva compra' 'na macchina lì in Belgio, perché costa meno, per via dell'IVA e che la FIAT fa 'no sconto più forte. Aveva chiesto informazione a 'n garagista e gli avevo dato er numero vostro. Che v'ha telefonato quarcuno? - Sì, qualcuno ha cercato te... - Ah, mannaggia, ha telefonato quanno ero già partito ... Va be', 'n fa niente. Ab, ve volevo di', a Amsterdam ce stavano un sacco di Van Gogh: me ne so' preso uno così la prossima volta ve lo porto. POMERIGGI DA ASSASSINARE Giovanni Mastrangelo A metà pomeriggio c'era poca gente nel bar. Di tanto in tanto entrava un passante e ordinava un caffè al banco per berlo in un sol fiato. Di solito gli avventori occasionali erano così di fretta che non aspettavano nemmeno iIresto di pochi spiccioli. Dopo il caffè sparivano dentro alle sciarpe e ai cappotti per ritornarsene in strada, senza lasciare alcuna traccia sull'asfalto umido. Di pomeriggio nel bar i clienti abituali erano per la maggio\ parte residenti di quello stesso quartiere e soprattutto negozianti o artigiani della zona. Per esempio l'idraulico Tubi arrivava più volte per un bicchiere di vino e ugualmente faceva l'antiquario che era grasso con la barba arruffata e una risata tonante come l'orco di Pollicino. Tutti i pomeriggi entrava il barbiere Asmonti, un uomo vecchio, leggermente strabico, col negozio a fianco. Ordinava un caffè corretto per berlo nei momenti di pausa del suo lavoro. Bisognava conoscerlo abbastanza bene per affidare la gola ai suoi rasoi e a quello sguardo penetrante o completamente assente, a seconda che venisse dall'occhjo diritto oppure da quell'altro; comunque dopo le prime volte nessuno di noi del quartiere faceva più realmente caso allo strabismo di Asmonti, anzi era ormai considerato un vezzo, un tocco vagamente femminile che si intona bene con la figura del barbiere. Italo, il barista, era un uomo piccolo e tondo, coi capelli neri tirati ali' indietro, baffi a manubrio, occhi scuri e veloci e una pantera nera tatuata sull'avambraccio. Le pareti del locale erano di color colla e i vetri che davano sulla strada appannati. Le sedie impagliate con gli schienali arrotondati circondavano tavolini tondi col piano di marmo chiaro. La musica soffusa della radio e le parole squillanti dei clienti rimbalzavano sulle lastre chiare dei tavoli come note su una tastiera e allo stesso modo la luce proveniente dalle finestre e dalle lampade a muro in ottone saltellava di tavolo in tavolo verso quella parte remota e buia del bar che di pomeriggio era sempre vuota. Nelle ore più quiete délla giornata la luce non entrava mai dritta negli occhi e così era un ottimo luogo per andarci a bere o a leggere. Con Italo l'argomento di conversazione più frequente era la boxe; se ne intendeva e mi piaceva ascoltarlo parlare e vederlo muoversi dietro il banco dalla cintola in su. Racconta di pugili visti sul ring e dei diversi modi di combattere. Con le maniche della camicia rimboccate e la pantera nera che si dilata ad ognj movimento dei muscoli mi mostra un allungo, una posizione di guardia, come schivare un gancio destro al volto stando fermo sulle gambe. · Un certo pomeriggio di gennaio venjva giù quella pioggia insistente e continua che dopo un paio di giorni entra nelle ossa; Italo asciuga i bicchieri come al solito in maniche di camicia, noncurante dell'umidità. Entrarono due giovani mai visti prima di allora. Uno dei due (potevo vederlo bene in faccia perché si sedettero al tavolo di fronte al mjo) aveva l'espressione stanca, tirata come chi non riesce a prender sonno notte dopo notte. La barba non rasata, le sopracciglia folte, i capelli scuri. Era vestito di blu e fumava sigarette francesi. Le dita lunghe, nodose, con le unghie tagliate corte, esprimevano col movimento di tutta la mano un nervosismo profondo che doveva essere radicato nel suo carattere. Occhiaie marcate. Il suo amico mi dava le spalle; ne avevo intravisto solo il volto per un istante: gli occhi seminascosti dietro la montatura d'oro degli occhiali; un uomo alto e grosso. Spalle larghe. Andai al banco a riprendermi da bere e quando mi sedetti di nuovo al mio tavolo con le orecchie tese, quello dei due che potevo vedere bene in volto stava già parlando animatamente. " ...e me lo ha detto e ridetto in mille occasioni proprio lei stessa. Io ho sempre messo bene in chiaro che non mi importa un _accidente di cambiare vita, se è una decisione che prendiamo insieme. Potrei fare qualsiasi cosa. Siamo stati così bene per più d\ due anni. È lei la prima a riconoscerlo. Certo, abbiamo avuto i nostri momenti difficili. E chi non li ha avuti? ..." • "Cosa volete bere?" interruppe a voce alta Italo da dietro il banco. "Un caffè e una birra scura" gridò di rimando quello dei due che mi dava le spai le, senza nemmeno interpellare l'amico su cosa volesse bere. "Penso che sia esaurita," 1i prese l'altro, "oppure ha un problema che non ha il coraggio di dirmj_ Soldi, forse la salute, non so ... Io potrei -aiutarla. Tu lo sai che farei qualsiasi cosa per lei. Denaro, tempo ... Tu lo sai che stiamo bene insieme e che ci amiamo ... Tutti e due ..." 77
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