Linea d'ombra - anno XI - n. 80 - marzo 1993

mette a scrivere un romanzo con un obiettivo a priori; narro semplicemente, descrivo dal punto di vista della finzione, non chiedo aiuto a nessuna ideologia. Non è questo il ruolo della letteratura, certo alla lettura fa seguito un processo di riflessione e ciò porta a meditare sul disastro ecologico che tocca l'Amazzonia; in questo senso accetto che venga definito romanzo ecologico. Ciò che non accetto è l' incasellamento: non sopporterei di vedere i I mio romanzo alla lettera E, due punti, ecologia, assieme a libri che insegnano come coltivare la soja o preparare yoghurt casereccio. La storia di Antonio ]osé Boffvar Proano parte da uno spunto reale? Sì, però al tempo stesso non ne sono certo. I personaggi sono fittizi e qualsiasi tentativo di avvicinare la vicenda alla vita reale è assolutamente intenzionale. Ricordo che nel 1978 accompagnavo un caro amico, dirigente della Federazione dei Contadini di lmbabura: Vidal Sanchez. Avevamo l'abitudine di fermarci a mangiare formaggio di foglia con gallette; io ero assolutamente dipendente da quel formaggio, era come una droga, mi piaceva da impazzire. In uno di quei momenti Vidal mi presentò un vecchio di età imprecisata, dal corpo molto elastico, senza treccia, che teneva la dentiera in un involto, in un fazzoletto. Vidal mi confidò anche che quel vecchio era lì di passaggio, che viveva nella foresta, ad oriente. Scambiai con il vecchio un paio di parole anodine, niente più e non ebbi mai più occasione di vederlo, eppure la sua figura mi restò stampata nella mente. Più tardi, a El Dorado, il porto fluviale del Rio Zamora, conobbi un altro vecchio della sierra che viveva solo in una capanna vicino al fiume: parlava muovendo le labbra come se stesse masticando le parole. A loro, credo, si ispira il mio personaggio. Come hai concepito il romanza? Vuoi dire di chi è la colpa. Il fatto è che mentre conoscevo il mondo Shuar pensai di scrivere qualcosa, un racconto, un'opera teatrale ma non un romanzo. Temevo che se qualche giorno avessi pubblicato ciò che sapevo sul mondo Shuar, sarei stato responsabile di una specie di invito agli scrittori senza ispirazione o agli idioti con voglie d'avventura; proprio come dirgli "avanti, lì c'è la foresta, non ci avevate pensato?". Pensavo continuamente alla storia fino a che un buon amico che la ascoltò e riascoltò fino quasi ad impararsela a memoria - questo amico era Chico Méndez, il sindacalista dei "caucheros" che pagò con la vita il grande amore per l'Amazzonia - mi disse di smetterla con le stronzate e di cominciare a scrivere. Fu così che lo feci, in Iugoslavia; una mattina mi sedetti sotto un ciliegio e al tramonto avevo le cinquanta pagine dello scheletro. Continuai a lavorarci ad Amburgo e quando finalmente era finita, quando avevo messo il punto, mi sentii vuoto, triste, solo. Ero felice mentre scrivevo, ero nel mio mondo e non ne volevo uscire. Purtroppo non si può evitare l'odioso inganno del punto e fine e allora uno è come un apolide. Poi mentre il romanzo veniva premiato in Spagna col "Tigre Juan", in quello stesso periodo assassinavano Chico Méndez. Com'è la tua vita in Germania? Movimentata. Combino la letteratura e il giornalismo, corro di qua e di là. Ci ho vissuto ormai un quarto della mia vita, dieci anni, però non sto sempre in Germania. L'Europa è piccola, qualche INCONTRI/SEPULVEDA volta asfissiante, però ti permette di vivere con ciò che scrivi, cosa che nei nostri paesi è impossibile. Mi ricordo sempre di un ufficiale di dogana a Quito; ogni volta che dovevo mendicare un visto mi chiedeva la professione. Quando gli rispondevo "scrittore" ripeteva "le ho chiesto la professione". Fra l'altro in Germania gli scrittori possono contare su un'ottima fonte di lavoro che è la radio, ma qui impari anche che vieni da là. Non sei ecuadoriano o cileno, sei latino e la colonia è grande. Ma più che come scrittore tra i latini sono conosciuto per le mie frittate. Nessuno le sa fare meglio. Come è vista là la letteratura latinoamericana? Ha il suo pubblico. Normalmente le edizioni tedesche sono migliori rispetto a quelle dei nostri paesi. Le grandi case editrici non controllano solo il mercato ma anche i gusti. Le aspettative per la nostra letteratura cominciano con il cosiddetto boom: Garcfa Marquez, Cortazar, Rulfo, Vargas Uosa, José Enrique Adoum, José Donoso, Carlos Fuentes. Ora i più letti sono Alvaro Mutis, Joao Ubaldo Ribeiro e il cubano Jesus Dfaz. I tedeschi sono lettori affezionati, così si ripetono anche le edizioni di vecchi maestri come forge Icaza, però questa fedeltà porta anche a metterci tutti nello stesso sacco. Mi spiego: il primo romanzo di Isabel Allende ha battuto i record di vendita ed è comprensibile poiché è un buon romanzo, però i successivi, che non sono altrettanto buoni, hanno fatto calare non solo le sue vendite ma anche quelle di tutti gli scrittori latino-americani. Nonostante tutto però l'aspettativa e l'attesa rimangono; il problema è che mancano rapporti, contatti ed ora ci troviamo di fronte gli spagnoli che. si sono svegliati dopo quarant'anni di franchismo e hanno iniziato a competere con noi e non sempre con lealtà. La Spagna è una potenza editoriale, i consorzi spagnoli comprano addirittura case editrici nei nostri paesi e ci condannano a rimanere in un ambito locale. È una pericolosa pratica di neocolonialismo quella che tentano di imporre, forza del denaro, si sa. All'ultima Fiera Mondiale del Libro di Francoforte i paesi latinoamericani presenti con tutti i loro stands occupavano lo spazio di non più di uno degli stands spagnoli. Bisognerà correre ai ripari. Lavori che hai in progetto? Ho appena ricevuto il premio "Juan Chabas" per la sezione romanzo, in Spagna, con Il mondo dellafine del mondo. È una storia di balenieri, si svolge nelle acque australi della Patagonia e della Terra del Fuoco. Esce a giugno da "Destino" in Spagna ma sto cercando un editore anche per l'America Latina. A fine anno uscirà anche un libro di racconti, a Montevideo, e Il vecchio che... in tedesco uscirà a settembre; sarà presentato alla prossima Fiera Mondiale del Libro. E poi lavoro. Ho concluso la seconda avventura di Antonio José Bolivar Proafio. Non so se te l'ho detto prima, ma Il vecchio che... è parte di un trittico che ho chiamato trilogia amazzonica. Per concludere sto pensando a un romanzo a proposito di due banditi yankee, Butch Cassidy e Sundance Kid, che morirono in Patagonia svaligiando banche a settant'anni, per finanziare rivoluzioni anarchiche. Era un progetto a quattro mani, le altre due erano di Bruce Chatwin, un amico scozzese; purtroppo ha commesso la peggiore slealtà che si possa fare ad un amico. È morto ... Tant'è, io continuo a scrivere; chi nasce cicala muore cantando. 73

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