Linea d'ombra - anno XI - n. 80 - marzo 1993

AL MARGINE DELLA GRANDE FORESTA Incontro con Luis Sepulveda a cura della redazione di "Palabra Suelta" traduzione di Marco Nifantani Luis Sepulveda è nato a Ovalle, nel nord del Cile; girovago, ha vissuto senza residenza fissa fino a che nel 1977 ha dovuto abbandonare la città natale avviandosi all'esilio. Avvicinatosi al giornalismo nel 1978, partecipa ad una ricerca patrocinatadall'Unesco nella Amazzonia Ecuadoriana. La vita tra la gente Shuar gli fornirà elementi tali da cambiarne la percezione del mondo; il suo ultimo romanzo Un vecchio che leggeva romanzi d'amore, che sappiamo essere stato comprato in Italia, ma non da chi, è un omaggio al lontano mondo amazzonico, oggi aggredito violentemente dalla voracità del "desarrollismo". Lufs Sepulveda ha al suo attivo alcuni premi internazionali di letteratura tra cui il "Casa de las Américas" ali' Avana, Cuba, nel J 969. Qual è stata l'importanza della foresta ecuadoriana? La foresta, tra le altre cose dell'Ecuador, mi ha trasmesso elementi che hanno cambiato la mia percezione del mondo. Cercherò di spiegarlo brevemente: quando arrivai inEcuador nel 1977, ero un esiliato cileno arrivato a Guayaquil e poi a Quito dopo un lungo viaggio attraverso Argentina, Uruguay, Brasile, Paraguay, Bolivia e Perù. Quando arrivai ero nella condizione del cileno prototipo, con due complessi; uno di inferiorità nei confronti degli argentini, che erano meno indigeni dei cileni, e un altro di superiorità nei confronti del resto degli abitanti del continente, poiché erano più indigeni dei cileni. Peraltro potevo vantare il merito di provenire da un processo rivoluzionario che era stato soffocato nel sangue: di conseguenza ero un po' martire ed un po' oracolo. Io ero militante del Partito Socialista, credente tra i credenti; la dichiarazione di principi del mio partito e delle sue cento frazioni suona così: "La rivoluzione è un compito di questa generazione e la nostra meta è lacostruzione della Federazione delle Repubbliche Socialiste dell'America Latina". Così modesta e semplice, vero? Ma mi e ci mancava un corpo adatto ad una bocca così grande. La prima volta che uscii a vedere Quito, mi resi conto che non capivo niente, ascoltavo parlare quechua, vedevo persone con pesi inumani sulle spalle, cominciavo a conoscere rituali di società che mi risultavano ancora più strani di quelli che avevo conosciuto in Europa. E dire che quella era parte del mio continente, della "grande patria" che volevo trasformare senza neppure conoscere. Come me la cavai? ... Ebbi la fortuna di stare in mezzo a gente sensata, Cecilia Amaluiza, Mariana Segovia e César Ortiz, due lavoratrici sociali e un antropologo. Mi spiegarono l'Ecuador attraverso il loro paziente lavoro basato sulla difesa delle etnie e sgonfiarono le mie borie nella misura in cui mi fecero capire che di quella piccola porzione del mondo non sapevo nulla. Qual è stato il tuo rapporto con il mondo Shuar? Cominciò con una ricerca per misurare gli effetti della colonizzazione, un eufemismo sociologico per nascondere domande del tipo "Quanti ne rimangono? Cosa rimane delle loro culture? Come mai li integriamo per poi fotterli?". Ma è stato ed è anche un rapporto basato sulla meraviglia; tra loro ho incontrato purezza, profonda e saggia ingenuità. Ma non è stato facile. Ali' inizio mi sembrava impossibile pensare che potessero ancora esistere·esseri così lontani dal fatalismo. L'aggressione era lì, molto vicino, coi bulldozer che aprivano sempre nuovi varchi, la foresta incendiata, l'alcolismo di quei poveri miserabili coloni, eppure avevano fiducia nei loro riti, nella loro cultura anteriore al dio posticcio dei cattolici. Per fortuna non eravamo soli; alcuni Shuaras approfittarono saggiamente dell'apporto dei bianchi e se ne valsero per 72 Foto di Anno Peterson do "Palabra Suelta". difendere la propria razza e la propria cultura. Parlo della Federazione dei popoli Shuar, dei suoi dirigenti che con grande criterio "filtravano" i possibili ricercatori per frenare l'aggressione.C'erano anche professionisti come quelli che ho citato e che realizzavano il proprio lavoro in base a un rigoroso codice etico e senza cercare il successo facile che gli avrebbe valso il parlare di un mondo esotico. Prima di conoscere l'universo Shuar ero fradicio di ideologia; avrei potuto ideologizzare su qualsiasi cosa, vale a dire che avrei potuto ridurre tutto alla misura dei miei interessi e stabilire relazioni paternalistiche con coloro "che avrei salvato". Furono loro a dare il primo calcio a quello stupido messianismo e al tempo stesso a farmi capire che tutto ciò che ci differenziava in realtà ci univa in un rapporto culturale onesto, rispettoso delle differenze. Qualche anno più tardi, a contatto degli Aguarunas e altre etnie Shuar che abitano in territori che ci si ostina a definire peruviani o brasiliani, quel rapporto si è così approfondito da diventare solidissimo: è il mio rapporto con l'Amazzonia. Prima parlavo dei territori disputati tra due paesi, ecco il paradosso: parlare di sovranità nazionale su un mondo sconosciuto è una pretesa ridicola. Il mondo amazzonico, le culture amazzoniche e non solo gli Shuar preesistevano al momento della spartizione politica del continente. È un crimine pretendere che tali culture siano divise in questo modo.L'Amazzonia deve essere dichiarata riserva naturale e ogni nazione che vi abbia territori dovrebbe sforzarsi per proteggerla ma sappiamo che non è così, che ogni giorno si deforestano e desertificano migliaia di ettari condannando molte culture all'estinzione ... Ho un rapporto d'amore con il mondo Shuar e ciò che si ama si dif_!!nde... Definiresti Un vecchio che leggeva romanzi d'amore un romanzo ecologista? Ecologismo è un termine molto ampio, investe troppi aspetti, alcuni dei quali contraddittori; alcuni ecologisti tendono al purismo, a un radicalismo che dimentica il "dettaglio" più importante: l'aspetto umano. Peraltro penso anche che uno scrittore non si

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