STORIE/CHAKKAS Da tempo vorrei avere il coraggio di darmi fuoco. Naturalmente, non per un qualche scopo. Per una causa più profonda, l'autodistruzione che s'annida dentro di me... se mormorasse: "Hai visto come t'ho ridotto? Ricordi quando arrivasti dal paese com'eri gagliardo? Com'è che ti sei invischiato così, poveraccio, casa-casuccia? Io sono il premio dopo venti anni di lavoro. Per lavarti di sotto. Hai visto dove t'ho portato?". M'avevano legato al giogo col mio assenso (questo è il peggio), perché venissi a finire qua davanti ad una serie di cose inutili, secondo me, o che, se pur sono utili, vadano a farsi impiccare, non valgono quanto questa faccenda che si chiama vita e gioventù. Gli anni migliori li ho scialati come una formica trasportando e sistemando questa casa merdosa, costruendo alla fin fine questo bidé. Vent'anni m'ha trangugiato la sua fogna, ed io ora sono rimasto come un limone spremuto, il volto appassito, per un bidè. Con queste riflessioni azionai lo sciacquone e poi andai alla finestra a respirare un po', ad ascoltare il suono della città. Da ogni parte veniva un rumore strano. Non era il noto rumore delle automobili. Questo era d'un altro tipo: un insistente plash-plash copriva ogni altra voce. Drizzai l'orecchio e compresi. Tutto il bacino dell'Attica s'era mutato in uno sconfinato bidè e ci eravamo seduti tutti sopra e ci lavavamo, ci lavavamo, ci lavavamo, mentre centinaia di migliaia di sciacquoni versavano cascate d'acqua, salutavano il nostro progresso. DARSI FUOCO Da tempo vorrei avere il coraggio di darmi fuoco. Naturalmente, non per un qualche scopo. Per una causa più profonda, l'autodistruzione che s'annida dentro di me stabilmente e che tuttavia non è sufficiente per procedere a questo passo disperato. Fortunatamente s'è trovata una causa più seria: da un bel po' il medico squadrava le lastre e tutto il suo imbarazzo si esprimeva con quel suo manipolare gli occhiali. Portava l'indice al centro della montatura e spingeva, ma io vedevo che erano saldamente inforcati. "Cancro", mi dissi. "Quanto tempo vivrò ancora? Forse solo qualche mese." Dentro di me sentivo dei dolori profondi e questa poca vita che mi restava d'ora innanzi avrei dovuto scialarla in terapie, ospedali, di nuovo esami, proprio ciò che mi disgustava, consolazioni e sforzi condannati e vani. In quel momento mi venne di nuovo l'idea di darmi fuoco: una tanica di benzina ed una scatola di cerini asciutti, e tutto è finito. Ah, certo, anche alcune lettere spedite il giorno prima, messaggi coi miei punti di vista o una sorta di souvenir da parte di un tale che ha ardito qualcosa. E per l'appunto avevo pronta la missiva nel cervello, più o meno questa: "Protesto per la situazione, voglio dire questa situazione schifosa che si protrae il più delle volte senza motivo, e son costretto, per una qualche causa più profonda, a manifestare la mia protesta nel modo che conoscerete fra breve. E in ogni caso nessuna vita serve, tutte van perdute, qual è la ragione di continuare?". "Naturalmente non mi lamento di ciò che ho vissuto e di ciò che non ho vissuto. Ciò che ho fatto fu ben fatto. Non mi pento di nulla. E se mi toccasse di rivivere, nelle stesse opere e omissioni ricadrei." 70 "Anche se a quasi nessun uomo mai le cose sono andate come voleva, questa non fu causa d'un tal gesto. Voglio dire che non v'è bisogno che anche altri agiscano come agisco io." Agli amici più stretti, assieme alla lettera anche un avviso d'appuntamento: tal ora, tale piazza. Non un annuncio di ciò che sto per fare. Così, ingannevolmente, diciamo, per berci un caffè e per riferire loro anche una certa buona nuova. Naturalmente ho il mio scopo. Li voglio come testimoni, che si godano anche un po' lo spettacolo, e che poi possano raccontarlo agli altri. E certo nessuno doveva sapere che c'erano motivi di salute. Alcuni avrebbero attribuito il gesto ai mal di testa e alla depressione degli ultimi tempi, altri sarebbero andati a cercare altrove. Per questo dovevo far sparire ogni indizio, esami e lastre, e neutralizzare addirittura questo medico. Gli avrei detto: "Frottole. Nell'ultimo periodo, invece di .dimagrire ingrasso". Avrebbe vacillato. Forse avrebbe fatto anche quel movimento per inforcare bene gli occhiali. "Dammi i papiri e le lastre." Per quanto riguarda la mia salma fetente, ciò che ne rimarrebbe, lascerei direttive scritte ai miei: Non funerali a spese del comune, ufficialità, discorsi e bave, corone di scarlatte rose da chi sotto le ruote di quando in quando mi spingeva. Camposanto: quello di Kesarianì, in una parte abbastanza alta per vedere anche un po' il mare. Se non c'è un posto con vista sul mare, allora si curino di mettermi accanto o abbastanza vicino alla signora Maria, la vicina che aveva comprato in terrasanta i sudari. Non mi cambino il vestito. Sarà molto doloroso per quelli che ci proveranno. Le ustioni sarebbero profonde. Non occuperei un letto. Mi porterebbero direttamente nella camera mortuaria. L'autopsia non mi farebbe male. Me ne infischierei. C'era anche il pericolo che tutto il mio tentativo fallisse per mano di un amico che, in un generoso slancio dell'ultimo istante, mi avrebbe gettato addosso il paltò e magari m'avrebbe salvato. Allora sarei già stato bruciato. Non mi dovevano spegnere prima del tempo. Decisi di farmi tutt'attorno un cerchio di fuoco, spandendo un po' di benzina per sicurezza, perché nessuno mi si avvicinasse. Bene. Ora avrei dovuto preoccuparmi anche dello spettacolo. Sarei andato vicino ai gradini. Così amici e passanti si sarebbero piazzati come sugli spalti e di lì avrebbero ammirato questo bengala umano, un superspettacolo che avrebbero potuto narrare ai loro figli per anni. E mentre m'abbrustolirò intero, griderò che questa vitaccia è diventata sterile e infeconda, che per me ormai non val più nulla e che se loro che m'ascoltano hanno il coraggio, allora continuino pure ma con una qualche coerenza tuttavia, con una qualche logica, e queste cose dirò finché non mi si arderà l'ugola, e finché non mi cadranno spennate le mani farò le fiche in ogni direzione, finché non crollerò, ceppo sul selciato. Finalmente il medico parlò: "Non è nulla". "Per caso cancror "No, no. Assolutamente nulla." Sorrideva. E nonostante gli occhiali ora gli fossero caduti sul naso, non fece alcun tentativo di inforcarli bene. Mi stroncò tutto lo slancio. E allora me ne tornai a casa mia, mi feci una solenne abbuffata, mi abbandonai al sonno ed al mattino, al mio risveglio, quest'idea s'era dileguata.
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