Linea d'ombra - anno XI - n. 80 - marzo 1993

IL FOTOGRAFO E ALTRE STORIE Màrios Chàkkas a cura di Giovanni Bonavia Figura originalissima nelle lettere greche di questo secolo. gran tempra di narratore, caustico bombarolo dei credo, delle retoriche e delle ideo1ogie consacrate è Màrios Chàkkas. nato nel 1931 a Makrakòmi nellaFtiotide e morto prematuramente nel 1972 dopo una lunga e torturante malattia. Iniqua la sorte toccatagli finora quanto a riconoscimento letterario, ma è Disegno di Fotis K6nloglu. un fatto questo forse inevitabile in un paese come la Grecia, spesso estremo, violentemente dicotomico: Chàkkas non fu accettato dalla destra, perché palesemente di sinistra, ma ebbe gravi difficoltà anche con la sinistra organizzata in partito, giacché prese ad allontanarsi dal dogma ufficiale fin dal 1962, arrivando presto al distacco definitivo. Chàkkas esordisce con una raccolta di poesie, Omorfo kalokèri (Bella estate, 1965), poi narra con scabra ironia e sprazzi di lirismo la propria formazione giovanile di attivista politico - coi quattro anni di prigione che gli costò - e i due anni di servizio militare come mulattiere nei racconti di O Tyfekiofòros tu echthrù (Il fuciliere del nemico, 1966). Raggiunge la maturità espressiva con O bidès ké àlles istorìes (Il bidè e altre storie, 1970), da cui sono tratti i tre spietati racconti che presentiamo. Il tema della malattia dilaga infine nella serie di narrazioni intitolate_Tò kinòvio (Il cenobio, 1972), dedicate a spappolare la retorica della morte bella e composta. Lo sfondo comune di questi ultimi due libri è il quartiere ateniese di Kesarianì, insanguinato dalla guerra civile e molto amato da Chàkkas, che vi trascorse tutta la vita. Kesarianì è per lui un'immensa cisterna di volti, destini, gesti, tic, piccole follie e vizi ossessivi, l'umile pungolo quotidiano per la sua scrittura. IL BIDÈ Rosi dentro ci avevano, e non ce n'eravamo accorti. Quel bagno de luxe col cavalluccio marino a mo' di stemma sulle piastrelle, un'anatra e attorno gli anatroccoli, cigni e pesci paradiso, lavello, tazza, vasca, bidè, parabidè tutti luccicanti, avevano svolto il loro ruolo sornioni, avevano scavato dentro profondamente in noi, come termiti, come il tarlo il legno, ed ora ci sentivamo svuotati. Ricordo quando venni dalla provincia per la prima volta ad Atene ed affittai u.nastanza senza cesso. C'era certo un cesso alla buona nel cortile, ma si doveva scendere una scurissima scala di legno che scricchiolava e faceva saltare tutti in piedi.-Una sera che pioveva mi prese mal di pancia a mezzanotte, la feci in un giornale e, dopo averla impacchettata per bene, ci misi persino un nastrino col fiocco, andando al lavoro di primo mattino la lasciai in mezzo alla strada. Ricorderete di sicuro quanti pacchetti del genere incontravate allora per le strade. Certuni li scalciavano per indovinarne il contenuto. Si racconta che un tale ne portò uno alla polizia senza aprirlo e voleva la ricompensa per il ritrovamento. Eh, un pacchetto del genere l'ho fatto una volta anch'io, e ancora adesso che lo ricordo tanti anni dopo mi viene da ridere. A quei tempi ero un uomo di buon umore con poche esigenze. Mi radevo solo due volte la settimana, quando avevo l'appuntamento sulla montagnola con una ragazza, che aveva sempre fretta di tornare a casa. Tutto alla chetichella faceva, e aveva un fratello severo, mentalità da siciliano. E allora me la sposai. Che avrei potuto fare? Già che le prendeva ogni volta che tardava ... D' altronde, a questo l'uomo è predestinato, così perlomeno si dice. Tuttavia, com'è e come non è, mi trovai con tutti i bottoni ben saldi, è anche questo un vantaggio, è anche questa una sicurezza. Che camicie stirate all'inizio, che ricambi puliti, scarpe lustre, proprio a puntino, come si dice! Aveva anche una casuccia sua, un'unica stanza, ma un gran cortile, e pian piano coi nostri risparmi tirammo su la cucina e altre stanze. In generale progredimmo. Prendemmo frigo e lavatrice e la vita diventava sempre più agiata. Solo col gabinetto tardammo. In fondo al cortile dentro una baraccuccia c'era un cesso alla turca che mi costringeva ogni mattina a starmene lì accovacciato, anche se questo era un buon esercizio poiché non avevo l'abitudine di fare ginnastica. Nella baraccuccia c'era anche una fontanella di latta che riempivo ogni mattino per lavarmi. Bagno nella tinozza. Il sabato sera cominciava l'avventura. Mia moglie mi ficcava nella tinozza e mi strofinava fino a spelarmi. Bene. Continuavo a progredire. Aiuto contabile ancora saldavo il conto della camera da letto, un mobile pesante con comodinetti e sopra gli abat-jour, ciel il mio, rose quello dellà signora. Poi divenni contabile di ruolo, fu quando prendemmo anche quel terrenuccio a rate. Anzi ci piantammo pure due o tre alberi che all'inizio, per l'insistenza di mia moglie, andavo ad innaffiare ogni domenica. Poi seccarono anche loro, molti gli impegni, ormai capocontabile, cospicuo lo stipendio ed in pochi anni la casa era complète, meno la toilette. Restava come coronamento d'uno sforzo di vent'anni. "Prima o poi viene il momento anche del bagno", dicevo a mia moglie che mi teneva sempre il broncio, si lamentava; qualcuno viene a trovarci, vuole andare a far pipì e lei giù il muso. E d'altronde, che era mai il cesso al punto a cui eravamo giunti? La coda dell'asino. E come tutte le cose che si sistemano una volta nella vita ci mettiamo di buzzo buono per farle nel modo più sfizioso, così anche nel caso del bagno feci di tutto per cavarne qualcosa di bello: misi piastrelle carissime che formavano un insieme bizzarro con varie rappresentazioni per darmi una piacevole sensazione in questo spazio, e tutti i sanitari indispensabili, naturalmente anche il bidè. Gli altri sanitari non m'importunarono. Me ne infischiavo. Hanno un'utilità e poi all'età in cui ci troviamo adesso godiamocela un po' anche noi. Solo il bidè mi irritò e travolse anche gli altri. Il bidè. Perché, visto che sono stitico e ce l'avevo davanti per un pezzo, mi parve che mi prendesse in giro con quel suo volto oblungo, un occhio blu e l'altro rosso, triangolari sulla fronte e stralunati proprio da rana, la sua bocca, chiavica che succhiava giù tutto con quel rantolo improvviso alfa fine dell'acqua, come 69

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