INCONTRI/NAIPAUL Molte delle mie opere sono state letteralmente strappate fuori con disperazione da un uomo che stava seriamente dubitando della sua capacità di andare avanti. cavaliere negli anni Venti. Il punto centrale esposto da Iqbal nei suoi saggi sull'Islam, è che l'Islam non è soltanto una religione di coscienza, come il Cristianesimo; necessita di una società. Di conseguenza, dice Iqbal, i musulmani devono avere la loro società. Questa è la base dello stato del Pakistan; ed è paradossale che dopo aver ottenuto il Pakistan, la stessa cosa venga riproposta ora qui, in Inghilterra. È puro servilismo. Non si può sempre avere tutto; non si può pretendere buona condotta, tolleranza e legalità solo dagli altri, così si comportano gli schiavi. Si parla molto di religione, sia in questo libro che in altri suoi più recenti scritti. Sono cambiati i suoi sentimenti religiosi? Io non ho una fede, non credo in niente, mi interessa come l'uomo se la cava ogni giorno con la vita. Non mi serve una fede: il mistero è qualcosa che tengo per me solo, non ho bisogno di libri che mi aiutino, non ho bisogno di profeti o maestri. È un mistero meraviglioso e devo lasciarlo così com'è. I riti indù di Trinidad che ha conosciuto da ragazza, e che le sono tornati alla memoria in India, non hanno mai significato nulla per lei? Erano semplicemente parte dell'identità della gente. Definivano ciò che uno era. Mal' atto in sé non aveva significato. È come il rapporto che esiste tra alcuni Sikhs e il turbante che portano, o altri aspetti della loro fede. Il rito in sé non significa nulla, ma è parte di noi stessi. Persino tra gli antichi romani solo pochissimi conoscevano il significato dei riti che praticavano. L'ultima volta che ci siamo visti, mi disse che invecchiando diventava sempre più induista. L'idea della vita come illusione? È una cosa che sento molto. Credo di vivere ogni giorno a stretto contatto con questo concetto. È un modo particolare di pensare, come entrare in un'altra stanza che è stata aperta davanti a te. Per molti anni mi sono addormentato pensando alla morte, atteggiamento che rientra in questa idea della vita come un'illusione. Immagini molto violente della morte, devo dire. Ero solito pensare di essere decapitato, con due colpi d'ascia, invece di uno, come in un'esecuzione. Ora mi addormento pensando a una pallottola conficcata dietro alla testa. Ho vissuto a stretto contatto con l'idea della morte. E questo l'ha aiutata a scrivere così tanto? No, no, non ha nulla a che vedere con lo scrivere: è solo una cosa che si fa nell'intimità dei propri pensieri e del proprio animo, una cosa che faccio io ... per me è molto difficile addormentarmi; mi aiuta. Ritiene di essere coraggioso dal punto di vista fisico? Non lo so. Non sono mai stato messo alla prova. So che non mi manca l'altro tipo di coraggio, quello necessario al lavoro di scrittore, che mi ha procurato tante delusioni e ogni altro genere di difficoltà. Non si sente apprezzato? No, non mi riferì vo a questo. Vede, molte delle mie opere fino, direi, al mio secondo libro sull'India, sono state letteralmente strappate fuori con disperazione da un uomo che stava seriamente dubitando della sua capacità di andare avanti. È molto difficile scrivere romanzi partendo da un'esperienza così frammentata e confusa. I romanzi, il corpo del lavoro, scaturiscono al meglio da società integre e singole. Cosa spera di raggiungere ora col romanzo? È chiaro che non le interessa ciò che lei stesso ha definito, in occasione dell'incontro in memoria di suo fratello Shiva nel 1985, "la via dell'immaginazione e della stravaganza". L'ha definita "vuota, dal punto di vista morale e intellettuale". Mi riferivo agli scrittori sudamericani. Sono intellettualmente così irresponsabili; non si sono veramente occupati della corruzione delle loro società; cercano di fare poesia stando dalla parte del governo. Il post-modernismo significa qualcosa per lei? Che parolona. (ride) Che cosa vuol dire? Io penso che la questione del romanzo sia leggermente più profonda del postmodernismo. Ci sono alcuni misteri attorno al romanzo. Nel Settecento, quando si voleva raccontare della vita o dell'esperienza umana, si faceva poesia, o si scrivevano saggi. In seguito, con i primi romanzi, si scoprì che la propria esperienza reale poteva essere raccontata in un modo più facilmente comprensibile; l'amore di Hazlitt per le Confessioni di Rousseau è dovuto a questo, così come l'amore per i romanzi di Scott. Ma la vera forma ancora mancava, quella forma che permetteva di prendere l'esperienza reale, distorcerla leggermente, renderla più accattivante, e creare quella cosa chiamata romanzo. Ma proprio perché mancava, persone come Coleridge si trovavano in difficoltà; egli non era in grado di utilizzare l'esperienza, perché il suo istinto era quello di farne poesia. Lamb, che visse una vita straordinaria, ne accenna soltanto nelle sue lettere: ci ride sopra in quei saggi. Poi arriva il romanzo e permette alle sorelle Bronte di scrivere i loro. Dopodiché, tutti scrivono romanzi; e solo sessant'anni anni più tardi quel particolare genere si esaurisce. Maugham è sulla scena, e Maugham diventa il grande maestro: insegna come reagire alle situazioni difficili, dà alla gente un'educazione sentimentale, dice di non lasciarsi sorprendere dalle stranezze del comportamento umano, e lo fa per molte generazioni e in molti paesi del mondo. Una figura prodigiosa. E così il lavoro è fatto; il romanzo ha chiarito cosa significa essere vivi nella società moderna. Oggi nel romanzo, ma anche nel cinema, non si fa che giocare, libri e film si rifanno ad altri libri, ad altri film, ad altri fumetti. Non chiariscono più nulla, ed è certo che le mode passeggere scompariranno. Quei romanzi che imitano o si rifanno ad altri romanzi sono sorpassati ancora prima di essere pubblicati. Ma il romanzo originale, il primo di un qualsiasi filone di romanzi, rimane vivo per sempre. Oliver Twist è ancora attuale, così come Davide Copperfield, le Memorie di un Cacciatore di Turgenev, Gogol', o Proust, che ancora non conosciamo perfettamente. Ma La strada dei quartieri alti (Room at the Top) di Braine è un romanzo ormai morto e sepolto. Londra, 1990 67
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