semplicemente reso conto di discendere da un popolo povero da tempo immemore, da tempo immemore senza una voce. E proprio perché mi sento parte di questo popolo, guardo con un certo rispetto i cambiamenti politici e democratici che stanno avvenendo in India. Gente senza una voce, da sempre, sta lentamente imparando a esercitare la propria responsabilità. È una cosa nuova, una cosa molto difficile. Prova ora un maggiore interesse per l'Ottocento in India rispetto a prima? Mi ha sempre interessato; ma non ho mai fatto le ricerche necessarie per poter scrivere con competenza di quel secolo. È stato straordinario scoprire questo nuovo modo di farlo, attraverso l'esperienza della gente comune: parlano dei loro nonni. Tutto diventa vivo. Se ben ricordo, lei una volta ha detto che quasi tutte lepersone sono interessanti, per un'ora. Sì, sì, e credo che il libro esprima bene questo concetto. Esprime il mio modo di comportarmi nei confronti del mondo. Mi piace stare a sentire la gente mentre parla, per un'ora. Lo faccio anche quando non lavoro. Paul Theroux pensa che in questo libro lei mostri più "compassione" che nei precedenti. Vede, io faccio molta attenzione a non utilizzare quella parola. "Compassione" è un vocabolo usato in politica, no? Una parola da critica letteraria, come "fatto ad arte" o "levigato". Ogni qual volta si sente parlare di qualcosa fatto ad arte, levigato, o pieno di compassione:. è meglio stare alla larga. Ma quando nel suo primo libro scrive di essere rimasto sconvolto dalla miseria dell'India, che cosa provava? Il primo libro è un'analisi di quella reazione. Prova qualcosa di diverso ora? Vede, l'India adesso è molto meno traumatizzante perché ci sono tantissimi posti dove succede qualcosa. Ci si accorge di questa popolazione istruita in continua crescita, sono centinaia di milioni. Ci si accorge delle menti che lavorano. Aprendo il giornale ci si rende conto che si parla, si discute. Nel 1962in India la povertà non era considerata come tale; la gente parlava della povertà come di qualcosa di romantico e poetico, un raro dono al mondo, la sacra povertà. La parola che continua a ritornare nei discorsi della gente con cui parla è caos. Sì, è interessante. Non è una parola mia, è loro. Possedere questa idea che le cose stanno precipitando, che il caos può sopraggiungere, era qualcosa di ancora molto lontano per la gente del 1962. Fa parte dell'evoluzione intellettuale dell'India. Lei auspica l'arrivo del caos? No, assolutamente. Io odio il caos: impedirebbe alla gente di crescere, di sviluppare ulteriormente quella specie di autonomia intellettuale che già ora esiste. INCONTRI/NAIPAUL Foto di Giovanni Giovannetti (Effigie). Gandhi nel 1942 disse agli inglesi di andarsene dall'India e di lasciarla "a Dio o, in termini moderni, all'anarchia". Cosa pensa di Gandhi, oggi? Lo adoro. L'ho sempre adorato. È un-uomo straordinario, e i suoi limiti intellettuali sono una parte molto importantedell 'uomo. Leggendoisuoiprimiscrittisull'lndia, ho avuto l'impressione che considerasse Gandhi un induista ortodosso. Ha avuto un'impressione sbagliata. È un uomo la cui vita, quando la contemplo, mi fa piangere; mi commuove alle lacrime. Durante il film di Richard Attenborough non ho smesso un istante di piangere, forse non solo a causa del film, ma a causa di quello che sapevo. L'ho rivisto mentre scrivevo Nel Sud. Bisogna accettare la sua ossessione per la purezza,· è una specie di chimera che ne scaccia un'altra. Ma ciò non è necessariamente negativo. L'essere arrivato a portare l'India nel mondo moderno, quasi alla cieca, attraverso l'esperienza sudafricana, conservando questa idea del comportamento esemplare è alquanto straordinario. Una figura come quella di Gandhi non potrebbe sorgere ora. Non avrebbe senso; dal punto di vista intellettuale l'India è un altro paese. 65
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