STORIE/ JOHNSON maniere quanto avrebbe voluto). Un fremito le percorse lentamente la metà sinistra del corpo scrollandole la confusione di dosso, finché non esplose: "Te lo dico io chi è il colpevole, Moses: sei tu! Ti avevo detto di non portarti qui quel selvaggio di un africano, vero? Vero? Vero? Voi due ... dovrebbero stendervi entrambi." "Sta' zitta, donna!" Moses gettò a terra il cappello e lo calpestò fino a sformarlo. "È solo che sei sconvolta." A dire il vero, neanche lui era il ritratto della compostezza: aveva anche le unghie sporche, oltre che il fondo dei pantaloni macchiato di sangue. Moses batté forte i piedi a terra per scrollare la polvere della strada dagli stivali. "Hai qualcosa di forte in casa? Ho bisogno che mi dai una mano a sbrogliare 'sta faccenda ma è da quando mi sono pigliato 'sto Mingo che praticamente non bevo più un goccino e ci ho la gola bella sec..." "Puoi fare che servirti da solo: sulla mensola alta della credenza." Si toccò il volto con un gesto attonito a dita spalancate. Nei suoi tratti era improvvisamente apparsa quell'intensità che si può riscontrare nell'espressione di chi non ha che un anno, un mese, un minuto ancora da vivere. "Credo che farei meglio a sedermi." Si accasciò sulla sedia a dondolo cullandosi in grembo il libro di una certa Mary Shelley, un recente romanzo di mostruosità ed orrori esistenziali, poi si sistemò pudicamente il seno. "È degno di te, Moses Green, scaricarmi addosso tutti i tuoi sconvolgimenti." La faccia del vecchio sprizzò un vasto sorriso pieno di saliva. La baciò delicatamente sulle palpebre ed Harriet contraccambiò strofinandogli la guancia sulla mascella irsuta. Moses si senti più leggero di una piuma. "Forse è proprio ora che io ci abbia qualcuno, no?" Moses compì la sua perlustrazione nella credenza del salotto e ne riemerse con una corroborante bottiglia di bourbon; con le mani tremanti se ne versò tre dita in un bicchiere. Poi riconsiderò attentamente quanto ne sentisse il bisogno, lo riempì fino al colmo e lo prosciugò lentamente, sciacquandosi accuratamente la bocca mentre considerava il da farsi. Avrebbe potuto consegnare Mingo alla giustizia ed abbandonarlo al proprio destino ma, dannazione, non riusciva a togliersi dalla testa l'idea che lasciar uccidere il ragazzo non avrebbe comunque raddrizzato le cose: sarebbe stato come uccidere Moses stesso e distruggere un po' della sua anima. Inoltre, qualunque cosa l'africano avesse combinato, in un modo o nell'altro doveva pur averla imparata da Moses, che non era certo la lente più affidabile attraverso cui guardare il mondo. A rigore, non si poteva considerare responsabile un uomo che, in un paese che gli era profondamente estraneo, era senza potere, senza privilegi, senza proprietà (anzi era egli stesso una proprietà), senza posizione, senza nulla o quasi nulla, e nullo era ogni suo sforzo o giudizio. "Al diavolo!" Moses sputò. Era ben triste essere fatto ad immagine e somiglianza di qualcun altro! Adesso lo capiva. Anche se ad un altro livello, era proprio ciò che una volta Liverspoon aveva cercato di negare a proposito di Dio e dell'uomo: se Dio esistesse (ora Moses non ne era più tanto sicuro) e se fosse lui ad avere creato il mondo, l'uomo non dovrebbe rispondere di alcunché, stupri od omicidi, tutto farebbe capo a quel qualcuno o qualcosa che fu responsabile della Creazione. Accasciò il petto sul tavolo, scagliò via il bicchiere e si portò la bottiglia direttamente alle labbra, poi si accese nervosamente la pipa. Forse ... forse avrebbero potuto fuggire, se fosse stato necessario, e ricominciare tutto da capo nel Missouri, dove avrebbe finalmente insegnato a 62 Mingo la differenza tra un falco predatore ed un estraneo: gli era chiaro come il sole che ci avrebbe riprovato. Moses non poteva cambiare. Le cose erano come erano. Sarebbero fuggiti per sempre, attraverso lo spazio, attraverso il tempo - se lo immaginava benissimo - come fuggiaschi senza impronte, senza tracce, ladri e complici legati da un segreto aborrito da Dio che li avrebbe potuti annichilire a vicenda. Bah! Moses pensava. Il suo sangue pulsava. li battito del suo cuore era così potente e profondo che si sentì vacillare. Forse era il tabacco: troppo forte. Mandò dell'altro whisky ad infrangersi in fondo alla gola. Bah! Se non possiedi niente puoi andare dove vuoi. Com'era strano che proprietario e proprietà si potessero dissolvere così magicamente l'uno nell'altro come due fasci di luce quando s'incontrano (o, ma questo lui non poteva saperlo, come particelle subatomiche legate da un complesso groviglio di campi magnetici). Forse che sparargli, riassorbire Mingo sarebbe stato più caritatevole? Bah! Tutto scorreva veloce, troppo veloce. Oppure affrancare Mingo? Gran bel gesto di sicuro. Ma come diavolo se la sarebbe cavata da solo se ogni volta che spalancava i suoi untuosi occhi neri non faceva altro che affermare, conclamare, incarnare la concezione del mondo di Moses con tutte le sue sofferenze e lacune? Dopo tutti gli sforzi fatti per adattare Mingo alla sua mentalità, ora si trovava a non poter più maledettamente fare a meno di lui. Dargli la libertà, porgergliela come fosse una fettina di pancetta, l'avrebbe ancora più avvinto a lui. Sembrava non esserci soluzione alcuna. Indeciso ma ormai pietosamente ubriaco, il fornello della pipa troppo rovente per poterlo ancora tenere in mano, non potendo esporre ad Harriet Bridgewater la decisione presa, dato che non ne aveva scelta alcuna, Moses sbottò: "Ho pigliato una decisione: non su Mingo, ma su io e te". Erano le sette. Annaspò strascicando i piedi fino alla porta. "Sai, stamattina ti stavo per chiedere di sposarmi ... - rise: il whisky gli faceva formicolare il cuoio capelluto - ma poi mi sono detto che vivere da soli è meglio se pensi a che bene si fa la gente maritata, come che succede anche alle donne coi cani ... sembrano candele lì a consumarsi l'una con l'altra. Eh, eh!" Si avviò a passetti cauti verso la veranda silenziosa tenendo alta la bottiglia, le orecchie rosse come mattoni e la faccia solcata da rivoli di sudore disseccato dal vento. Udì un lamento. Era chiaramente un lamento. "Harriet? Harriet, forse non te l'ho messa giù per benino, ma adesso te lo chiedo proprio ..." Sulla veranda la sedia dondolava, scivolando avanti ed indietro e cigolando sull' assito. La bottiglia cadde dalla mano di Moses - bip! - giù per gli scalini, rimbalzò nel cortile, rotolò ed andò a sbattere contro HarrietBridgewater. Bah, pensò Moses. Mah e poi bah. Tra le ruote del calesse, vicino al ceppo ed alle fascine tagliate ed accatastate, accanto al rudere di una vecchia pompa a mano incrostata di ruggine, là giaceva lei, stesa su un fianco, con l'allacciatura posteriore del vestito squarciata e la bocca spalancata in una O perfetta. Quella vista lo ferì così profondamente che si mise a piangere come un bambino. Erano ormai le sette ed un quarto del 7 ottobre dell'anno di grazia 1855. • La mezzanotte trovò Moses Green ancora lì, immobile a contemplarla. Si sentiva marcio, amputato, morto dentro di sé. Ogni oggetto in quel cortile gli vorticava ombre minacciose ali' intorno, gli si avvitacchiava agli stivali, lo tormentava come un'allucinazione onnipresente, era la materializzazione di un sermone sulla vanità delle cose. Ogni volta che spostava lo sguardo incap-
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