STORIE/ .IOHNSON Forse avrebbero potuto fuggire, se fosse stato necessario, e ricominciare tutto da capo nel Missouri, dove avrebbe finalmente insegnato a Mingo la differenza tra unfalco predatore ed un estraneo. danza rituale africana ed una giga, urlando: "Mingo, che hai combinato?". Poi realizzò perfettamente che cosa avesse combinato e lo prese a pugni in piena faccia, scuotendo tutto quel metro e novanta d'altezza, finché i denti - quelli di Moses, non quelli di Mingo - non gli presero a battere. Il vecchio crollò seduto al tavolo: si sentiva le ginocchia di pappamolla e gemette: "Oh Dio! Dio! Dio!". Respirò profondamente, distolse lo sguardo, le labbra gli si aggricciarono sui denti anneriti dal tabacco; piantò lo sguardo sull'africano. "Isaiah è morto! Riesci a capirlo?" Mingo lo capiva benissimo e lo disse. "E tu sei il responsabile!" Tentò di sollevarsi ma ricadde seduto, tossendo. Cavò di tasca il fazzoletto e ci sputò dentro. "Morto! Sai che vuol dire morto?" Scatarrò e sputò ancora. "Responsabile! Sai che vuol dire questo?" Mingo non lo sapeva; e disse: "Nossiore, me no sape questo. Me sape solo quel altro: morto, siore. Mingo no sape responsibile, capo. Nossiore!". Moses balzò improvvisamente in piedi come una molla d'acciaio e si scagliò a schiaffeggiare il ragazzo fino a spellarsi il palmo della mano. Per farla breve, il vecchio diede fuori di matto e tempestò di pugni il petto del ragazzo, poi crollò di nuovo seduto: alzarsi di scatto gli faceva sempre girare la testa e vacillare le gambe. Mingo continuava a protestare la propria innocenza e Moses non riusciva a capacitarsi che il ragazzo apparisse così indifferente a tutto, finché non gli tornò in mente quel suo discorso sui falchi predatori: cinque o sei mesi prima egli aveva cercato di insegnare a Mingo che occorre uccidere i falchi predatori ed essere cortesi con gli estranei. Ma il tutto doveva essersi ribaltato nella testa dell'africano (che cosa ne poteva sapere lui delle usanze del Nuovo Mondo?) di modo che Mingo era diventato cortese con i falchi e (Moses gemette in preda al panico) uccideva gli estranei. "Idiota!" sibilò Moses serrando la mascella. Pianse rocamente per alcuni minuti come un vitello strozzato. "lsaiah Jenson e me s'era buoni amici e..." Si fece un rapido esame di coscienza: quella in effetti era una menzogna, non erano affatto amici. Considerava anzi lsaiah Jenson una gran testa di cavolo e lo sopportava a malapena per mero dovere di buon vicinato. Una mosca gli si posò sull'occhio, Moses scrollò violentemente la testa. Qualche settimana fa aveva persino spergiurato ad Harriet che quel Jenson era un tale rompiscatole, sempre lì a farsi prestare gli attrezzi ed a non restituirli, che sperava che il diavolo se lo portasse via al più presto tra atroci tormenti. Si sentì stringere un nodo in gola. La palpebra gli pulsava, ancora irritata dalla mosca; se la fermò con un dito, poi tornò lentamente con lo sguardo all'africano. "Santo Cielo! - mormorò- ma tu che ne potevi sapere?" "Noi anda casa ora? - Mingo si stiracchiò la spina dorsale intorpidita - Noi tanto stanchissimi, capo." Non che volesse andarsene a casa, Moses si risolse a partire perché il cadavere di Isaiah gli incuteva paura ed aveva bisogno di tempo per valutare gli avvenimenti.L'aria era secca; secca la notte lungo la strada del ritorno. Il vecchio bofonchiava tra sé: "T'ho dato la mia lingua, il mio pensiero e guarda un po' che ne hai fatto: ti piglieranno et' accopperanno, ragazzo mio, ci puoi giurare com'è vero che sto seduto qui". "Mingo?- l'africano scosse sornionamente il lungo testone, indicandosi il petto con un dito - Me? Nossiore." "Perché diavolo continui a ripeterlo? - Moses sporse la mascella così violentemente che gli si inturgidirono i cordoni del collo - Hai accoppato un uomo ed ora ti faranno arrosto come una pannocchia bruciacchiata. Per Dio, Mingo, - gemette il vecchio, - tu sei responsabile delle tue azioni, figliolo." Al pensiero di quel che avrebbero fatto a Mingo, Moses incassò la testa contro il colletto rigido, come una testuggine. Appuntò uno sguardo di fuoco sulla faccia inespressiva dell'africano, evitando però accuratamente di guardarlo negli occhi ed abbaiò: "Che ti pensi, ora?". "Mingo sape solo cosa Padrone Green sape. Come che Mingo vede o no vede solo cosa Padrone Green dice Mingo vedere o no vedere. Come che Mingo vive per Padrone Green, vero?" Moses indugiò sospettoso, subodorando una trappola. "Sì, eccome no!" "Padrone Green, lui possede Mingo, vero?" "Vero, - sbuffò Moses strofinandosi la protuberanza rossa e butterata del naso, - e t'ho pagato gran bei soldoni!" "Allora quando Mingo lavora è come che Padrone Green lavora, vero? Padrone Green lavora, pensa e fa tutto a traverso Mingo, me no sbaglia?" Non era stupido Moses Green, riuscì ad afferrare il concetto senza alcuna difficoltà. Deviò bruscamente dalla strada che portava alla sua baracca e tagliò per i campi verso la casa di Harriet, madido di sudore. Gli tornarono alla mente due incubi ricorrenti negli ultimi tempi: lui e Mingo erano una sorta di marionette da ventriloquio, una bianca e l'altra nera, con i fili indistricabilmente ingarbugliati; qualcuno - non si sapeva chi li manovrava - non si capiva come - facendogli agitare simultaneamente le braccia e le gambe, e lui e Mingo dicevano le stesse cose, all'unisono; finché lui non si portava al volto le mani coperte di chiazze rossastre, con le nocche contratte e rugose come bucce di carota avvizzite, e gemendo non iniziava a strisciare carponi attraverso una landa nera e gelida; ma anche Mingo aveva fatto le stesse cose, le sue mani sul suo viso, ed ora sforzava sulle ginocchia accanto a Moses, gemendo gli stessi suoi gemiti. Quel fosco sogno trasmutava misteriosamente in un'altra visione dove si ritrovava spiaccicato, come impresso sulla faccia di una monetina, una via di mezzo tra un cinque e un dieci centesimi, e sul verso c'era impresso Mingo. Moses si riscuoté e guidò il calesse attraverso il cortile di Harriet Bridgewater. Le viscere gli bruciavano come catrame bollente. Lei era sulla veranda, avvolta in uno scialle indiano a scacchi, e li fissava con un libro ancora aperto in mano. Moses arrancò faticosamente sugli scalini ed incespicò scorticandosi le ginocchia. Urlò: "Harriet, 'sto ragazzo ha fatto fuori Isaiah Jenson a sangue freddo!" Lei impallidì ed indietreggiò barcollando verso l'uscio. I capelli le caddero sugli occhi. Gesticolando scompostamente Moses farfugliava in preda all'agitazione. "Ma non è che è stata colpa sua, se ci pensi: è che non sapeva bene quel che si faceva." "lsaiah? Vuoi dire proprio I-sa-i-ah? Non dirmi che ha ucciso I-sa-i-ah!" "Sì, cioè no! Non proprio ..." La sua mente perse colpi fino a fermarsi. "Chi è il colpevole dunque?" Harriet vagò con lo sguardo fino all'africano che era lì sul calesse, impegnato a frugarsi il naso con le dita (occorre dirlo: Moses non era riuscito a raffinare le proprie 61
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