FILOSOFIA, SCRlffURA E KUNG-FU Incontro con Charles Johnson a cura di Matteo Bellinelli Benché quasi sconosciuto in Italia (solo le Edizioni e/o ne avevano finora tradotto il romanzo Oxherding Tale con il titolo Il racconto del mandriano nel 1990), CharlesJohnson-autore anche di Faithand the Good Thing,BeingandRace: Black Writingsince 1970e TheSorcerer's Apprentice nonché docente di Creative Writing alla University of Washington (Seattle )- è sicuramente uno dei più interessanti narratori afro-americani contemporanei: un recente sondaggio condotto dalla University of Southern California lo colloca addirittura tra i dieci massimi novellisti statunitensi. ( Paola Della Valle e Paolo Ricagno) Si ringrazia la Radio-Televisione della Svizzera Italiana per averci permesso di utilizzare questa intervista. Seattle, nello stato Washington, si affaccia sul Pacifico. Come · Vancouver, Portland e San Francisco. Una lunga fetta d'America che parla le lingue dell'Asia. Le banchine di Seattle come Tokyo? Avevano ragione i pensatori della Grecia antica - in termini "tecnici", i filosofi pre-socratici - quando affermavano che "Diventeremo domani senza accorgercene". È quanto è successo a Seattle, una città fondata nel XVIII secolo da pescatori e boscaioli norvegesi, che strapparono terre e acque rigide ma generose alle tribù indiane dei Nootka e dei Salish. Come potevano supporre che, solo due secoli più tardi, tutto il ferro e il cemento disseminato in modo scriteriato dai loro eredi, in una delle baie naturali più affascinanti dell'intera costa Pacifica delle Americhe, sarebbe caduto in mano ai "conquistatori" giapponesi? Già, perché Seattle è - sin d'ora - una delle capitali della cosiddetta civiltà del Pacifico. A Seattle sono venuto a cercare un'ultima immagine nera dell'America; anche se qui tutto sembra ormai indicare che il futuro sia già passato ad Oriente, e il potere nelle mani di Tokyo. Che sia giunto il momento di difenderla, l'America? L'era della supremazia economica e politica mondiale da parte degli Stati Uniti iniziò al termine della seconda guerra mondiale, e cominciò ad esaurirsi negli anni Sessanta. Negli anni Cinquanta, quelli della mia adolescenza, vivevamo di gradevoli illusioni; c'era poca criminalità, e grande prosperità. Tutto questo contribuì alla nascita del "Movimento dei Diritti Civili": la ricchezza e le occasioni di sviluppo sembravano inesauribili, perché mai i neri avrebbero dovuto rimanerne esclusi? Tutto cominciò a cambiare negli anni Sessanta, e da allora la preminenza mondiale degli Stati Uniti è andata scemando. A me non dispiace per niente che altre nazioni siano diventate centri di cultura e di potere economico. Ormai viviamo in un mondo di totale dipendenza reciproca tra le varie nazioni; ognuna è legata a tutte le altre. lo mi auguro che i cittadini americani sappiano interpretare questa nuova realtà globale, e vogliano mostrare rispetto per i giapponesi e per i tedeschi (e per le loro straordinarie conquiste del dopoguerra). Gli Stati Uniti non sono il centro dell'universo; e gli americani dovrebbero rendersene conto. Vincitore nel 1990 del National BookAward, con il Pulitzer il massimo premio letterario americano, Charles Johnson vive in un quartiere operaio e bianco di Seattle da più di dieci anni. Johnson, appena quarantatreenne, lei non è cresciuto in condizioni molto dissimili da quelle che conosce ora sua figlia. La sua casa era a. Evanston, un sobborgo di Chicago, nell'Illinois. Figlio unico, lei ha ereditato dalla madre l'amore per la letteratura e dal padre il gusto per il lavoro, l'impegno, il sacrificio. Lei ha trasformato uno dei templi della vita americana -1 'autorimessa - nel suo studio, dove lavora accanitamente e dove ha raccolto, in sapiente disordine, le tracce principali dei suoi affetti e dei suoi successi (a cominciare dal primo dollaro guadagnato, nel 1965...). Ormai sappiamo con quanto sangue e con quanto sudore i neri abbiano contribuito a costruire l'America. Un mio prozio, in qualità di imprenditore edile, ha letteralmente edificato gran parte della città nella quale sono cresciuto; appartamenti, chiese, ville dei bianchi disseminate in tutta la città. Da bambino talora mio padre mi portava a fare un giro in auto, e mi diceva: "Tuo zio Will sta costruendo quella casa". Figurarsi se a me interessava. Più tardi, quando lo zio Will morì, all'età di 90 anni, decisi di scattare una fotografia di ognuna delle sue co~truzioni; perché avevo finalmente capito che quella città era mia almeno quanto lo era di tutti i suoi abitanti bianchi. La storia dell'America è raccontata anche dai nostri sacrifici, a tutti i livelli, fin dal 1619. Se lasciassimo questo paese, ci lasceremmo alle spalle la nostra storia e i nostri avi, e i loro grandi contributi allo sviluppo dell'America. Penso che da quj non ce ne andremo mai ... Lei è uno di quegli americani di colore che, come disse Frannie Lou Hammer, sono "tired of being sick and tired", sono stanchi di essere ammalati e stanchi. La sottile linea di colore che divide l'America, e che finisce per diventare un enorme fossato culturale, a lei non sembra interessare. I suoi orizzonti sono illimitati; le sue fonti d'ispirazione senza frontiere. E tutta la sua vita un esempio di volontà e determinazione. Come ha cominciato a diventare scrittore? Avevo deciso di non andare all'università, bensì a una scuola d'Arte. Per questo motivo mostrai all'inviato di quella scuola in visita in città la cartella dei miei lavori e dei miei disegni. Mi iscrissi così ad una scuola d'arte dell'Illinois. Più tardi parlai con il mio insegnante d'arte, il quale non usò mezzi termini. Mi disse: "La vita di un artista è molto difficile; puoi morire di fame. Se poi vuoi 53
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