IL SOGNO DELLA CATTEDRALE Elsa Morante e il romanzo come archetipo Alfonso Berardinelli Questo intervento ha aperto il convegno nazionale di studi sul!' opera di Elsa Morante tenuto a Perugia il 15-16 gennaio scorso, organizzato da "Linea d'ombra" con l'Arei Umbria, il Comune di Perugia, la Regione Umbria. Gli atti del convegno verranno raccolti quanto prima in un volume della collana "Aperture". Cercherò di formulare, e non andrò molto oltre, una domanda davvero impegnativa e di ampio raggio, a cui non sarà facile rispondere, ma che non va e non può essere evitata: che cos'è un romanzo, che cos'è il romanzo per Elsa Morante? Nessun altro scrittore del Novecento italiano, credo, ha avuto come Elsa Morante la vocazione, la religione del romanzo. Solo Italo Svevo, che Elsa Morante considerava, con Saba, il più grande scrittore del Novecento, solo Svevo ebbe un bisogno altrettanto forte, fisiologico, connaturato della narrazione romanzesca. Ma Svevo visse tra il declino della forma tardo ottocentesca, naturalistica, del romanzo e la nascita di forme nuove, più problematiche e soggettive. Si direbbe che tutte le energie, lungamente represse, di Svevo, siano state impegnate nella difficoltà di quel passaggio. È la psicanalisi, o l'espediente, il pretesto psicanalitico, a permettergli la reinvenzione della forma romanzesca come ironica, o meglio umoristica, autobiografia clinica. ELa coscienza di Zeno matura e si impone all'attenzione di una nuova generazione di critici (Montale, Debenedetti) negli anni in cui, dall'anziano Svevo a Borgese, a Tozzi, fino al giovanissimo Moravia degli Indifferenti, rinasceva l'interesse per il romanzo: in lotta, come sempre, in Italia, con la prosa d'arte. Con Elsa Morante siamo in una zona diversa del Novecento. E mi concedo di ragionare, almeno per un momento, in termini di storia, o perfino di congiuntura e di contingenza letteraria: non dimenticando che i rapporti fra i romanzi di Elsa Morante e i portavoce delle congiunture e delle contingenze letterarie sono stati rapporti quasi sempre difficili. Tipiche, da questo punto di vista, le reazioni della critica a Menzogna e sortilegio. A quanto pare, nel 1948, quando il romanzo uscì, lo sconcerto, la perplessità furono grandi. Nessuno si aspettava un tale libro. Non sembrava, appunto, nella natura delle circostanze di allora che un romanzo di quella mole e di quelle caratteristiche fosse concepito e scritto. Ecco: la mole, la quantità delle pagine, la vastità della concezione, l'assoluta accuratezza, l'eccellenza artigianale, da orafo, da tessitore di arazzi - quello che più sembrava sconcertare i critici era l'improvvisa, portentosa materializzazione davanti ai loro occhi increduli della forma-romanzo in tutta la sua pienezza classica. Con una ipermaturità barocca, nella solidità delle strutture portanti e nella perfetta esecuzione dei particolari. Tutto straordinariamente in piena luce. Il romanzo che diventa il sogno a occhi aperti, o la favola, del romanzo: nella limpidezza di un meriggio che contiene i colori e le luci .del tramonto. Tra le numerose metafore descrittive allora usate dai recensori, riemergeva di continuo una incoercibile meraviglia "quantitativa": il romanzo era davvero molto lungo, era una vasta opera, un romanzo davvero al completo, con tutte le sue parti, con una Foto di Fronco Fedeli (Archivio Raffaele Venturini). dedica in versi, una serie di capitoli introduttivi, una accurata, ritmica scansione in sei parti, sezioni e capitoli dotati di un titolo sempre attraente e congruo, e infine un epilogo "seguito da un 'Commiato' in versi" (il "Canto per il gatto Alvaro"). Per quanto estrinseca e in apparenza banale, perché, in effetti, non approfondita, questa meraviglia per l'ampiezza e la solidità architettonica di Menzogna e sortilegio non è insensata. Perfino i teorici della letteratura, qualche volta, riflettendo sulla difficoltà di fornire una definizione soddisfacente del genere romanzo, ricorrono al criterio della misura, all'opposizione fra narrazione "breve" (il racconto) e narrazione "lunga" (il romanzo). Si tratta di un argomento da disperati: ma se traduciamo e specifichiamo il termine generico "lunghezza" con termini contigui come: ampiezza, ritmo disteso, vastità e completezza rappresentativa, ricchezza e varietà delle situazioni, gradazione e complessità nei rapporti fra personaggi, classi sociali e generazioni, ecco che si va abbastanza vicini ad una più accettabile e plausibile definizione del romanzo. E si tocca un punto decisivo, credo, nella scelta che, ad un certo punto della sua attività, Elsa Morante ha compiuto a 45
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