SAGGI/STEINER opaca e frammentata, fosse il vascello dello spirito. Egli deve avventurarsi verso una scommessa pascaliana sul potenziale iconico dell'opera. L'assunzione di tale contratto è stato spesso dichiarato da Novalis, quando ingiunse che il "vero significato del Mondo" era andato perduto ma era riscattabile in filamenti di discorso numinoso; da Péguy, quando paragonò une lecture bien faite con una fioritura rigogliosa su un silenzioso cespuglio; e da Heidegger quando affermò che "il destino dell'uomo occidentale" potrebbe benissimo dipendere dalla giusta rettifica e dalla sua capacità di reagire a un frammento di Anassimandro. Ovvero, per metterla in termini stenografici: il lettore deve supporre e accettare che Flaubert non indulgeva nella retorica o in metafore infondate quando gridava, nel dolore della malattia che gli fu fatale: "Perché devo morire mentre quella sgualdrina di Emma Bovary vive, e continuerà a vivere?". Il contratto con la trascendenza non può essere convalidato empiricamente. Il suo garante è teologico, se si può applicare a questa parola il suo spettro più ampio. Come pure è "teologica" la garanzia che sottoscrive la validità della metafora e dell' analogia (una questione argomentata da vicino nell'opera-chiave di Pierre Boutang, L'ontologie du secret.) Questa è l'ovvia debolezza della posizione teorica del lettore. Il critico non lascia nulla al mistero. Il lettore sì. C'è un senso per lui necessario nella traduzione che fece Lutero della Rivelazione quando definì il "Libro della Vita" come un libro vero e proprio. Il lettore deve dare peso letterale al concetto di Mallarmé che la somma dell' essere è Le Livre. Questa visione può sembrare al tempo stesso euforica e un po' folle-come lo sono spesso le pratiche di critica testuale, l'epigrafia, la filologia, l'araldica, la numismatica e l'esegesi nella loro essenza. Estatici, "squilibrati" se si vuole, i servi del canone stanno o danzano "da soli" perché adesso il testo è l'unico e imperioso inquilino nella casa del proprio essere. Naturalmente, il "critico" e il "lettore" per come li ho delineati sono quasi-finzioni. E non esistono allo stato puro. Anche nei critici più magistrali o narcisistici persistono elementi di accettazione disinteressata, di ricezione al di là del giudizio. Ci sono stati nei lettori più impeccabili di cui si abbia testimonianza - una qualifica importante data la natura privata di così tanto leggeredei riflessi critici, dei verdetti, degli impulsi verso l'etichettare. Perfino le approssimazioni alle tipologie assolute sono rare. F.~- Lea vis sarebbe vicino al polo della critica irremovibile; Housman si avvicina al carattere del lettore totale (e nessuno di questi due · casi è del tutto esente dal patologico). Nell'ordinario fluire delle cose, la "critica" e la "lettura" si compenetrano e confondono. Tuttavia, può avere una certa utilità prendere in considerazione la qualità finzionale di certi assoluti in contrasto fra loro. È un luogo comune notare l'attuale disorientamento negli studi umanistici. L'autocompiacimento, la produzione di banalità a getto continuo, il vuoto filosofico, e l'istrionismo che contrassegnano la professione accademica della letteratura e il suo matrimonio con il giornalismo sono ovvi. Il declassamento del concetto di "ricerca" negli studi letterari sfiora lo scandalo. È implicita in questo saggio l'ipotesi che molto di questa situazione derivi da una confusione tra la "critica" e le pratiche di lettura esegetica da cui nascono i moderni studi letterari. L'idea che solo gli esseri umani più eccezionali abbiano qualcosa di criticamente 44 nuovo da dire su Dante, su Shakespeare, su Kafka, è una banalità.Ed è una banalità ancor peggiore istituzionalizzare il convincimento che tale rara visione ordinante si manifesti automaticamente agli occhi dello studente universitario e post-universitario. L'edificio attuale degli studi critico-letterari ("pettegolezzi", in gergo) è fragile, cosa inevitabile in vista del fatto che la grande maggioranza di testi è stata appropriatamente curata in precedenza dalle arti esatte della filologia, della linguistica storica, della critica testuale, della recensione e della collazione. Lo studente universitario "critico" di oggi e il "ricercatore sensibile" sono acrobati su un filo altissimo, e non hanno nemmeno imparato a camminare. Ciò di cui abbiamo bisogno (come ho argomentato altrove) non sono "nuove facoltà umanistiche", "scuole di scrittura creativa", "corsi di studio in critica creativa" (mirabile dictu, essi esistono). Ciò di cui abbiamo bisogno sono luoghi, per esempio un tavolo con delle sedie attorno, in cui imparare di nuovo a leggere, a leggere insieme. Bisogna mirare a tale desideratum nel senso più letterale. Elementari analisi lessicali e grammaticali, la scomposizione delle frasi, la scansione del verso (essendo la prosodia il polso inseparabile e la musica del significato), l'abilità di riconoscere anche i lineamenti più rudimentali di quelle nervature e figure della retorica che, da Pindaro a Joyce, sono state veicoli di vita spirituale- tutte queste sono diventate oggi abilità esoteriche o talenti perduti. Abbiamo bisogno di "case della e per la lettura" in cui ci sia silenzio a sufficienza per far risvegliare le articolazioni della memoria. Se il linguaggio, sotto la pressione delle meraviglie (del "surplus") dell'ambiguità del senso, se la musica del pensiero sono destinate a durare, non sono altri "critici" che noi chiediamo ma un 11)aggior numero di "lettori" migliori. "Gli ottimi lettori", dice Borges che è uno di loro, sono "più rari dei grandi scrittori". La lista potrebbe includere Montaigne che legge Seneca e che rilegge se stesso; Coleridge che legge Jacobi e Schelling; Péguy che legge Corneille e Victor Hugo; Walter Benjamin che legge Le affinità elettive di Goethe; Heidegger che legge Sofocle e Trakl (non Holderlin, che spesso legge tendenziosamente e con troppo opportunismo); Mandel' stam che legge Dante e Chénier; Alexandre Koyré che legge Galileo; Nabokov che legge (senza tradurre) Puskin; Jean Starobinski che legge Rousseau; William Empson che legge parole complesse; Gianfranco Contini che legge i poeti provenzali, Dante e Montale; Pierre Boutang che legge il Filebo di Platone; Michael Dummett che legge Frege, la cui profondità e apertura di lettura sono radicalmente creative; D. Carne-Ross che legge Gongora; Gershom Scholem che legge i cabalisti e Walter Benjamin. Tutti questi sono servitori del testo, scrupolosi estatici, perché, rispetto a ciò che è canonico, la scrupolosità e l'estasi sono una sola cosa. Volete una lista di grandi critici? Essa sarebbe indubbiamente più lunga e di maggiore risonanza.pubblica. Ma c'è davvero bisogno di una tale lista? I critici si fanno pubblicità da soli. I) Va qui sottolineata l'ambivalenza semantica della voce inglese "quotation", usata sia nell'accezione monetaria di "quotazione" che in quella più squisitamente testuale di "citazione" [N.d.T.] . Copyright George Steiner 1979.
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