Linea d'ombra - anno XI - n. 80 - marzo 1993

SAGGI/STEINER Foto di JohnVink (Agence Vu/G. Neri) co entra nel lettore, trova posto dentro di lui in un processo di penetrazione, di luminosa insinuazione la cui occasione può essere puramente terrena e accidentale - gli incontri decisivi sono spesso così- ma non, o almeno non principalmente, voluta. Gli "ospiti illustri" entrano non invitati e tuttavia attesi. Non c'è niente di occulto o di mistico in quest'ingresso, anche se la psicologia non ha, finora, offerto un'analisi convincente del suo meccanismo letterale. Il fatto è noto a chiunque abbia la mente e il corpo - entrambi sono coinvolti - catturati da una melodia, da un motivo, o da un ritmo verbale che non ha scelto di sua volontà, che è entrato inconsapevolmente dentro di lui. È una sensazione familiare a chiunque abbia lasciato una stanza - non necessariamente le gallerie di un museo - per scoprire che nel suo occhio interno è rimasto qualche dettaglio di oggetto, di quadro, la figurazione di forme tattili o di colori che egli non è affatto cosciente di aver guardato con attenzione, né di aver registrato coscientemente. Quando vengono pienamente accolti, quando diventano vitali e bene accetti in virtù di un preciso studio o ricordo, tali intrusioni e sconfinamenti prendono piede. Essi si mescolano con la fibra stessa dell'individuo; i testi diventano parte del tessuto 42 della propria identità. La notazione di Proust e gli usi del breve tema della sonata di Vinteuil e della macchia gialla nella visione che di Delft diede Vermeer sono la testimonianza insuperata dell'origine e del ruolo di ciò che è canonico. Questa particolare serie è istruttiva anche in un altro senso. Il dipinto di Vermeer è, per unanime consenso della critica, un capolavoro; esso figura eminentemente nei programmi di studio. Il tema di Vinteuil, d'altra parte, intende evocare (come hanno scoperto gli studiosi) un motivo particolare in un pezzo di musica da camera di Fauré. Anche i proustiani più appassionati trovano difficile riconoscere nell'originale un qualche particolare eccellente e memorabile, per non parlare del genio della bellezza e dei significati eterni che il narratore attribuisce ad esso nel corso dell'intero romanzo. Quindi, un elemento fondamentale del canone proustiano è di un tipo che troveremmo anche nei programmi di studi della critica, mentre l'altro è del tutto personale e in essi apparirebbe insignificante, effimero, "di terz'ordine". Ma è proprio al dettaglio secondario, al dato a cui spesso non si riconosce nessuna classificazione che il canone più sovente si riferisce. Il canone che è la cassa di risonanza della nostra soggettività, la quale è immediata e consustanziale a quegli assunti che danno alla nostra identità il suo peso individuale e il suo sapore, è come un collage. In esso figurano il "classico" e il "canonico", come l'immagine da cartolina della Gioconda in un assemblaggio surrealista e costruttivista. Come pure i testi, i motivi grafici, i pezzi musicali che sono • poco apprezzabili per gli standard di giudizio critico. Un programma di studio viene insegnato; ma un canone viene vissuto. Di fatto, non è un vero lettore chi non abbia provato il gusto dell'esoterico, chi non abbia scoperto che il canto delle sirene, il quale fa impazzire perché ironizza sulla brevità dell'esistenza umana, è il richiamo silenzioso del libro mai letto. Qualcuno potrebbe quasi parlare, anche se questa è un'iperbole sofistica, di "tutti i libri mai letti". L'esegesi, la filologia sono, nella loro estrema purezza, valori ciechi. Virtuosismi dell'interiorità si sono sprecati sugli inventari del Levitico; le letture di A.E. Housman, le sue vitalizzanti percezioni raggiungono il massimo della profondità in Marco Manilio. I motivetti banali ci perseguitano. Come riassume Sartre in Le parole, il giovane viene "letto", svegliato e indirizzato a costruirsi un'identità da discorsi roboanti, mediocri missive amorose e testimonianze infiammate di viaggio e di avventura. (I sonetti sfacciati di Hérédia e le memorie e le lettere dolciastre di Renan hanno cristallizzato la mia adolescenza.) Dal canto suo, quest'introversione primaria e il carattere ibrido del canone spingeranno l'atto di lettura verso una dimensione privata, e persino segreta. Il critico deve dichiararsi; questo è il suo ruolo pubblico e legislativo. Il lettore mantiene spesso mute le proprie illuminazioni. Oppure proverà un moto contraddittorio. Egli cercherà di tenere per sé le visitazioni e le interiorizzazioni di quei testi o oggetti iconici che hanno più intensamente influito sul suo essere. Al tempo stesso, però, una volta in possesso e posseduto dal suo talismano, il lettore vorrà informare gli altri -dove incidono entrambi i significati di informare: quello di comunicare e quello di dar forma. Nell'antiquario, nell'archivista, nel bibliofilo e nel collezionista di opere d'arte, questa radicale ambiguità e persino duplicità di motivi è un tratto familiare. Il collezionista nasconde le sue scoperte per mostrarle

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