Linea d'ombra - anno XI - n. 80 - marzo 1993

SAGGI/STEINER ne. Le diverse posizioni critiche (le metodologie, i presupposti analitici, i metavocabolari) appartengono alla pratica, al "modo in cui la visione ordinante" prende le mosse e si esprime. I rapporti, per come vengono situati entro e attraverso la distanza prescelta, dipendono dalla motivazione, dal "perché" il critico fa il suo "mestiere" essenzialmente dipendente e parassitario. La fisica moderna ci dice che non possiamo separare il concetto di "spazio" da quanto avviene in esso. E c'è un forte senso in cui il "come" e il "perché" dell'atto critico sono collegati. Tuttavia, l'oggettivazione che deriva dall'epistemologia realistica della critica è una categoria più generale, più diffusa della sua stessa motivazione. Ed è solo se valutiamo più da vicino la motivazione che possiamo definire con maggiore esattezza in che modo l'arte o la letteratura diventi un oggetto non solo "della" ma "per la" critica. È evidente che esistono tante motivazioni diverse quanti sono i critici. Vi sono, però, titoli concisi e utilmente generici sotto i quali si possono registrare le diverse relazioni propositive messe in atto dalla pratica critica. Queste includono, in parole povere, rapporti politici, collegamenti esemplificanti a scopo didattico, relazioni il cui motore è soprattutto quello filosofico-investigativo, rapporti che definirei "drammaticamente riproduttivi", rapporti cerimonialmente propangandistici, rapporti di ironia o di punizione. Data l'impostazione riassuntiva di questa discussione, questi e analoghi tipi di relazione critica e di diversa intenzionalità possono solo essere stenografati - e la citazione di nomi è una stenografia inevitabile. "Politico" è un'etichetta tutto sommato troppo approssimativa; ma va assunta comunque perché in essa rientrano ordinamenti e valutazioni dell'oggetto critico fatti in base alla sua positiva o inadeguata funzionalità in un ambito pubblico più ampio. Secondo Platone questo ambito sarebbe lo stato; per Tolstoj sarebbe il rafforzamento dell'altruismo individuale e sociale, nel modello lukacsiano il contesto è la "storia"; in quello di Sartre è la realizzazione della "libertà". Ma va notato che entro limiti labili esiste una certa autonomia tra metodi e motivazioni: un'esegesi fatta secondo i parametri del new criticism può realizzare fini platonici; lo "strutturalismo" può essere sia di "destra" che di "sinistra"; Sartre svaria da una chiave analitica di tipo storicistico ad una più psicoanalitica in senso lato. La relazione "didatticoesemplificativa" coincide per molti aspetti con quella "politica", ma mostra un margine "scolastico" più pronunciato. Penso al programma aristotelico per l'induzione e la trasmissione al pubblico di atteggiamenti cognitivi ed emotivi (''una politica dei sentimenti"); alla teoria estetica di Schiller come principale veicolo per alimentare l'impegno civico; alla visione dell'alta letteratura di Matthew Arnold come "critica della vita" dal cui clima radioso e dalle cui energie una società trae uno stile morale e operativo. Per "investigativo" in senso filosofico s'intende una modalità critica il cui fine è l'analisi di un oggetto d'arte o di un testo nei termini della sua natura specifica, della sua sostanza operante e della sua fenomenologia. In questo senso, le procedure del critico appartengono nel loro insieme alla più generale categoria estetica. Dissociare la motivazione critica da quella teorico-filosofica per esempio in Kant, in Croce, in Walter Benjamin o in Burke significherebbe evocare una vuota nomenclatura. Per rapporti 36 "drammaticamente riproduttivi" nella critica intendo quelli in cui la configurazione e il giudizio dell'oggetto vengono raggiunti mediante una forma di mimesi, di incapsulamento performativo, o di simultanea prefigurazione di quell'oggetto. Il testo del critico è un "raccontare di nuovo la stessa cosa" con l'aggiunta di un'appendice valutativa. È il "riassunto che va oltre" l'intreccio, la descrizione del dipinto, il gioco di parole - prendendo questo termine nel suo senso più problematico - o il pezzo musicale. (Quando Schumann presentò, al contrario, una critica esplicativa di una sua composizione risuonandola tutta daccapo, credo che stesse esemplificando la distinzione cardinale tra "critico" e "lettore".) Nella critica drammaticamente riproduttiva, l'illustrazione, la citazione sono essenziali. Il critico cita in modo strate- . gico in maniera da esprimere il suo parere nel quadro di un'economia persuasiva. La sua critica è una sommatoria che culmina in un giudizio; e le citazioni sono i documenti che egli offre a comprova. Se la critica filosofica è una branca dell'estetica, la critica mimetica o performativa è una delle molteplici forme di retorica applicata. Tirando a indovinare, si può dire che in questa forma rientrano i nove decimi di quest'arte. Essa va dalla punta di iceberg della recensione quotidiana - del "critico d'arte", "del critico letterario", "del critico musicale" nei media - alle indiscusse vette del riscontro giudiziario e del responso ufficiale come il discorso di Samuel Johnson su Shakespeare o quello di T. S. Eliot su Dante. Ma può ben darsi che quella di Eliot su Dante sia una critica ispirata, e che quella di Mandel'stam su Dante sia una "lettura". Molto spesso questo tipo quasi ubiquo di critica avrà come sua motivazione la lode. Il fine di ogni atto di visione ordinante è quello di accrescere la fortuna, di accentuare l'impatto di una data opera o movimento. Nella sua spavalda ingenuità, il termine comunista agitprop tocca la corda giusta. Esso potrebbe caratterizzare la polemica di Zola a favore di Manet, quella di Ezra Pound a favore del modernismo, quella di G. Wilson Knight volta a esprimere la bellezza morale di Byron. Ognuno di questi osservatori è, in questi casi, un virtuoso della celebrazione. La categoria contrastiva è quella di una distanza critica concepita ("motivata") per ridimensionare, per smascherare, e persino per rimuovere l'oggetto: portandolo, per esempio, alla sua rimozione dal canone, al suo trasferimento dal museo al sottoscala. È questo il fine della critica musicale di Apollo a Marsia, della vivisezione che fece Pope di Grub Street e dei suoi rivali editoriali come Theobald, o da Leavis alle calcagna di Auden. Per quanto antitetici nei loro presupposti, la festosa legittimazione e la punizione fanno entrambi parte della generica categoria della prassi critica performativa o di "presentazione". Anche uno schema frettoloso di questi diversi moventi critici fa nascere una domanda ovvia: è possibile dire qualcosa di utile su una fenomenologia così varia da includere la Poetica di Aristotele, le lezioni di Hegel sulla filosofia dell'arte, quelle di Baudelaire su Wagner e di I. A. Richard su Coleridge da un lato, e il pandemonio quotidiano di quotazioni sul mercato accademico-giornalistico dall'altro? L'informe pluralismo è innegabile. Ma altrettanto lo è, credo, la presenza di certe "priorità" e di determinate costanti. Essi derivano dall'epistemologia dell'oggettivazione.

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