Linea d'ombra - anno XI - n. 80 - marzo 1993

SAGGI/STEINER Disegno di Selçuk do "Le monde diplomotique". sono degli intenzionalisti il cui modus operandi realizza, palesemente, ilmodello cognitivo di Husserl (secondo cui "percepire" significa "intendere"). II critico "afferra". Egli esperisce e articola unaprise de conscience. La sua percezione è ein Vernehmen (''una presa interpretativa"). Le etimologie sono solo ingenuamente dimostrative, ma in queste tre istanze banali, la radice, la quale indica acquisizione, assunzione, è eloquente e illuminante. Nessuna presa è indifferente, essa avalla la legittimità del suo oggetto. Ciò consente una prima ridefinizione della nostra antinomia iniziale: se i critici sono husserliani, i "lettori" sono heideggeriani (ma è appunto questo che va dimostrato). È inutile dire che la stroncatura, la disposizione negativa, la bocciatura, e perfino il ridicolo sono valutazioni nel pieno senso del termine. Il critico che si sottrae, che "sorvola" su un dato oggetto, esercita comunque un giudizio. Egli svuota, sceglie di rendere inerte lo spazio potenzialmente vitale che esiste tra percezione e oggetto percepito. La storia della critica pullula di spazi amorfi e atrofizzati, come i depositi di un museo che traboccano di dipinti che "non si possono vedere". Ogni invisibilità implica un caso o una storia di negazione. Ci vuole un'inerzia attiva per stabilire, per lasciare che s'instauri, un vuoto, una zona d'invisibilità. Quest'inazione è anch'essa legislativa. Da ciò discende un luogo comune provvisorio: la critica è una visione ordinante. L'atto della visione critica avviene, circoscrive e si manifesta per aprirsi a un dibattito, a un intenzionale distacco dall'oggetto. Il buon critico è uno di cui si può riconoscere la misura in cui "si ritrae" e in cui "crea uno spazio". Il buon critico stabilisce la distanza della sua messa a fuoco in maniera misurabile anche per noi, dandoci modo di calibrare i punti in cui va a incidere. Anche noi possiamo misurarci con il suo distacco. Il quadro in cui colloca ogni mossa accertabile è, molto probabilmente, geometrico, così come sono geometriche in Husserl le forme dell'intenzionalità e la logica cognitiva. Ma quando parliamo di "visione ordinante", quando diciamo di voler "situare", quando parliamo di critique, noi parliamo di un "giudizio". Avendo dalla nostra parte per una tale affermazione un'imponente autorità epistemologica, stiamo, insomma, dicendo che ogni visione chiara corrisponde a un giudizio, che ogni moto percettivo è legislativo - perché è insieme atto e movimento. È possibile mettere in questione questo luogo comune o quantomeno ridefinirlo in maniera meno schematica? Esistono tipi d'analisi che non "afferrano" l'argomento? Chiedersi questo vuol dire suggerire un secondo modo di iniziare questo intervento, e di verificare la presunta distinzione che esso intende ipotizzare. 32 La visione ordinante (la "critica") oggetti vizza. Chiarire questo punto può aiutare a rimuovere la questione dell'"oggettività critica". Non c'è mai stata, e mai potrà esserci critica oggettiva nel senso letterale del termine semplicemente perché, come abbiamo visto, l'indifferenza, la mancanza di un'intenzionalità, non appartengono a nessuna azione. Addurre l'evidente relatività e instabilità del "gusto", citare la dimensione storica di ogni giudizio estetico, è un'operazione tediosamente evidente. Ciò che resta invece da capire è la logica, l'integrale struttura arbitraria di ogni atto critico. Non esistono due modi perfettamente identici di distanziarsi: una foto può essere riprodotta, dall'originale si può trarre un facsimile, mal' atto di fotografare in sé- il fatto stesso di "prendere" quell'inquadratura - non può essere ripetuto in maniera tautologica. Una determinata ginnastica critica- lo stile con cui ci si "discosta" da un determinato oggetto - può diventare un metodo. Può mirare a trasmettere la sua prassi attraverso esemplificazioni didattiche. Abbiamo detto che esistono scuole e manuali critici. Ma non è mai esistito nessun revival di una scuola critica, per quanto scolastico e servile sia stato - come il neo-aristotelismo nella crisi rinascimentale, le catene di montaggio deifeuilleton dopo Sainte-Beuve, o gli imitatori della semiotica parigina - che risulti omologo o equivalente al modo di distanziarsi che cerca di pef{?etuare.Ogni atto critico è sempre specifico nelle sue intenzioni. E teleologico rispetto a un particolare caso - a "questo dipinto", a questo "pezzo musicale," a "questo testo". E la categoria del teleologico, di ciò che viene messo a fuoco per un atto di scelta volontaria, non può essere "oggettiva". Non può essere imparziale o prendere posizione a prescindere da una volontà. L'estasi, la capacità o il bisogno di porsi "al di fuori di sé" è un potenziale teologico. Forse il contrasto tra il teleologico e il teologico è un terzo modo di definire lo scarto fra "critico" e "lettore". La percezione attiva e la valutazione, la collocazione normativa dell'oggetto percepito che esse comportano, non rivendicano un'autonomia oggettiva. Le scoperte della critica sono fatti storici. Possono essere psicologiche, anche se la nozione di "psicologia" rimane oscura e probabilmente insufficiente in questo contesto (come ha finito per ammettere lo stesso I. A. Richards). Quel che è certo è che non esiste giudizio critico che abbia una sua "fattualità", nel senso logico o perlomeno sperimentalmente verificabile del termine. La ricerca della fattualità verificabile o falsificabile di una posizione critica ha riempito un compendioso capitolo di storia dell'arte: in Aristotele, in Kant, in Taine e nel primo Richards. Ma resta un capitolo pieno di fertili errori e di metafore prese in prestito altrove. Nessuna legge critica può essere confutata. L'azione conosce reazione e contrattacco, non confutazione. Ogni preferenza è indecidibile. Il suggerimento balzacchiano secondo cui Mrs Radcliffe era una romanziera più abile di Stendhal, la meditata conclusione di Tolstoj secondo il quale le maggiori tragedie shakespeariane non meritano nessuna critica, il verdetto accuratamente argomentato di un'intera generazione di critici d'arte sulla superiorità di Rose Bonheur rispetto a Cézanne - non sono atteggiamenti "eccentrici" o "errori". Non possono esistere atteggiamenti eccentrici dove non esiste un centro stabile, non possono esserci "errori" se non esiste un

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