Linea d'ombra - anno XI - n. 80 - marzo 1993

non sono particolarmente sofisticati o aggiornati, vari contributi recenti delle scienze sociali che sarebbero del tutto pertinenti sono tranquillamente ignorati. I riferimenti teorici che sottostanno a tutta l'analisi sono sostanzialmente quelli di un ristrettissimo numero di classici. Di Marx vengono utilizzati i principi fondamentali di analisi della tecnologia e del lavoro organizzati nell'impresa capitalistica (la IV Sezione del Capitale per intenderci) e, sia pure con molte qualificazioni, il concetto di alienazione. Di Weber, stanno alla base del- !' analisi i concetti di burocrazia e di razionalizzazione: gli aspetti fondamentali dell' evoluzione tratteggiata nel libro vengono sostanzialmente interpretati come aspetti di un più generale processo di razionalizzazione societaria. Ma weberiano, in maniera meno esplicitamente dichiarata, è uno stile di analisi che fa costante ricorso a "tipi ideali" e "possibilità oggettive", e che articola utilissime tipologie fino al punto in cui si è costretti a chiedersi se servano ancora, se l'albero non stia facendo perdere di vista la foresta. Il terzo "classico" è Simon: "un pizzico di Simon", dice Rieser, ma in realtà la concezione della razionalità limitata e la sua applicazione allo studio delle organizzazioni vengono utilizzate a fondo. Il libro rappresenta nel suo insieme un eccellente esempio di quanto si possa ricavare da un apparato concettuale solido e ridotto a un minimoche pochi scienziati sociali di professione considererebbero sufficiente, applicato ad una base empirica che.pochi scienziati sociali di professione considererepbero adeguata in termini di sistematicità e rappresentatività. Questa base è però assai ricca e complessa. Si tratta delle ricerche altrui disponibili sull'argomento; di quelle condotte in proprio da Rieser, da solo o assieme ad altri; si tratta, forse soprattutto, delle informazioni ricavate attraverso decenni di studio e di attività politica e sindacale in contesti industriali diversi. Rieser è uno dei pochi studiosi che abbiano esperienze di prima mano sulla FIAT e sull'Olivetti come sulle piccole imprese emiliane, ed è probabilmente questo che gli permette di individuare, in una ricostruzione dell'evoluzione industriale degli ultimi decenni per molti aspetti canonica, nodi problematici che invece non sono affatto scontati. Si tratta in particolare delle peculiarità della "vi'a italiana al taylorismo", dell'affermarsi di una sorta di "taylorismo imperfetto"; e di quella sortadi "estate di S.Martino" chequestomodello organizzativo attraversa negli anni Ottanta prima della sua crisi definitiva. Si tratta certamente di crisi, anche se non di scomparsa: le possibili vie di superamento sono, ancora una volta, opzioni aperte, "possibilità oggettive". Allo stesso modo, si presenta come una gamma di possibilità oggettive il futuro delle relazioni industriali. Rieser parte dalla costatazione di un "bisogno di sindacato" che riguarda anche le imprese: ma questo bisogno può concretarsi in forme talmente varie da far concludere che "la scelta di avere il sindacato come interlocutore è per l'impresa solo una delle soluzioni possibili" (Pietro Mercenaro durante CONFRONTI un dibattito pubblico sul libro). I risultati dell'interazione tra pratica politica e pratica di ricerca sembrano più discutibili quando la pressione della domanda politica è più ravvicinata: lo stile di analisi di cui parlavo prima porta in questi casi a curiosi "aggiramenti" della domanda stessa. Così, la ricerca di cui si dà conto nel terzo capitolo parte, senza metterla esplicitamente in discussione, da una "commessa" politica che assume come decisiva la categoria del "lavoro dipendente": decisiva dal punto di vista dell'analisi come dal punto di vista delle possibilità di mobilitazione politica. Ma l'analisi della stratificazione sociale mostra quante cose radicalmente diverse ci siano sotto l'etichetta di "lavoro dipendente" e quanto incerti diventino spesso i confini tra lavoro dipendente e lavoro autonomo; l'analisi delle strategie individuali condotta utilizzando la coppia concettuale alienazione/controllo mostra quanto diverso sia il significato attribuito al lavoro da diversi tipi di lavoratori dipendenti. Se ne potrebbe dedurre tranquillamente che la categoria "lavoro dipendente", di dubbio valore dal punto di vista analitico, è certamente inutile per individuare interessi suscettibili di mobilitazione politica: Rieser non lo dice, ma possiamo dirlo noi. Ancora una volta il messaggio fondamentale è diretto al partito e al sindacato: tutti i tipi di strategie individuali ricostruiti presentano qualche tipo di implicita domanda politica, ma non ci si può illudere che questa sia unitaria. L'ultimo capitolo, dedicato agli impiegati, è per certi aspetti quello teoricamente più impegnativo. Alla descrizione della trasformazione dell'impiegato in "lavoratore universale", collocato "insieme ad altre figure di denominazione divers11lungo un continuum di compiti di elaborazione di informazioni caratterizzati da gradi diversi di complessità e di autonomia", fanno di nuovo da sfondo Marx, Weber e "un pizzico di Simon", questa volta accanto a contributi più recenti. La postilla di aggiornamento in appendice al capitolo mostra chiaramente, come nel caso della "crisi del taylorismo", che novità radicali possono accompagnarsi al persistere o addirittura all'accentuarsi di vecchi problemi: quelli occupazionali, per esempio. Ma la trasformazione del lavoro che viene descritta è così radicale da apparire difficilmente conciliabile con interpretazioni più "conservatrici" di cui c'è traccia in altri punti del libro, dove si parla ad esempio di estensione al di là dell'industria della "forma della fabbrica". la narrativa inventata di lalla Romano Bruno Pischedda Lentamente, forse, ma qualcosa pare stia cambiando nella considerazione critica del- !' ormai voluminosa opera in prosa di Laila Romano. Non che all'ottantaseienne scrittrice cuneese - ma meneghina d'adozione - siano mai mancati gli estimatori illustri, poeti per lo più, o narratori-poeti: Vittorini e Pavese, Montale, Sereni, Pasolini (memorabile di quest'ultimo la lettura-provocazione de L'ospite, ora in Descrizioni di descrizioni). La sua carriera veneranda è del resto costellata di premi letterari, di collaborazioni giornalistiche prestigiose, di opportunità editoriali qualificate e di amicizie tra le più intellettuali della penisola. Né il pubblico - in misura cospicua e con attaccamento fedele - è mai mancato al suo appello. Laila Romano, insomma, è stata da sempre ben inserita nel panorama letterario nostrano. E tuttavia, se si escludono contributi approfonditi di Spinazzola, o l'atteggiamento nettamente rivalutativo di Ferroni nel suo Novecento, se si eccettuano le inevitabili monografie formato Mursia o "Il castoro", il resto è pubblicistica d'occasione: mestiere d'informatore letterario. E che dire, poi, dell'assenza sistematica di una critica di orientamento femminista, pur disposta, talvolta, ad accantonare le grandi madri (Woolf e Wolf, Mansfield, Stein), per ripiegare sulle più caserecce Aleramo o Serao? Evidentemente, nel corso di più decenni, della Romano non è sembrata sufficiente l' originalità defilata, estranea alle mode di stagione; così come la sua femminilità prepotente e contrastata, mai indulgente, però, al visceralismo misticheggiante della "scrittura". Su di lei, più del dovuto ha gravato il sospetto di un intimismo borghesemente raccolto, di un talento estetico senz'altro cospicuo, ma autobiograficamente dissipato per dovere di verità tra le pareti domestiche, con gli affetti e i drammi comuni che ne conseguono ("letteratura in calzoncini corti", la definì Salinari su "Vie nuove"). D'altra parte imbarazzava quel suo ritrarsi dalla prosa narrativamente distesa, quel preferire alla linearità causale dei fatti la giustapposizione sagace di brevi immagini emblematiche, dialoghi ridotti a motti memorabili, documenti privati, moralités, citazioni colte: tutti strumenti atti a indagare in modo avvolgente, con leggerezza danzante, l'irriducibile unicità di personaggi sempre un po' sfuggenti e misteriosi. Si legga Un caso di coscienza (Bollati Boringhieri, pp. 58, L.10.000), ultimo volumettoedito dal!' autrice. Di primo impulso, parrebbe 27

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