Linea d'ombra - anno XI - n. 80 - marzo 1993

momenti dinamici o drammatici della storia, quanto le ricognizioni introspettive,-o magari le descrizioni paesistiche, sempre intrise di psicologismo. Senonché in primo piano colloca molto più spesso i comprimari, cioè gli amici irretiti o plagiati da Pietro, che non Pietro stesso. Avviene così che la dimensione dell'orrore, cacciata dalla porta, finisce per rientrare dalla finestra. Lo sforzo di non presentare Pietro come un mostro ideologicamente lodevole, ma letterariamente vano: il lettore infatti ha comunque l'impressione che di un mostro si tratti, perché la sua fisionomia e la sua personalità emergono solo in modo indiretto e parziale, attraverso documenti, testimonianze, ipotesi: e l'ombra che le avvolge, nonostante tutto, non si dissipa. Una spia dell'ambiguità con cui è caratterizzato il protagonista è costituita dalle ultimissime righe del libro. "Ho sentito che qualcuno ha detto che non dovrà mai più nascere un altro Pietro Maso", dice. "Ma sono cose? Come CONFRONTI possono dire questo? Io voglio uscire da qui fra qualche anno. E voglio sposarmi e avere dei figli, e averne uno maschio. Si chiamerà Pietro, anche lui. Così ci sarà ancora, di nuovo, un altro Pietro Maso". La battuta sar~autentica finché si vuole, ma è difficile inventare una conclusione più sinistra - o un suggello più plateale a una suspense che i reiterati inviti alla riflessione possono arginare, ma non sopprimere. E allora viene da domandarsi se meglio non sarebbe stato "attraversare" l'horror, anziché cercare di aggirarlo. In pratica, costruire il racconto su un tessuto stilistico più robusto e più decisamente romanzesco, fermi restando la varietà dei registri espressivi e gli inserti di tipo saggistico (del resto largamente previsti dagli statuti del realismo narrativo); ovvero sfrondare le parti immaginative e imbastire un'esposizione tutta cose e fatti, una "cronaca" ancor più nuda e scabra, che avrebbe aggiunto al già notevolissimo valore documentario, pedagogico e (in senso non tropApartiredalla fabbrica. Unsaggio di VittorioRieser Angelo Pichierri Formato tascabile, veste tipografica povera, casa editrice non precisamente di grande diffusione per il volume Fabbrica oggi. Lo strano caso del dottor Weber e di mister Marx, (pp. 219, L. 20.000, Sisifo, Siena i992): tutto coerente con lo stile dimesso e con l'understatement che caratterizzano la produzione di Vittorio Rieser. Il che non gli impedisce di avere notorietà e influenza in circoli non troppo ristretti di militanti e dirigenti politici e sindacali, e di conservare qualche ascolto, nonostante i ripetuti tradimenti contro l'accademia, tra gli accademici che si occupano professionalmente di classi, industria, relazioni industriali. Il libro è di fatto più ambizioso di quanto non farebbe pensare la modestia della presentazione (si tratterebbe di "semilavorati", "strumenti di lavoro", ecc.), come mostra già un'occhiata al suo impianto. Il primo capitolo presenta le coordinate teoriche fondamentali (dando ragione del curioso sottotitolo) assieme ad una sorta di personale manifesto politico. Il secondo, il più lungo, ricostruisce l'evoluzione del modello organizzativo prevalente nelle imprese industriali italiane dagli anni Cinquanta ai primi anni Novanta, e la sua interazione con l'evoluzione delle relazioni industriali. Il terzo e il quarto, nel quale confluiscono materiali che hanno già parzialmente circolato in varie sedi, sono dedicati rispettivamente alle "condizioni di alienazione e strategie di controllo" dei lavoratori italiani negli anni Ottanta (la base empirica è un'inchiesta sul lavoro dipendente in Italia commissionata dalla "sezione lavoro" del Pci) e 26 alle recenti trasformazioni della condizione impiegatizia. Nella trattazione di ognuno di questi temi si intrecciano il resoconto empirico, la spiegazione teorica, la proposta politica. Sebbene i tre momenti siano in genere chiaramente distinti, e sebbene il linguaggio sia intenzionalmente piano e didascalico, esiterei a definire il libro come divulgativo o a raccomandarne indiscripo lato) politico dell'Erede una più nitida qualità formale. li che poi significa, una maggiore carica di memorabilità. Ma queste osservazioni non vogliono sminuire il valore di un libro comunque esemplare: un libro che, oltre ad offrire un contributo prezioso alla conoscenza del nostro tempo, costituisce anche un esperimento letterario quanto mai serio e ragguardevole, utile ad ogni tipo di racconto che si ispiri a fatti di cronaca. C'è da augurarsi solo che i nostri narratori ne traggano argomenti di riflessione. Tra le cose che fanno difetto a un'epoca in cui ha potuto verificarsi un delitto come quello di Pietro Maso, c'è anche (dopo tante altre) una letteratura che si occupi un po' più delle cose che succedono nel mondo, e un po' meno delle tempeste che agitano i bicchieri d'acqua dell'io. Vere bufere, piogge avariate e bellette torbide non mancano proprio, solo che vi si voglia prestare un minimo di attenzione. minatamente un uso didattico. La chiave di lettura fondamentale, che ne spiega la tecnica espositiva oltre che i contenuti, è da ricercare nel programma politico esplicitato e nella scelta dell'interlocutore che implicitamente ne denva. Il programma politico è quello di una "critica praticabile" della fabbrica capitalistica, e di un progetto di trasformazione che, assai lontano da quello originario, fa i conti con le contraddizioni odierne e con le "possibilità oggettive" che oggi si aprono. L'interlocutore è naturalmente il "movimento operaio", e quando le intenzioni didattiche sono evidenti mirano certo a un pubblico di delegati prima che a un pubblico di studenti. Gli strumenti teorici che Rieser adopera Fotodi Michele e Dorio Nazzaro.

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