Linea d'ombra - anno XI - n. 80 - marzo 1993

CONFRONTI Presenza di Tolstoinella culturadi oggi. Unsaggio di EraldoAffinati Rocco Carbone In una sua pagina non molto nota André Gide, rivolgendosi a un ipotetico giovane scrittore, stabiliva una perentoria differenza tra giornalismo e letteratura. Quanto il primo avrebbe modo di essere solo nel presente e nell'immediato dell'attualità, tanto la seconda dovrebbe avere il suo centro di espressione in ciò che può valicare quel presente e quell'immediato, mantenendo un interesse attivo al di là dell'attualità e del contingente. La distinzione può sembrare ovvia, ma fino a un certo punto. È un dato di fatto che le ricorrenti dispute sullo "stile attuale" della letteratura (con i suoi corollari di secondo ordine, come la "crisi della narrativa", la "fine del romanzo", ecc.) difficilmente riescono ad astrarsi da polemiche contingenti per assumere una più ampia prospettiva, dove diversi sono i termini di paragone, e altri gli interlocutori, autori e opere che dovrebbero rappresentare il patrimonio ideale di uno scrittore. L'indubbia confusione che oggi regna, in Italia e altrove, tra giornalismo e letteratura rende difficile una riflessione adeguata su che cosa può voler dire, nel presente, essere scrittori e svolgere un lavoro letterario propriamente detto. Rare sono le opere che testimoniano di una tensione morale. Veglia d'armi (Marietti, 1992) di Eraldo Affinati, trentaseienne autore romano, mi sembra rappresentare un'eccezione interessante. Libro di prosa saggistica in continua tensione, esso affronta alcuni temi e alcune problematiche importanti per la letteratura e per gli scrittori, in un dialogo narrativo e riflessivo con un grande autore scelto come interlocutore privilegiato, Tolstoj. Questo dialogo, portato avanti mediante una continua interrogazione delle opere del maestro di Jasnaia Poljana, un lavoro di assemblaggio e smontaggio di testi radunati attorno a grandi nuclei tematici, affronta molti problemi importanti, tentando di dare alcune risposte, di tracciare un percorso interpretativo mai disgiunto da un complessivo orizzonte di tensione intellettuale e morale. ScegliereTolstoj significaper Affinati,prima di ogni altra cosa, individuare un'idea di letteratura che, nel nostro secolo, ha trovato seguaci a volte insospettabili, spesso molto diversi tra di loro. Ciò che li accomuna sembra essere proprio un tentativo di "scavalcare la letteratura", vale a dire di porre il proprio lavoro letterario a contatto con altre tensioni conoscitive e morali. Questo vuol dire, prima d'altro, mettere in discussione quella "religione delle lettere" spesso in auge nel Novecento, vale adire la pretesa di conoscere "tutta la realtà" partendo da una estetica totalizzante. Per fare questo, è necessario innanzitutto liberare l'opera di Tolstoj da quelle interpretazioni novecentesche che hanno fatto del1' autore di Guerra epace un autore, in fondo, di retroguardia, tutto dentro il secolo nel quale ha lungamente vissuto. L'alternativa Tolstoj-Do22 Archivio Effigie. stoevskij, risolta spesso a vantaggio della modernità di quest'ultimo come esploratore e diagnostico di quel "profondo" e di quella realtà del profondo che nel nostro secolo è stata spesso la realtà senza altri aggettivi, ha collocato il primo in una posizione di anacronismo. Affinati contesta, già dalle prime pagine del suo libro, questa alternativa, così come è stata formulata fino a oggi, e guarda a Tolstoj da una posizione affatto diversa, e che cambia decisamente le carte in tavola: "Se infatti lo [Tolstoj] neutralizziamo nella nozione di realismo integrale, come generalmente si tende a fare, saremo costretti ad assegnargH una posizione anacronistica e, per quanto importante, subalterna. Mentre invece deve essere chiaro che la trasparenza della sua visione poetica indica un doppio piano dell'esistenza a cui si richiama. Più che ripetere la vita, attraverso la sua messa in scena tende alla creazione di una legge etica". Presupporre un lavoro etico con il quale il lavoro letterario si confronta e a contatto del quale assume precise e inedite fisionomie, significa assumere un punto di vista attraverso il quale, in fondo, buona parte del Novecento va riletto, secondo altri modelli. Questa mi sembra l'idea base di Affinati, che attraversa tutto Veglia d'armi e gli attribuisce quella particolare fisionomia a cui prima accennavo. La lettura dei numerosi testi tolstoijani è così tesa a evidenziare la qualità di una scrittura che, proprio per il suo continuo rifarsi a un altro piano di conoscenza, va apprezzata in un modo diverso da quello consueto. La "semplicità" di questa scrittura coincide così con un'idea di necessità e con la presenza di un mondo interiore che solo a certe condizioni di stile può essere esplorato. Sono molti gli emblemi narrativi che, nell'opera di Tolstoj, alludono a questa idea di ' letteratura, fondata sulla necessità, tesa alla ricerca di un'autenticità che può esistere solo in riferimento a un piano morale dell'esistenza. Molte sono le metafore narrative che si presentano a una simile lettura. Tra queste la presenza della guerra è quella che più sembra interessare Affinati. Mettendo a confronto brani celebri di Guerra epace e di numerosi racconti tolstojiani, viene messo in luce il denso e complesso significato metaforico che la condizione dell' uomo-soldato assume. La guerra è il luogo e il tempo in cui l'individuo deve compiere le azioni decisiveche determineranno il suodestino, dando a esso una svolta definitiva. La "veglia d'armi" è così il momento in cui ognuno è solo di fronte al suo destino. C'è una pagina, notissima, di Guerra e pace in cui tale condizione viene espressa inmodo esemplare. Riguarda labattaglia di Borodino e la partecipazione ad essa del principe Andrej, che guida i suoi uomini verso la mattanza. I soldati non sono consapevoli di ciò che di lì a poco accadrà, e avanzano carponi scherzando tra di loro. Andrej è fermo, non impartisce ordini: "Non si muove: è nella sua veglia d'armi, sta pagando i prezzi che quella posizione di consapevolezza richiede. Fuori dalla metafora bellica, ciò significa non abbandonare i nostri ideali, trattenerli presso di noi a qualsiasi costo. Naturalmente esistono diversi modi per disertare la propria natura: la semplice fuga - chi può dire di non averla mai tentata?- oppure la riproposizione del mito di una conoscenza esclusiva e privilegiata, come potrebbe essere quella letteraria, capace di sondare il regno dell'invisibile: il delirio d'onnipotenza di Napoleone, figlio dell'Illuminismo e quindi del mondo moderno". Partendo da Tolstoj e da un'idea di letteratura così definita, è possibile ripercorrere unitinerario novecentesco, fatto di autori e di opere, in cui quel lascito e quella testimonianza hanno attecchito. Il percorso è molto vario, e numerosi sono i testi citati da Affinati, da Ernst JUnger a Simone Weil, per dare solo un esempio delle grandi divaricazioni che una simile scelta offre (e forse in questo andamento espositivo, il voler ricondurre autori assai diversi tra di loro all'interno di uno stesso orizzonte di interpretazione diventa rischioso e per certi versi discutibile). Ma sono altri gli aspetti che, in Vegliad'armi, mi sembra vadano messi in rilievo. Il primo, che percorre il libro dall'inizio alla fine, con puntuale insistenza, è il tentativo di affrontare un discorso sulla letteratura novecentesca - e direi anche sulle possibilità attuali della letteratura di riuscire a esprimere ancora qualcosa di importante - in rapporto a ciò che prescinde dalla letteratura, un piano etico che l'autore definisce, a un certo punto del suo discorso, "legislazione esistenziale" e che, al di là della difficoltà di una definizione simile in sede, diciamo così, "teorica" (ma anche questo aggettivo è pieno di approssimazioni e di equivoci) è un tentativo importante. Importante perché scardina la pretesa e il miraggio, eredità ambigua di un certo Novecento, della letteratura come conoscenza

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