IL CONTESTO L'antropologia c'insegna che in Italia già nell'eneolitico le razze erano mescolate; eppure Roma ha conquistato il mondo con eserciti di Latini e d'Italici, così come in tempi più recenti un popolo molto misto, l'Inglese, ha saputo formarsi un impero. E l'Impero romano è secondo ogni verosimiglianza caduto non già perché nell 'élite che lo governava la razza fosse troppo mescolata, anzi perché questa élite non ebbe la forza di superare un proprio pregiudizio e un proprio istinto e di rinsanguarsi accogliendo in sé rurali d'altra origine, cioè d'altra "razza". Io parlo, quindi, più volentieri di popoli latini che di razza latina, perché m'importa l'uso di lingue derivate dal medesimo ceppo e la consapevolezza a tutti comune di avere ereditato la civiltà dall'Impero di Roma; non m'importa se un Francese o un Italiano della Padana abbia qualche oncia di sangue celtico o germanico, un Italiano del Sud qualche oncia di sangue greco o fenicio o arabo o normanno, uno Spagnolo qualche oncia di sangue iberico o arabo. Che dovremmo poi dire dei Rumeni? E chi del resto può credere a razze pure nell'Europa contemporanea, quando, ripeto, gli antropologi c'insegnano che già nell'eneolitico le razze erano mescolate? È naturale fosse così. Quanto più un popolo è primitivo, tanto meno senso egli ha, non dico della propria razza, ma della propria nazionalità. Io non voglio offendere il dottor Fritzsche, ricordandogli che nei Nibelunghi l'unno Attila è sentito e descritto quale un Germano. Ma è di ieri l'avventura di un animoso Ligure, il Cerruti, che finì capo di una tribù di pigmei nell'Asia posteriore. Proprio in stadi di civiltà meno avanzata uomini e donne si uniscono senza pensare a razza o nazionalità: quanti sovrani turchi saranno stati figli di schiave circasse o arabe o anche franche? Nell'Europa moderna la razza è un mito: non un mito grecoromano, quale "i puri popoli del Nord", ma un mito di origine molto più recente, un mito che non risale forse oltre il francese conte di Gobineau; a ogni modo un mito altrettanto letterario. Unità veramente sentita e degna di esser sentita è solo la nazione, la patria. La "razza pura" significa mera natura, brutalità assoluta; nazione e patria sono invece comunità culturali che ha create la storia; e, appunto perché formazioni storiche, cioè umane, sono sante. Nota 1) Su tutto questo mi sia permesso richiamare il mio articolo su Cesare, Platone e Posidonio, in "Studi italiani di filologia classica", Nuova Serie, VIII, 1930, pp. 298-3 IO. Insoliti ignoti Alberto Cavaglion È sempre infantile ed illuministico (ma "l'illuminismo è una forma di infantilità", ammoniva Giorgio Pasquali) chiedersi il perché di un silenzio. Nel clamore che in questi giorni si leva intorno alla questione del razzismo e della xenofobia vien spontaneo chiedersi se, fra tanto . fragore spesso retorico, non si nasconda per caso un disagio, una ansietà in qualche misura immemore. Per essere più precisi si ha la sensazione che l'antirazzismo nostrano (ci si riferisce qui, come è ovvio, alla situazione italiana), come del resto il pacifismo, soffrano di una forte carenza di memoria storica. Se nel caso del pacifismo il vuoto è in buona parte colmato dalla presenza di nomi bene o male entrati a far parte della nostra cultura (penso naturalmente, anche per merito di "Linea d'ombra", ad Aldo Capitini), nel caso dell' anti-razzismo si rischiano grandi sorprese. È fortemente dubbio che i giovani che scendono nelle piazze per 18 manifestare a favore di una società multietnica, che chiedono assemblee scolastiche contro i naziskins abbiano la consapevolezza dell'esistenza, nel passato recente di questa Italia scombinata, di personaggi forse non carismatici come Capitini ma egualmente nobili in fatto di primogenitura anti-razziale. Enti pubblici, consigli di istituto, dipartimenti universitari, istituti di cultura, privati cittadini vanno in queste ore spremendo le proprie meningi per escogitare valide risposte da suggerire a quei giovani, sul terreno del "non dimenticare" e in forza del sacrosanto principio etico della memoria. Ma il valore etico della memoria non ha forse il dovere di esplicarsi in tutte le direzioni? Nella direzione (negativa) della memoria del male, ma anche nella opposta direzione (positiva) della memoria del bene. Forse che la memoria può funzionare solo a senso unico? L'imperativo biblico Zachòr (Ricorda) non può ammettere restrizioni di alcun tipo e dunque: perché ricordare soltanto ciò che ci ha fatto Amalek e non anche, congiuntamente, ciò che hanno detto e scritto gli oppositori di Amalek? Il giovane universitario italiano che volesse cimentarsi in una tesi di laurea sulla storia dell'anti-razzismo italiano troverebbe non poche. difficoltà sul suo cammino. Perché non provare ad aiutarlo, fornendo materiale ancora grezzo ed eterogeneo, ma già utile a comporre un delizioso florilegio con "le più belle pagine" uscite fuori dal radicalismo italiano di fine Ottocento, dalla scuola di Cattaneo e dai linguisti come Graziadio I. Ascoli (sul valore anti-razziale delle cui opere ha scritto pagine memorabili Sebastiano Timpanaro) e da altri pochi, di cui dirò fra breve? Non è un po' ipocrita imputare ai revisionisti la biasimevole disponibilità all'oblio quando ci si dichiara anti-razzisti ferventi, ma si ignora l'esistenza di chi, nei decenni scorsi, ha già tentato di percorrere la stessa nostra strada? Quali responsabilità abbia avuto una storiografia contemporaneistica pigra, anchilosata nei suoi pregiudizi e nelle sue abitudini, è superfluo dire. Ed anche un po' inutile: l'urgenza dell'attuale situazione dovrebbe spazzare via ogni resistenza. Dunque chi ha buona volontà (e schede bibliografiche adeguate) si faccia avanti per contribuire, come meglio può, alla realizzazione di un anti-Manifesto della Razza, o, se si preferisce, di un minuscolo SOS anti-racisme, di un vademecum dell'opposizione che contenga l'elenco precis·o degli anti-Interlandi, degli anti-Le Pen, uomini-contro, avversari della "difesa della razza" di ieri e di oggi. Si dovrà per forza iniziare dalla figura troppo a lungo dimenticata di Arcangelo Ghisleri ( 1855-1938), repubblicano, democratico, maestro di Salvemini, ideatore di quelle associazioni del Libero Pensiero che ancora attendono di essere studiate con l'attenzione che meritano. Negli anni Ottanta del secolo scorso, agli inizi delle imprese coloniali, Ghisleri polemizzò aspramente con un noto esponente della democrazia italiana, un uomo della sinistra come Giovanni Bovio, che in una prolusione all'università di Napoli (Il diritto pubblico e le razze umane, 1887) uscì con affermazioni inopinatamente ostili verso le popolazioni indigene: "Per noi un diritto alla barbarie non esiste; come non esiste la libertà di ignoranza, non la libertà di delinquenza. Esiste un diritto fondamentale: quello che ha la civiltà di diffondere dovunque la sua potenza innovatrice come si diffondono la luce e il calore". E ancora: "La civiltà si espande come può, dove con la scienza, cioè in se stessa, e dove con la violenza, cioè oltre di sé. Sotto questo rispetto l'espansione dei grandi Stati è l'espansione del pensiero". Ebbe buon gioco Ghisleri a replicare con una serie di articoli su "Cuore e Critica" (la crisalide che si trasformerà poi nella "Critica Sociale"): "Esiste davvero la razza migliore? Può affermarsi il diritto d'una razza a soggiogare o a disperdere le razze inferiori? Quali sono i fondamenti di un tale diritto? La inferiorità di alcune razze è dessa un fatto assoluto, perenne, insanabile? [...] È vero che razza bianca e civiltà siano sinonimi? Che fuori della nostra razza non siansi sviluppate altre civiltà? E cos'è la civilt4?". I quesiti ghisleriani - soprattutto l'ultimo - risuonarono a lungo nella coscienza dei democratici italiani, dei socialisti degli albori come Salvemini. Raccolti in opuscolo, quegli articoli ebbero larga fortuna e, dopo la prima edizione del I 888, Ghisleri allestì una ristampa nel 1896, poche settimane dopo Adua. Germi di incomprensione, bacilli di pregiudizio allignavano anche a
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