Linea d'ombra - anno XI - n. 80 - marzo 1993

IL CONTESTO I purosangue I ANTOLOGIA I Giorgio Pasquali con una nota di Alberto Cavaglion L'articolo/ purosangue, come un altro egualmente importante, sulla lingua italiana a Malta, fu pubblicato da Giorgio Pasquali (Roma 1885 - Belluno 1952), autore tra l'altro di Filologia e storia ( 1920), Orazio lirico ( 1920), Storia della tradizione e critica del testo ( I934), Le lettere di Platone ( 1936), sulla rivista "Pan" (I O dicembre 1933, pp. 57-62) ed è ora raccolto in Pagine stravaganti, a cura di G. Pugliese Carratelli, Firenze, Sansoni, 1968, voi. I, pp. 281-287. Filologo e linguista insigne, Pasquali ha lasciato in eredità una miriade di articoli e saggi di argomento vario o, come amava dire lui, "stravagante". Sono assai noti anche i suoi interventi paradossali sul tema della scuola e dell'insegnamento - anche questi, per diverse ragioni, da rileggersi. Come oggi Tzvetan Todorov (Di fronte alt' estremo, Garzanti, 1992) - e come ieri G .I. Ascoli - negli anni Trenta Pasquali avvertì l'esigenza di lasciare i suoi studi di filologia e storia della lingua per denunciare le prime avvisaglie del morbo razzista. Il dottor Guglielmo Fritzsche, noto a tutti gl'ltaliani per un corsivo del "Popolo d'Italia" del novembre, asserisce che la razza più pura è la nordica, abitatrice delle coste del Mar del Nord e del Baltico: facce lunghe, capelli biondi, occhi chiari, statura alta. L'uomo nordico è il tipo del conquistatore nato. Il dottor Fritzsche cammina senz'avvedersene sulle orme di poeti e prosatori greci: quella ch'egli crede santa verità scoperta da una scienza moderna, l'antropologia o la Rassenkunde, è un motivo letterario tralaticio. Nell'Iliade Giove, seduto in cima all'Ida, si stanca una volta (XIII 1 sgg.) di contemplare sempre mischie e mischie tra Achei e Troiani, e si volta dall'altra parte, verso nord, a rimirare di là dalle popolazioni guerriere dei Traci e dei Misi i nobili Hippemolgi che si ciban di latte, e gli Abii i più giusti tra gli uomini. Hippemolgi significa "mungitori di cavalle", Abii significa "senza violenza"; si tratta dunque di due tribù nomadi che abitavano in quello che per l'uomo greco di quei . secoli era l'estremo nord, e almeno una delle due formata di persone tutte dabbene. Nell'estremo nord i poeti omerici, figli di una stirpe, la ionica, che nel momento stesso in cui si affaccia alla storia si sente già troppo civile, immaginano popoli non ancora contaminati dalla cultura, e quindi migliori. Gli Abii sono tutt'altro che la belva umana primitiva: le belve non vivon di latte. Essi sono, piuttosto, un popolo allo stato di natura, quale lo immaginavano il Rousseau e Bernardin de Saint-Pierre, dunque pacifico e pacifista. Erano, gli Abii, Germani? No di certo. È sempre infantile (ed è illuministico, ma l'illuminismo è una forma di infantilità) chiedersi in qual regione debbano venir cercati, con quale popolo identificati gli esseri favolosi che la leggenda mette agli orli del mondo abitato. Paesi e popoli che si conoscono, non sono più favolosi. Se Omero, conoscendo bene Corfù, avesse posto colà i Feaci, avrebbe scritto un romanzo a chiave e non un'epopea. I Feaci, come i Ciclopi, appartengono al regno della favola. Si può tutt'al più chiedere quali popolazioni abbiano dato a Omero lo spunto per quella concezione. Già studiosi antichi, alessandrini, dubitavano ch'egli alludesse a tribù di Traci, o piuttosto di Sciti. Traci e Sciti occupavano il nord dell'Asia Minore, il nord dei Balcani, le pianure della Russia Meridionale. I Traci formavano con i Frigi (il popolo di Troia) un ramo, rimasto molto addietro per 16 civiltà, della nostra stirpe indoeuropea; gli Sciti erano di lingua Iranii, fratelli cioè dei Persiani, anche essi indoeuropei. Il loro aspetto, come ce lo dimostrano descrizioni ioniche molto posteriori a Omero e rappresentazioni figurate, fa sospettare mescolanze con elementi nordici: Finnici? I Germani non c'entrano per nulla. Dovevano passare molti secoli prima che quel motivo fosse applicato a loro. La fantasia omerica dà, ed è già molto singolare, un apprezzamento: gli Abii sono i più giusti degli uomini, dunque più giusti, migliori dei Greci. Gli Ioni del VI secolo, le generazioni che crearono la leggenda dei Sette Savi e, in genere, la novella gnomica, vanno ancora un passo oltre: essi polemizzano contro se stessi e ironizzano se stessi. Essi si chiedono se le istituzioni e le· concezioni nelle quali sono cresciuti, non siano contingenti, e se i popoli che il Greco è abituato a chiamar barbari e a disprezzare, non siano, considerati fuori di ogni convenzione, a puro lume di ragione, migliori dei Greci, pur così orgogliosi di sé. Il modo di porre il problema, se mostra dall'un canto che !acritica è divenuta autocritica consapevole, è dall'altro illuministico, antistorico, dunque, ripeteremo ancora una volta, infantile. Quale è l'istituzione migliore? Chi ha ragione, il Greco o lo Scita? Sono domande che ricordano da vicino altre che abbiamo sentito discutere sul serio ai nostri padri: qual è la migliore forma di governo? Quell'età inventa uno Scita ingegnoso, Anacarsi, che viaggia il mondo greco, confronta i suoi "costumi" con i costumi del proprio popolo e, libero dai parocchi della convenzione (cioè da ogni tradizione storica), assegna spesso la palma a questi ultimi. La Grecia si fa rinfacciare la propria civiltà da un barbaro. Qui, per la prima volta, natura e cultura sono opposte consapevolmente, sono pesate, e la natura riconosciuta superiore, la cultura bollata quale deviazione arbitraria, stolta . I Dori furono, quanto a cultura, meno precoci degli Ioni, non giunsero anzi mai a intendere la scienza (tranne le matematiche nelle quali furono eminenti). Per Pindaro, ch'è del V secolo, gli abitatori dell'estremo nord, che chiama Iperborei, sono esseri molto più soprannaturali che per Omero. Ma i grandi storiografi greci, Erodoto nel V, Eforo nel IV secolo, ereditano le concezioni scientifiche \o quasi) degli Ioni, non le alate fantasie doriche. Erodoto è conservatore. Anch'egli idealizza gli Sciti, almeno certe tribù e per certi aspetti; anche in lui l'ingenuo sapiente Anacarsi è una figura di molto rilievo. Di Eforo è perduto il testo originale, ma se ne può ricostruire il contenuto assai bene dalle opere di scrittori più recenti che lo hanno adoprato, anzi talvolta copiato. In Eforo, Anacarsi, conforme agli spiriti e ai gusti del tempo, si è trasformato in predicatore di dottrine filosofiche ciniche. Egli addita a modello degli uomini le più fiere delle belve, perché esse sanno morire per la libel'tà, e precorre così non già il popolo tedesco né gli studiosi tedeschi in genere, ma certi razzisti. La civiltà greco-latina viene poi in contatto con popoli occidentali di cultura inferiore, specialmente con il celtico; e ai Celti fu subito trasportato o esteso lo schema applicato fino allora agli Sciti. Nella prima metà del primo secolo innanzi Cristo vive uno storico e filosofo che ebbe particolare interesse e particolari

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