Linea d'ombra - anno XI - n. 80 - marzo 1993

movimenti, sorti dopo il novembre '89, sembravano deprimenti; avevamo la sensazione che se non avessimo partecipato noi stessi alle elezioni, non avremmo avuto chi votare. La campagna elettorale ebbe il carattere di un grande happening nazionale e difficilmente si potrà ripetere in una forma così ingenua. I soldi ancora non giocavano un ruolo decisivo, perché non esistevano specialisti in campagne elettorali, e la via al successo passava attraverso l'umorismo, le trovate, le invenzioni. Oggi è tutto già così lontano, ma ogni tanto mi scopro a ripescare i piacevoli ricordi di come stavamo fino a notte sugli slogan elettorali e come gli scrittori facevano a gara nella loro invenzione. Gli slogan migliori, di regola, non si potevano usare, ma era un divertimento enorme, perché la posta in palio era alta. Insieme abbiamo scritto diverse versioni dei programmi elettorali ed ho avuto la strana sensazione che uno scrittore prova nello scrivere un romanzo. Anche il programma elettorale era una specie di modo di vedere la realtà, così come lo è la letteratura. Mi resi conto, allo stesso tempo, che per la prima volta e per l'ultima invita mia univo, così senza timore, letteratura e politica e che questa prostituzione può avere un suo particolare fascino se si fa con entusiasmo. Mi sono venute in mente le conversazioni con mio padre, che ha vissuto questo tipo di entusiasmo due volte, una volta nel '48 e poi vent'anni dopo, anche con quella tristezza, che poi logicamente passa. Fu qualcosa di simile. Ogni rivoluzione, buona o cattiva, ha probabilmente i suoi schemi, nei quali la gente cade. In qualcosa però c'è differenza. La nostra situazione non aveva limiti esterni e ci siamo trovati veramente, con tutto ciò che comporta, ad essere il famoso soggetto della storia. Per quelli più sensibili, e forse per questo più deboli, poteva essere anche un'esperienza esistenziale abbastanza spaventosa e mi ricordo molto bene gli attimi in cui Faust e Mefisto si incontravano quotidianamente davanti alla lista dei candidati alle elezioni. Con stupore osservavo quelli che con sangue freddo annuivano alla domanda se acconsentivano ad essere in cima a quella lista, ed all'improvviso ho sentito di non capire nulla. In quello schema avevo un mio chiaro posto, sapevo che era al di là delle mie forze iscrivermi a quella lista ed espormi alla elezione del mio destino. Questo ho invidiato a quelli che Mefisto aveva convinto. I drammi di Faust si svolgevano poco prima della consegna della lista, quando all'ultimo momento più d'uno preso dal panico si cancellava dall'elenco e fuggiva dal luogo dell'azione, così che nessuno sarebbe riuscito a trovarlo per l'ora prestabilita e a costringerlo ad annuire un'altra volta. Questi momenti sono stati l'esame del rapporto con il potere e sono diventati l'immagine del futuro del movimento VPN. Le elezioni le abbiamo vinte con un grande vantaggio e, a nemmeno un anno di distanza, il movimento si è irrimediabilmente disgregato. Ne sono usciti coloro che non potevano accettare, in nome di una astratta idea umanistica e di libertà, di perdere da un giorno all'altro quel potere per il"quale una volta decisero a sangue freddo di firmare la lista elettorale. Hanno fondato un nuovo movimento che non lascia più dubbi: i suoi membri hanno imparato alla perfezione chi ostacola loro la strada al potere - gli intellettuali. Quando oggi mi chiedo se si sarebbe potuto fare qualcosa diversamente, se altre persone avrebbero portato la Slovacchia altrove da dove è ora, penso sempre di più che, come pure gli individui, neanche le nazioni sfuggono al loro destino. Nei primi giorni subito dopo novembre avrei sicuramente risposto alla vecchia domanda, quale ruolo hanno le personalità nella storia: unico, sono i suoi creatori. A due anni di distanza mi convinco IL CONTESTO sempre più che è piuttosto il contrario che, se le personalità giocano qualche ruolo nella storia, è solo perché la storia le ha create. La Slovacchia non è sfuggita ai suoi capi, non è sfuggita neanche al fallimento del tentativo di superare la sua ombra. Gli intellettuali, che in questo avrebbero dovuto impegnarsi, hanno fallito anche loro. Le piccole nazioni, in politica, hanno sempre vita dura, perché soffrono di una cronica insufficienza di politici integrati ed esperti. La Slovacchia, inoltre, nell'ultimo secolo, diverse volte durante le enormi ondate migratorie e repressioni, si è sbarazzata della sua intellighenzia, che avrebbe potuto educare questi politici. Inoltre, anche quelli che si sono dedicati alla politica e sono riusciti a ~iventare qualcuno, dovettero uscirne fuori, gran parte di loro velocemente, dopo i cambiamenti del regime. Di regola non sono riusciti a crearsi un retroterra né a trasmettere l 'esperienza che avevano acquistato a contatto con il potere. Se la politica slovacca ha una qualche tradizione, questa è piuttosto una tradizione di aspettative e di insufficiente coraggio ad elaborare una concezione politica e poi, sulla base di questi principi, agire- ad eccezione della politica dello Stato slovacco durante la seconda guerra mondiale, che è stata, per esempio nei confronti degli ebrei slovacchi, basata su principi veramente tremendi. Allo stesso modo oggi, se al posto dell'elaborazione di una concezione politica si mette il primitivo principio nazionalistico, abbiamo lo stesso modello di politica inefficace. Gli intellettuali che sono stati alla testa del movimento sociale nel novembre dell'89 sono stati in grado di elaborare una concezione politica ed avevano un'idea relativamente chiara di dove questo potesse condurli. Non avevano politici, però, che potessero guidarli - ed ora uso una parola che non sopporto - a realizzare questa politica. Un peccato eterno. Ci hanno provato da soli e veramente oggi mi piacerebbe sapere quanti di loro immaginavano come sarebbe finita. Uno dei rivoluzionari di maggior talento e il prediletto dalle masse è diventato la vittima del proprio talento e della propria persona, e il vortice degli avvenimenti lo ha risucchiato fino a portarlo sempre più lontano, fino a condurlo dall'altra parte della barricata. Un altro si è scontrato con il problema dell'antisemitismo, che lo ha scosso così come in Slovacchia in tutta la sua storia non era mai successo, ed è dovuto andare via non solo dalla scena politica, ma anche dalla propria nazione. Altri sono stati traditi da un alto, persino altissimo, intelletto che non ha permesso loro di capire che in politica ha successo il più stupido, o almeno chi nasconde abilmente il proprio acume. Gradualmente, uno dopo l'altro escono dalla politica, molti in circostanze drammatiche e spesso accompagnati dall'odio di coloro che li avevano pregati di prendere il potere nelle proprie mani. A tutti manç:ava il fondamentale istinto di conservazione, che impone che, per poter fare politica, si deve usare il potere quanto meno per rimanere in politica e non essere sbattuti fuori. La storia è piena di queste vicende. Hanno anche, però, il loro proseguimento. Forse per coloro dei quali scrivo è previsto ancora un atto. Questi intellettuali che si sono invischiati nella politica in tempi così caldi, come usano essere le rivoluzioni, continuano però a rimanere sempre pericolosi per tutti quelli che restano in politica. Lo conoscono molto bene, si sono affacciati alla cucina del potere, ci hanno pure cucinato da soli. Sarebbe nella logica di questo potere il desiderio di vendicarsi ancora una volta di quelli ai quali si è mostrato e che hanno così profondamente offeso, con il loro altezzoso disprezzo, la sua ammaliante bellezza. Il futuro ci farà vedere. 15

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