enorme. Più è vicino il suo inizio, maggior peso ha ogni azione. Il novembre dell'89 è stato indiscutibilmente uno di questi momenti. Brividi mi corrono lungo la schiena, quando ripenso a ciò che ho veramente vissuto. Vivo con una sensazione di permanente stupore, per essere stato testimone di eventi e decisioni che hanno segnato il destino di milioni di persone. Così come anni fa andavo a lavorare come infermiere in ospedale, perché volevo vedere con i miei occhi l'evento della nascita della vita e la sua fine, così mi sono trovato nel luogo dove, con i miei occhi, ho visto nascere la storia. E devo dire che sento una peccaminosa soddisfazione per questa esperienza. Perché la rivoluzione come concepimento della storia non è dissimile dal reale concepimento della vita e, non a caso, per molti uomini la politica è più seducente di una donna. Mi rendo conto però molto bene che questa magica attrazione della politica ha imposto il primo passo falso a coloro che hanno creato il nucleo del movimento "Pubblico contro la violenza". Venti, forse trenta scrittori, scienziati, artisti si sono incontrati nel punto di intersezione del tempo storico non certo per caso, ma nemmeno del tutto logicamente. Nei sistemi totalitari artisti ed intellettuali spesso hanno supplito la politica, con le proprie opere hanno rimpiazzato l'opposizione che, istituzionalmente, non poteva esistere. Tutti i membri del comitato di questo movimento appartenevano a tale opposizione intellettuale, ma quella era più vasta e non chiaramente circoscrivibile. Erano molti coloro che avrebbero potuto far parte del comitato, avevano in ciò pari diritto. Non ne fecero parte forse perché arrivarono qualche ora più tardi, o forse proprio quella domenica erano in campagna, oppure perché avevano qualche altro impegno. Oppure perché nessuno glielo propose e loro non se la senti vano di andare a dire: anch'io voglio partecipare alla rivoluzione, anch'io la voglio vivere da vicino, anch'io voglio aiutare con il mio cervello e la mia energia. E ci furono anche centinaia di altri che volevano, che insistevano per entrare nella sala, che però già dal secondo giorno cominciò ad avere l'atmosfera mistica del nucleo, quel leggendario occhio del tornado intorno al quale gira la storia e che rimane avvolto nel mistero. Ogni ora cresceva l'intimità e la chiusura di questo gruppo di persone, che trascorrevano i giorni e le notti in febbrili discussioni, scrivendo dichiarazioni, proclami strategici, che vivevano in estasi, strappati alla quotidianità e gettati nell' essenza stessa della realtà. Ogni pensiero pronunciato non era più solo un pensiero ma una possibilità reale, essendo dopo qualche ora pronunziato al microfono in piazza, e diventava portatore del movimento storico. Chi non vorrebbe partecipare ad un' esperienza simile? Chi non vorrebbe vivere la permanenza nello spazio illuminato dalla luce della grande storia? Nello spazio nel quale si sente un odore simile ali' odore di ozono dell'alta tensione, dove passano bellissime ragazze, preparano il tè e portano il cibo ai rivoluzionari stanchi, dove arrivano giornalisti da tutto il mondo e vi tirano per la manica, per carpire 1.,maqualsiasi informazione da quel pentolone di idee, per le quali fuori già aspettano le masse. Davanti alla porta di quella sala c'erano uomini capaci di rimanere in piedi per ore intere, per riuscire ad entrare solo per un attimo. Molti di loro però già allora sapevano ciò che quelli all'interno intuivano solo: che è attraverso quella porta che va la strada alla politica, la strada verso il potere. Continuarono ad andare e rimanere lì per un po' di tempo, finché non persero la pazienza e non arrivarono al limite della propria dignità. Dal punto di vista politico ed umano fu un errore enorme lasciare chiusa quella porta. Quando oggi guardo la scena politica, sento IL CONTESTO la pesante ironia della sorte: la maggior parte di coloro che oggi stanno su questa scena e sparano con armi di ogni calibro contro il movimento VPN (Pubblico contro la violenza, N.d.T.) stavano allora davanti a quella magica porta e pregavano di entrare. Li capisco. Certo, in quei giorni e in quelle settimane è stato enormemente difficile mantenere almeno la linea di base di una rivoluzione contro il comunismo e non dividersi in centinaia di individui, che non avrebbero avuto possibilità contro un pur sempre forte e funzionante partito comunista. Il movimento rivoluzionario è stato fondato su pochi simboli e personalità che non si potevano moltiplicare. Oltre a questo però paradossalmente esisteva una inconscia avversione verso tutti coloro dei quali si riusciva a percepire il desiderio di potere, il desiderio di politica. Si trattava di una avversione atavica degli intellettuali alla politica, degli intellettuali che hanno chiuso quelle porte. Ci siamo trovati veramente in una situazione particolare. In quel momento ci trovavamo sulla linea di partenza della storia praticamente da soli, alcune decine di dilettanti, ai quali soffiava sulla schiena qualche milione di persone che aspettavano i loro cenni. Non si è trattato delle solite rivolte e rivoluzioni, quando il potere si comporta come una prostituta provocante, rimane in un angolo, chiaramente definisce le regole del gioco, e chiunque abbia a che fare con lui sa che cosa lo aspetta. Quel potere, che abbiamo ricevuto in mano noi, si è comportato in modo del tutto diverso. Era un triste orfano abbandonato, che aveva bisogno di qualcuno che si prendesse teneramente cura di lui, altrimenti, gettato per strada, se ne sarebbe appropriato un fannullone qualunque. Centinaia di persone venivano ogni giorno con le lacrime agli occhi a pregarci di prenderci cura di questo potere, di non lasciarlo nelle mani dei comunisti, di trasformare il loro sogno di libertà in realtà. Era un invito al potere e allo stesso tempo un invito alla morale, un invito al sacrificio. Si può rifiutare un simile invito? Siamo rimasti faccia a faccia con lui, imbarazzati dalla sua imponenza e, allo stesso tempo, abbiamo intuito la nostra impotenza nei suoi confronti. Perché questo nostro apparente potere, che spontaneamente è cresciuto giorno dopo giorno, l'abbiamo ottenuto per mezzo di un'idea che è, con il potere, in fatale conflitto. Questa idea era l'idea della libertà dell'individuo. Questa idea, in realtà relativamente esclusiva ed esotica, che vegetava in prevalenza solo nell'ambiente degli intellettuali, per una coincidenza di circostanze storiche, per un breve attimo, è diventata anche idea comune alle masse. Questa coincidenza è stata tanto più drammatica perché nella storia della Slovacchia era praticamente la prima reale apertura a quei valori che hanno formato l'Europa già dall'epoca della Rivoluzione francese. Avremmo dovuto forse intuire che non può riuscire la prima volta. Continuo tutt'oggi a pensare che tutti sapevamo di questa contraddizione e che abbiamo sentito di essere nella trappola della storia, dalla quale non saremmo usciti senza romperci le ossa. Nonostante ciò, ci siamo buttati dentro, afferrando con cautela e sperimentando ciò che viene definito potere. Dopo due anni di contatto con questo potere ho la continua sensazione di aver urtato contro qualcosa di misterioso, contro una qualche entità perfino metafisica, che però si comporta come un essere vivente. È affabile quando vi servite di lui con arroganza e impudenza. È però perfido e vendicativo se rifiutate la sua offerta a servirvene. Noi ci siamo comportati nei suoi confronti con assoluta 13
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