IL CONTESTO Dal ministero venne fuori uno dei dirigenti, discusse con loro, promise un miglioramento e, cortesemente assistiti dalla polizia di stato, si augurarono tutti la buona notte. Questo non fu trasmesso da nessuna televisione, Radio Europa Libera diede forse una breve notizia. Il giorno dopo a Praga si arrivò al noto massacro degli studenti che fece muovere l'intera società, nella Repubblica ceca come pure in Slovacchia. Molte volte mi sono chiesto in che misura la percezione slovacca della rivoluzione è stata segnata dal fatto che, nelle strade di Bratislava, non è stata versata nemmeno una goccia di sangue e dal fatto che quella spallata fondamentale alla costruzione del sistema, che poi si è sgretolato così bene, l'hanno data a Praga. Spesso mi sono chiesto se non ci siamo privati di un pezzo troppo grande del nostro tempo storico, del quale la Slovacchia non sarà in grado tanto semplicemente di fare a meno, in modo naturale. Mentre a Praga sin dal primo momento febbrilmente e risolutamente si era formata un'opposizione politica, che si stava costruendo praticamente da vent'anni, a Bratislava il 19 novembre si sono raccolti in un'assemblea di protesta un centinaio tra artisti e scienziati, dei quali molti si conoscevano sino ad allora solo dalle inaugurazioni delle mostre, dalle serate teatrali o sociali, oppure per l'attività ecologica; mai si erano incontrati prima sul terreno di un'opposizione politica, perché questa di fatto non esisteva. A suo modo ciò ha segnato anche il carattere ed il volto della rivoluzione slovacca. Essa aveva cioè un carattere decisamente poetico, liberatorio, gentile e quindi un po' da pellegrinaggio. A me stesso ripugna dubitare dell'autenticità di ciò che è successo in quei giorni perché so come l'ho vissuto io e, sicuramente, altre decine di migliaia di persone nelle piazze. Abbiamo vissuto tutto ciò come una vera rivoiuzione, come un reale, autentico momento storico. Nonostante questo, non riesco a sbarazzarmi dell' impressione che abbiamo messo su da soli questo bel teatro, per poterlo vivere come una realtà. Ho fa sensazione che allora non abbiamo voluto vedere le correlazioni nelle quali ci siamo trovati, che non ci siamo voluti rendere conto che la Slovacchia si trova, nella percezione dei cambiamenti e nella loro preparazione, altrove rispetto ai paesi cechi. Non abbiamo voluto percepire neanche noi stessi come persone che si sono trovate al culmine del movimento storico del paese, per una coincidenza storica di circostanze esterne, piuttosto che per lo sviluppo di una logica interna. Guardandolo oggi, appare un bellissimo ricordo dei tempi passati il fatto che in Slovacchia siano scese in piazza due anni fa decine di migliaia di persone solo perché a Praga avevano picchiato degli studenti. Certo, tutti sapevamo che li aveva picchiati quello stesso sistema che governava anche in Slovacchia. Ma Praga era comunque abbastanza lontana. È sintomatico che, mentre in Slovacchia nasceva il movimento "Pubblico contro la violenza" come un momento permanente contro il massacro di Praga e, in sostanza, espressione poetica di antagonismo, a Praga, in quello stesso momento, già cominciava a funzionare il Forum civico come chiara piattaforma politica di anticomunismo. Mentre in Slovacchia ci siamo poeticamente ribellati contro qualcosa che non ci riguardava direttamente, perché nelle stradedi Bratislava nessuno aveva picchiato gli studenti, a Praga si creavano già le strutture del futuro potere. Ritorno spesso a quei primi giorni di novembre e ci rifletto. Non perché mi piaccia ricordarli. Dal primo momento ho fortemente dubitato della veridicità del volto di velluto di questa 12 Foto di Motus Zajoc. rivoluzione. Sì, ho visto gente entusiasta e volti sorridenti, amore e bontà traboccavano ovunque, tutti erano commossi e le persone non si vergognavano neanche delle lacrime. Sembrava veramente così, che la gente nel nome del bene si fosse messa contro il male. Eppure, anche oggi penso che, più in profondità, sotto il desiderio di essere buoni si nascondeva un desiderio di vendetta. La gente è uscita nelle strade spinta fuori da una sensazione di ripulsa verso la violenza. Allo stesso tempo l'ha temuta perché ha vissuto nella sua paura interi decenni. Istintivamente e con il sostegno di pacifici intellettuali ha scelto la tattica dell'invito di velluto: venite con noi, non vi succederà niente. Ai poliziotti, che stavano allora incerti ai margini delle folle, hanno preso lemani prima che loro potessero iniziare a picchiare- ed hanno iniziato a stringergliele con gioia. Temo però che, così come il primo impulso non fu un desiderio positivo di libertà ma, piuttosto, un desiderio irrazionale di vendetta, così il novembre in Slovacchia non è stato nel vero senso della parola una rivoluzione contro il comunismo. Il comunismo qui non era percepito dai più come un male sostanziale, dato che la maggior parte della gente non lo sentiva come comunismo. Non lo percepiva come un sistema chiuso basato su un'ideologia astratta, ma lo viveva, con una certa dose di infelicità, come uno stato naturale per il qua.legoverna una minoranza di signori in base ad un modello storico verificato, noto e vecchio di mille anni. Ritorno a quei giorni di novembre coi miei pensieri soprattutto perché sento che la storia ha una sua logica. In certi momenti, nei momenti della sua nascita, ogni passo di questa storia ha un peso
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