Linea d'ombra - anno XI - n. 80 - marzo 1993

IL CONTESTO nell'indagare su stirpi e ramificazioni, nel discettare sulle origini. Questo vocabolario organico, naturalista ed evoluzionista, è anche quello delle storie nazionali stabilite all'epoca, storie che si propongono di cercare il popolo originale e si servono dell'analogia basata sull'identità per fare dei popoli persone che attraversano la storia. Ed anche se la natura di questi popoli si rinnova attraverso l'assimilazione di altri popoli successivi e di popolazioni la cui identità scompare o non è riconosciuta, come accade nella visione della storia francese, la storia è vista come mescolanza di sangue, come una naturalizzazione, così si-comincia a dire, molto vicina alla parentela. È su questa concezione che perpetua il modello di rappresentazione tramite la parentela, su questo mito delle origini, fondato sullo schema razza/stirpe, proprio della nobiltà di sangue, che riposa il discorso dei diversi nazionalismi, anche quando questo si ritiene erudito, e a maggior ragione, erudito e letterario. La pratica simbolica dei movimenti nazionali si allarga nell'immaginario collettivo, fino a che non interviene la scuola, poi gli apparati amministrativi e ideologici, quindi gli Stati nazionali a dare forza legale, morale ed educativa a questo nazionalismo, che diventa così di Stato. La nazionalità, nel senso di carattere nazionale, esprime una superiorità di natura di coloro che sono cittadini per origine e discendenza. Si verifica una democratizzazione della nobiltà: la cittadinanza presuppone l'appartenenza alla comunità nazionale e la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino riconosce come solo elemento intermediario tra gli individui e l'umanità. L'ideologia nazionale francese non rompe con questo schema di rappresentazione genealogica, e fa della razza francese la mescolanza di venti razze. La stessa laicità non impedisce la sacralizzazione dellanazione, se non la intensifica con l'esaltazione dell'amor di patria, che arriva fino al sacrificio supremo. Anche quando è sostenuto dall'individualismo liberale, il nazionalismo rimane legato alla comunità. Spingendosi ancora più lontano di Ernst Gellner, è possibile sostenere che ogni nazionalismo corrisponde alla abnorme pretesa di far corrispondere Stato e comunità. Questo esercizio di sintesi mira ad afferrare il nodo della questione del pluralismo culturale nel suo rapporto con le identità comunitarie. La maggior identità comunitaria è diventata a tal punto nazionale da imporsi oggi al mondo intero e da sentirsi spinta a declinare la propria identità. Il primato dell'appartenenza nazionale fa sì che, per esprimere un'identità distinta, si manifesti un senso della comunità ancor più accentuato di quello delle nazionalità minoritarie, legate al paese e alla terra, e dei particolarismi la cui base non è territoriale. La condizione minoritaria è vissuta localmente in micro-comunità che si fanno forti dell'appartenenza ad una comunità largamente o totalmente extraterritoriale, addirittura dispersa. L'idea di diaspora rimanda dapprima al manifestarsi di una cultura ebraica di comunità multiple che si considerano come un popolo o un insieme disperso in Europa, se non fuori. Non è sufficiente dire che il termine diaspora è adoperato qui per analogia con la diaspora ebraica, poiché si tratta di vedere quanto c'è di nuovo e dunque di diverso al secondo livello della questione del pluralismo culturale, quello della presenza in Europa di "diaspore" di immigrazione. Parlare di diaspore provoca dapprima una doppia reazione di rigetto, per amor di precisione; da parte ebraica, si vuol conservare la specificità, da parte delle nuove immigrazioni e più ancora dall'intellighenzia che se ne fa portavoce, si rifiuta una tale assimilazione. Nel modello ebraico, se così si può dire, è saldamente radicata l'idea della rottura iniziale, della violenza, della dispersione originaria e dell'esilio che comporta il mito del 8 ritorno. Il concetto di diaspora comporta la presenza in terra "straniera" di un popolo di un altro luogo, che forma nell'emigrazione una comunità culturale extra-territoriale, ma ancorato a focolari comunitari, rifugi di una pratica gelosa di scambi endogeni, intimi santuari della Gerusalemme lontana o abolita. Questa concezione legata a un mito fondante per comunità che in Europa sono indigene, è segnata di nazionalismo romantico; l'assenza di territorio è compensata dall'assolutizzazione della discendenza; la generazione diventa centrale, quand'anche fosse generazione religiosa per tramite materno. Una prima estrapolazione porta ad una seconda accezione del termine diaspora, se così vogliamo chiamare le "comunità" d'immigrazione: i Corsi del Continente, i Polacchi dell'Europa occidentale (e a maggior ragione d'America) ecc ... Il recupero culturale, la difesa e il rinvigorimento di pratiche collettive mettono in evidenza un comunitarismo basato sull'identità e una strategia di collocazione e di conquista di uno statuto all'interno delle due collettività nazionali, quella d'origine e quella di residenza e di lavoro. Queste emigrazioni/immigrazioni producono intrecci che legano le due estremità della catena migratoria. L'immaginario fondato sull'identità e il culto dei simboli e delle radici è ancor più forte nell'esilio e nel progredire di un'intellighenzia che si attribuisce una funzione di testimone nei due paesi, strumentalizza la cultura come meccanismo legittimo di ruoli di rappresentanza istituzionale e politica, come rit.ulta evidente dal gioco di rivalità per la "leadership" del movimento associativo al l'interno di ognuno degli Stati e presso le istituzioni regionali e municipali. Tale carattere di "revival" del sentimento dell'identità esalta l'attaccamento rurale e il localismo, celebra gli antenati e gli eroi, si crogiola nell'ascendenza e nella discendenza, e fa appello al doppio patriottismo. Per accostarsi al significato nuovo di diaspora e alla novità del problema del pluralismo culturale, occorre tenere presenti i tre gradi o le tre gamme di identificazione che sostengono la trasformazione contemporanea nazionale o transnazionale: il paese d'origine (e sempre più spesso si confonde abusivamente la cultura d'origine con la lingua materna), la collettività nazionale a realtà o a rivendicazione statuale, e la dispersione a livello continentale o oltre, di un insieme di popolazioni che si richiamano ad una etnia culturale comune, senza intendimenti di ritorno e senza adesione ad un radicamento storico e genealogico. Il cordone ombelicale è tagliato. I lacci migratori di cui l'emigrazione italiana offre numerosi e durevoli esempi, fino alla richiesta di doppia nazionalità e di esercizio di voto nel paese, persistono profondamente nell'identità comunitaria attraverso l'unione della piccola patria e della patria stato-nazionale, la ricostruzione della casa, perfino il matrimonio con la compaesana, il parentado e la solidarietà associativa, fino alla lobbying d'affari e di sistemazione lavorativa. I due primi gradi, il locale e il nazionale, sono preponderanti, addirittura rafforzati l'uno con l'altro fino ad arrivare all'esclusivismo comunitario. All'opposto, nella nuova accezione di diaspora di cui i Magrebini offrono un esempio fra altre immigrazioni post-coloniali, l'identificazione diviene transnazionale non solo perché si muove tra diversi Stati nazionali, fatto che si verifica già per le vecchie immigrazioni, ma perché il riferimento etnico non è più nazionale.Nei paesi del Maghreb vi sono iMarocchini, Algerini, Tunisini ... ma in Europa si trovano i Magrebini che su'ccedono ai vecchi Nord-africani immigrati nella Francia metropolitana e che diventano i Magrebini d'Europa per palesare la loro distanza dal nazionalismo francese ma anche dai nazionalismi degli Stati del Maghreb, che contraccambiano sacrificando all'autenticità del-

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