Linea d'ombra - anno XI - n. 80 - marzo 1993

MARZO 1993 - NUMERO80 LIRE9.000 I mensile di storie, immagini, discussioni e spettacolo IMASCALZOINDIE/ NTITEÀMEMOREIAUROPEAIL/GRANDCEOCOMERO STEINEIRL:"CRITICOEI"L"LETTORE" JOHNSOFNI:LOSOFSIAC,RITTUKRUANGFU BERARDINELLI: E SAMORANTEEILROMANZDOEL'900 CHAKKAS/NAIPAUL/RANCHETTI/ SEPULVEDA

Carmelo Bene LORENZA CCI O e IL TEATRO DI BENE E LA PITTURA DI BACON LINEA D'OMBRA Lire85.000(abbonamento 11numeri)suc.c.p.54140207intestaloaLinead'ombraedizioni,ViaGaffurio, 4Milanotel.02/6691132

F R E :;,\~~"" ' --;· -----::, l ~J,~• -- :,\ . CARTIEREFEDRIGONI & C. S.p.A. 37135 Verona - Italia - Viale Piave, 3 Tel. (045) 80.87.888 Fax Italia 045-8009015 \~-- ,, _,\~.;~- ~ ,:~.,- -is-.,-, E L lA NAJURA DnlA ® I F E Chicomuniscuacartariciclactaomunic duevolteE. oggipuòsceglieFrereelife la nuovacartaecologicraiciclatadi FedrigonEic. ologipcearnascitah,i-tech perprestazionFir,eeleifè laprimacarta che rispettal'ambiente rispettala stampag,razieallaelevatqaualitàdelle fibrechelacompongo(n8o0%di fibre riciclastecondar"ipereconsumqeuri"ndi pulite1, 5%cellulos5a%, purocotone) 3color4i,finitur6eg, rammatuprer,una sceltachenonconoscceompromes NaturalmenFtereelifèe "AcidFree"e "ChloriFneree"p,eresserecologifciano i f EDRIGQNI infondeoperdarelunga vitaallacartaI.mmaginset,ampabilit gammap:erFreelisfeonodonidinatura.

GIOVANNI MARIOffl MATILDE Il passatoin unafrase. JOYCECAROLOATES ACQUANERA Ispiratoa unfattodi cronacacheha sconvolto l'America,un romanzo intensoe sofferto,una metaforasulpotere e sultradimento. RONHANSEN MARIETTEL'ESTASI Lastoriadi unapassione mistica. Unromanzoaffascinante, di grandetensione e qualitàstilistica. MARGHERITA BELARDEm QUELLEGGERO SOTTOFONDOVIOLETTO Scrittrice sordiente, MargheritaBelardettifissa la suaattenzionesul cangiantetessutodellavita quotidiana,cosìsottile e cosìfacilea gualcirsi. J.G.BALLARD UNGIOCO DABAMBINI Seconda edizione GIANPAOLORUGARLI PERI PçSCI NON EUN PROBLEMA RUGGEROSAVINIO OMBRAPORTATA JAMESLASDUN ILMIRACOLO PAULBOWLES INCIMAALMONDO DAVIDVOGEL DAVANTIALMARE WIWAM FAULKNER STORIE DINEW ORLEANS ALTAN/CAVANNA MAMMA AIUTO! PASCALBRUCKNER LUNADIFIELE Seconda edizione MARIANEUASCLAVI RIDEREDENTRO Un seminario sull'umorismoin carcere con RenatoCurcio Maurizio lonnelli Stefano Petrelli e Nicolo Valentino /)( """"""' tf!JfiiZ~~~- ANABASI FRIENDLY ALMANACCODELLA SOCIETA'ITALIANA Progettodi LauraBalbo Lasocietàitalianaosservata dal basso,dal quotidiano, attraversoleesperienze di chi ci vive. Alla ricerca,~runa volta, dellecosechefunzionano, chedannosperanza, chepiacciono. Lasocietàitalianaleggibile dai normali"esperti"che siamonoi chela abitiamo. MARIANELLA SCIAVI RIDEREDENTRO Unseminariosull'umorismo in carcereconRenato Curcio,Maurizio lannelli, StefanoPetrelli e NicolaValentino. Cosaci insegnanogli scherzisulcarceree cosa il carceresuglischerzi. Seconda edizione JOSEBERGAMIN FRONTIEREINFERNALI DELLAPOESIA Leindaginisull'Inferno, laMottee la Poesiadi un grandepensatorespagnolo del Novecento. · CARLODONOLO ILSOGNO DELBUON GOVERNO Apologiadelregime democratico Seconda Edizione GIANFRANCO PASQUINO COMEELEGGERE ILGOVERNO GIUSTAO INGIUSTA? Considerazionisulcarattere moraledellaguerra delgolfo BERNARDMANIN LADEMOCRAZIA DEl,\'\ODERNI GUIDO MARTINOm INFORMAZIONE ESAPERE

Gruppo redazionale: Alfonso Berardinelli, llNEA D'OMBRA. Gianfranco Bettin, Grazia Cherchi, Marcello Flores, · · Goffredo Fofi (direttore), Piergiorgio Giacchè, Gad Lerner, Luigi Manconi, Santina Mobiglia, Lia anno XI marza 1993 numero 80 Sacerdote (direzione editoriale), Marino Sinibaldi. Collaboratori: Adelina Aletti, Chiara Allegra, Enrico Alleva, Guido Armellini, Giancarlo Ascari, Fabrizio Bagatti, Laura Balbo, Mario Barenghi, Alessandro Baricco, Matteo Bellinelli, Stefano Benni, Andrea Berrini, Giorgio Bert, Paolo Bertinetti, Francesco Binni, Lanfranco Binni, Luigi Bobbio, Norberto Bobbio, Giacomo Borella, Franco Brioschi, Marisa Bulgheroni, Isabella Camera d'Afflitto, Gianni Canova, Marisa Caramella, Rocco Carbone, Caterina Carpinato, Bruno Cartosio, Cesare Cases, Alberto Cavaglion, Roberto Cazzola, Francesco Ciafaloni, Luca Clerici, Pino Corrias, Vincenzo Consolo, Vincenzo Cottinelli, Alberto Cristofori, Mario Cuminetti, Peppo Delconte, Roberto Delera, Stefano De Matteis, Piera Detassis, Vittorio Dini, Carlo Donolo, Riccardo Duranti, Edoardo Esposito, Saverio Esposito, Bruno Falcetto, Giorgio Ferrari, Maria Ferretti, Ernesto Franco, Guido Franzinetti, Giancarlo Gaeta, Alberto Gallas, Nicola Gallerano, Fabio Gambaro, Roberto Gatti, Filippo Gentiloni, Gabriella Giannachi, Giovanni Giovannetti, Paolo Giovannetti, Giovanni Giudici, Bianca Guidetti Serra, Giovanni Jervis, Roberto Koch, Filippo La Porta, Stefano Levi della Torre, Mimmo Lombezzi, Marcello Lorrai, Maria Maderna, Maria Teresa Mandalari, Danilo Manera, Bruno Mari, Edoarda Masi, Roberta Mazzanti, Roberto Menin, Paolo Mereghetti, Diego Mormorio, Maria Nadotti, Antonello Negri, Grazia Neri, Luisa Orelli, Maria Teresa Orsi, Pia Pera, Silvio Perrella, Cesare Pianciola, Guido Pigni, Giovanni Pillonca, Bruno Pischedda, Oreste Pivetta, Pietro Polito, Giuliano Pontara, Giuseppe Pontremoli, Sandro Portelli, Fabrizia Ramondino, Michele Ranchetti, Marco Restelli, Marco Revelli, Alessandra Riccio, Fabio Rodriguez Amaya, Paolo Rosa, Roberto Rossi, Gian Enrico Rusconi, Nanni Salio, Paolo Scarnecchia, Domenico Scarpa, Maria Schiavo, Franco Serra, Joaqufn Sokolowicz, Piero Spila, Paola Splendore, Antonella Tarpino, Fabio Terragni, Alessandro Triulzi, Gianni Turchetta, Federico Varese, Bruno Ventavoli, Emanuele Vinassa de Regny, Tullio Vinay, Itala Vivan, Gianni Volpi. Progetto grafico: Andrea Rauch/Graphiti Ricerche redazionali: Natalia Delconte Pubblicità: Miriam Corradi Esteri: Pinuccia Ferrari Produzione: Emanuela Re Amministrazione: Patrizia Brogi Hanno contribuito alla preparazione di questo numero: Marco Capietti, Barbara Galla, Lieselotte Longato, Marco Antonio Sannella, Barbara Veduci, la redazione di "Palabra Suelta", la Televisione della Svizzera Italiana (Lugano), la casa editrice e/o, li Leuto libreria dello spettacolo di Roma, le agenzie fotografiche Contrasto, Effigie e Grazia Neri Editore: Linea d'ombra Edizioni srl Via Gaffurio 4 20124 Milano Tel. 02/6691132. Fax: 6691299 Distrib. edicole Messaggerie Periodici SpA aderente A.D.N. - Via Famagosta 75 - Milano Tel. 02/8467545-8464950 Distrib. librerie PDE- Viale Manfredo Fanti 91, 50137 Firenze -Tel. 055/587242 Stampa Litouric sas - Via Rossini 30 Trezzano SIN - Tel. 02/48403085 LINEA D'OMBRA Iscritta al tribunale di Milano in data 18.5.87 al n. 393. Direttore responsabile: Goffredo Fofi Sped. Abb. Post. Gruppo IIU70% Numero 79 - Lire 9.000 IL COIIIUTO 4 Goffredo Fofi 5 Marino Sinibaldi 7 René Gallissot 11 Martin M. Simecka 16 Giorgio Pasquali CONFRONTI 22 Rocco Carbone 23 Guglielmo Forni 25 Mario Barenghi 26 Angelo Pichierri 27 Bruno Pischedda 29 Goffredo Fofi 30 Leandro Piantini POESIA 68 Michele Ranchetti STORIE 58 Charles Johnson 69 Màrios Chàkkas 74 Silvia Calamandrei 77 Giovanni Mastrangelo INCONTRI 53 Charles Johnson 64 V. S. Naipaul 72 Luis Sepulveda SAGGI 31 George Steiner 45 Alfonso Berardinelli Osservazioni sul momento attuale Marco Lombardo Radice e Il grande cocomero Identità nazionali e identità europea Da una piccola nazione: la Slovacchia I purosangue. Un testo del '33 sul razzismo con una nota di Alberto Cavaglion Presenza di Tolstoj. Su un saggio di Affinati lJ na lettura secolare dei testi cristiani Nei dintorni dell'horror. Ancora su L'erede La fabbrica raccontata da Rieser La narrativa di Lalla Romano Su Bianciardi. Sconfitti dal boom Su Bianciardi. Un contestatore Poesie L'educazione di Mingo Tre racconti a cura di Giovanni Bonavia Il Van Gogh di Snoopy Pomeriggi da assassinare Filosofia, scrittura e kung-fu a cura di Matteo Bellinelli Non mi serve una fede a cura di Andrew Robinson Ai margini della foresta vergine a cura di "Palabra Suelta" "Critico"/"Lettore" Elsa Morante e il romanzo del '900 La copertina di questo numero è di Guido Scarabattolo (Arcoquattro). Linea d'ombra è stampata su carta ecologica Freelife Vellum white - Fedrigoni Abbonamento annuale: ITALIA L. 85.000, ESTERO L. 100.000a mezzo assegno bancario o c/c postale n. 54140207 intestato a Linea d'ombra. I manoscrilli non vengono restituiti. Si pubblicano poesie solo su richiesta. Dei testi di cui non siamo in grado di rintracciare gli aventi dirillo, ci dichiariamo pronti..(l ottemperare agli obblighi relativi.

IL CONTESTO I mascalzoni e gli imbecilli. Opinioni sul momento attuale Goffredo Fofi Si possono paragonare, con evidenti forzature, gli anni Ottanta del nostro secolo agli anni Trenta? Io credo di sì, e credo che, con altrettanto evidenti forzature, si possa paragonare con il 1945 il 1993. Insisto: con evidenti, evidentissime forzature. Pure si ha l'impressione di qualcosa di simile, di un simile clima e di un'aria che (meno inquinati di umori contrastanti quelli di allora, un'unica e sola puzza) si assomigliano, e probabilmente assomigliano a vari altri periodi consimili della nostra storia perché hanno messo in azione meccanismi, tendenze, pulsioni simili. Perché gli anni Ottanta con gli anni Trenta? Perché questi due decenni sono stati per l'Italia moderna quelli del massimo "consenso". Al regime fascista allora, ali' arrembaggio socialista come punta di un iceberg, fatto di tanti arrembaggi e di tanti consolidamenti di arrembaggi precedenti, il secondo. Le differenze sono però forti. A vantaggio, nel nostro giudizio morale, dei Trenta, ci sono le scuse che una gran parte del popolo italiano di allora poteva esibire, ed era la parte povera, tagliata fuori dalle comunicazioni e dalle conos'Cenze, o dal godimento dei diritti essenziali. A vantaggio degli Ottanta c'è ovviamente la democrazia, nonostante tutto, e non è poco. Ma un frutto della democrazia, ci spiegano i sociologi e politologi non di regime, non al servizio del potere o di una delle parti in lizza del poter~, è nella possibilità che le "masse" la pensino in modo sbagliato, che le parti che le compongono vogliano singolarmente cose sbagliate rispetto a fini generali, a un buon funzionamento generale del sistema; e che le "masse" possano essere fortemente mani polate dai mezzi di comunicazione. · Negli anni Ottanta non si è avuto un consenso generalizzato a un partito (il socialista) ma si sono accettate le regole del gioco da esso imposte, una escalation vistosa di metodi preesistenti, e li si è appoggiati o tollerati (all'inizio perfino da alti intellettuali predicatori di morale e da ex leader "rivoluzionari" del '68) in nome anzitutto dell'arricchimento dei più, dei "diritti" dei più. La generale corruzione non ostacolava ancora il funzionamento dell'economia, e si trattava soprattutto dei "diritti" delle corporazioni più forti e consolidate o più forti e aggressive, e si trattava infine dell' arricchimento privato del singolo. Si è così creato un clima di generale complicità sul quale si vuole oggi, da parte di tutti, chiudere gli occhi. Anche da parte del Pci, allora unitario, che è vissuto di 4 invidia più che di ripulsa nei confronti della sbrigatività e dell' assenza di scrupoli dei socialisti; tra gli elogiatori di Craxi vi fu, se ben ricordo, perfino la Jotti, invocando per il suo partito un leader di quelle capacità; ma più in generale furono tanti nel Pci a pensare che Craxi fosse in fondo un erede di Togliatti militante purtroppo in un altro partito, uri Cmxi-Togliatti era per loro la combinazione giusta per un leader ideale. Su questa complicità sarà bene ragionare in futuro, anzi subito, perché non credo si possa pensare a nessun tipo di rinnovamento morale della nostra società se non lo si fa. Poi c'è stato il' 45, l'anno in cui tutti o quasi gli italiani si sono scoperti antifascisti. Nel '93 tutti o quasi si stanno scoprendo anticraxiani, sia quelli delle complicità dirette, stranote, che quelli delle complicità indirette, che dal clima socialista hanno ricavato grandi o grandissimi benefici. La loro ipocrisia è di quelle che stringono il cuore e lo stomaco, tanto è sfa~ciata. Eccoli lì in fila a rivendicare "resistenze umane", coloro che negli Ottanta hanno visto il loro conto in banca crescere a freccia, e farsi la doppia e tripla casa, la doppia e tripla macchina, la doppia e tripla vacanza. Artisti con opere che - a rivederle, a ricordarle, a rianalizzarle - si possono ben dire di regime, se per regime si intende un clima complessivo di cinismo politico e morale. In testa, non in coda, gli artisti e intellettuali di sinistra, e non solo gli sfacciati che erano pochi e "onestamente" rinnegavano pubblicamente, ma anche gli umoristi della satira interna e pelosa (e i teorici del pensiero debole e del nuovo rinascimento ve li ricordate?) e soprattutto, diciamolo, i giornalisti. I giornalisti e gli opinionisti sono sempre stati moralisti, come negarlo? Lo sono sempre stati e lo sono sempre, sotto che re e in difesa di cosa non importa, quello può ben cambiare, sta nella dialettica del mestiere. Dicevo giorni fa al telefono, rifiutando un'intervista, a una gentile e seria giornalista del maggior quotidiano della seconda metà dei Settanta e degli Ottanta tutti, che l'unica ragione di simpatia che ho mai avuto per Craxi stava nel fatto che fosse così odiato da gente come Scalfari. E che sia gente come Scalfari a uscire per ora vincente dalla lizza vorrà pur dire qualcosa, anche se si ha motivo di indignarsi sentendolo parlare Foto di Massimo Siroguso (Conlroslo).

di "razza padrona" per Craxi e i suoi e non per sé e i suoi - i suoi soci e coloro per cui lavora, quelli che stanno al disopra. No, il sistema non cambierà davvero, quella degli anni Ottanta è stata una spartizione di poteri reali nella quale l'aggressività craxiana ha finito per dar fastidio ad altre correnti dello stesso sistema di potere, e se la crisi della gestione politica del decennio ha messo in luce gli effetti nefasti del sistema partitico italiano, non ha ancora messo abbastanza in luce le sue complicità con molte altre componenti del potere. Ma non è questo l'argomento del mio intervento "estremistico". (Lo dico subito, anch'io ho visto il mio reddito salire negli anni Ottanta rispetto al passato e non importa l'uso che di esso ho fatto; anch'io ho fatto parte dell'area vastissima del privilegio: e credo anzi che tutti gli italiani, in quanto membri di uno dei paesi più ricchi del mondo, ne facciano parte nonostante tutto e seguitino a nasconderselo, a cominciare dagli italiani di sinistra.) Oggi dunque si assiste a un gioco di imbiancamento dei sepolcri che fa pensare a quello del '45. Tutti hanno "resistito". Tutti accampano già diritti verso il nuovo regime nascente~che probabilmeote, legge maggioritaria aiutante e nuove regole del gioco, nel finanziamento dei partiti, finirà per consegnarci ancora di più nelle mani dei poteri più forti tra i forti, quelli soliti dell'economia e della finanza. Tutti fanno la predica. Tutti hanno "resistito". Come negarlo? Non era davvero difficile, suvvia, nei bei salotti e nelle belle case di campagna, nelle ricche redazioni e nei ristoranti di lusso che avete così assiduamente frequentato, per esempio, voi "compagni" intellettuali e artisti che così strenuamente oggi vi rifondate per di qui e per di là, attentissimi a chi scende e a chi sale, ai nuovi equilibri e alle nuove alleanze. Il "particulare" e il corporativo hanno in realtà dominato le nostre coscienze e le nostre pratiche se non le nostre parole. Parlare, in regime democratico, non è costato molta fatica a nessuno e sparlare ha anzi accelerato carriere in Tv e sui giornali. Il trasformismo è probabilmente la malattia mentale (moralmente) e vitale (politicamente, economicamente) del nostro amato popolo. Come la storia dimostra. Oggi si assiste a una sua ennesima dimostrazione di massa, guidata e teleguidata dai soliti maestri dell'opinione sempre all'avanguardia e sempre così puliti. E si ha la sensazione che ne facciano perfin parte molti di coloro che vi stanno costruendo studi e convegni. Non vedo un vero ricambio di facce nella politica. E nella decomposizione di alcuni gruppi e partiti tanti non avranno, non hanno già che da voltar gabbana. Ma i più l'hanno già fatto, per non apparire come gli ultimi, e per poter accampare per primi dei diritti sul nuovo ordine. Ah, le facce nuove, che facce che hanno! Dei Mascalzani continueranno a reggere le redini del potere e della finanza, anche se con nuova tessera, una volta seppelliti, sacrificati, i più svergognati dei loro compari. E gli Imbecilli, nel senso bonhoefferiano del termine (gli ignavi e i complici di massa, opportunamente prodotti, assistiti, manipolati dai media) continueranno a sostenerli per loro comodo e interesse, accodandosi e lasciando ai margini i settori da sacrificare, per esempio molti operai, molti giovani, che peraltro non è che negli anni scorsi abbiano sempre dimostrato di essere moralmente migliori di coloro che restano a galla. Si tratterà allora per noi ancora una volta di rivendicare discorsi di minoranza; stavolta, si spera, più diffidenti, più agguerriti moralmente nei confronti dei mascalzoni e degli imbecilli. E di far parte delle minoranze che non si faranno e non si fanno già manipolare dai nuovi emergenti dei nuovi assetti del potere politico (per esempio dentro il mondo cattolico e nel "rivendicazionismo di sinistra"). IL CONTESTO Salvare gli individui. Da Marco Lombardo Radice al 11 Grande cocomero" Marino Sinibaldi Capita che nelle ore più buie della repubblica, sull'orlo della sua catastrofe politica ed etica, un film racconti una storia, un apologo morale; e ricordi, a chi l'ha incontrata, una vicenda individuale tra le meno ordinarie di questi anni. È difficile, per chi ha conosciuto Marco Lombardo Radice, separare il volto suo e dei suoi collaboratori dai personaggi del film Il grande cocomero - benché ovviamente Francesca Archibugi abbia narrato una sua storia e non la vita di Marco e il suo lavoro di neuropsichiatra infantile. Ma ancora più difficile è rispettare la distanza tra quelle immagini, la storia e le scelte che raccontano, e i giorni che viviamo. Il medico che dà fiducia ai bambini "perché sembra un idraulico", che viola tutti i regolamenti per tenere un cane nella corsia della clinica, che rinuncia a orari personali, futilità sociali, gratificazioni pubbliche, il medico che accetta di misurarsi con "i casi impossibili", non è solo il simbolo di una scelta estrema, di una dedizione agli altri illimitata e probabilmente disperata. Con lo sguardo di questo inverno 1993 in quella scelta, in quella pratica concreta non si può non leggere altro: il frammento se non di un modello, almeno di un modo possibile di coniugare integrità personale e trasformazione reale, nel rapporto con gli altri e con la società, a partire dai più piccoli, deboli, "malati". Né si può travisare la ricaduta anche politica che quella vicenda indica. In questi mesi è diventato chiaro in modo quasi insopportabile quello che a tanti apparve come una atroce rivelazione quando la morte di Marco ci costrinse a riflettere sulla sua vita e le sue scelte, così diverse da quelle canoniche di una generazione che quasi compatta ha in questi anni invaso il centro e la periferia della politica e del lavoro intellettuale. La degradazione progressiva, inarrestabile, definitiva di questi luoghi della vita pubblica ha reso lampanti anche le responsabilità di quella generazione, equamente divisa tra pratica della viltà e assuefazione all'impotenza. Ma in qualche modo quella storia è arrivata al fondo. Quando tutto si perverte e persino la ricchezza - quella ricchezza diseguale e per lo più insensata che in questi anni abbiamo tutti contribuito a Una scena di // grande cocomero di Francesca Archibugi. 5

IL CONTESTO produrre e a valorizzare - inghiotte se stessa, anche i successi e le affermazioni, gli errori e i problemi che ciascuno può esibire perdono senso e importanza. Facendoci fare un passo indietro, portandoci per così dire sull'orlo dell'abisso dal quale stiamo parlando, Il grande cocomero racconta come l'unico modo di stare dentro questo mondo e salvare qualcosa del proprio senso e del proprio valore stia nel tenere continuamente aperto il varco, nel divaricare al massimo lo spazio dove costruire la possibilità di una pratica critica, della concreta e quolidiana capacità di dire, trasformare, curare. E come l'unica maniera per reggere questo sforzo minimo e faticosissimo stia nella capacità di coltivare una propria utopia. E qui bisogna aggiungere qualcosa, perché nemmeno le parole più nobili scampano al degrado dei tempi. Utopia, dunque, non come sistema di valori da imporre o realizzare e nemmeno tanto come chance diversa concessa agli uomini. Utopia anzitutto come una possibilità che ciascuno di noi dà a se stesso, come espressione di impegno intanto individuale, di fiducia intanto nel proprio io, nella propria potenzialità. Dietro la generosità disincantata e imperiosa di Marco come nelladisponibilitàmiteequasi dimessadell' Arturo del film c'è in realtà un grande orgoglio, un forte senso di sé; ma soprattutto la precisa consapevolezza che questo valore ha senso solo se si dà valore agli altri, alle loro identità, alle loro qualità. Anche questa elementare connotazione della rilevanza individuale è stata cancellata da un tempo che ha deteriorato non solo le virtù ma persino i vizi. E infatti gli anni del cinismo individualista non hanno 6 prodotto individualità. Ma solo un conformismo senza spessore né prospettive, e una massa di corrotti senza qualità e senza dignità, fantocci che immediatamente si afflosciano non appena si svela il disastro grottesco che hanno provocato. Il frutto della stagione del narcisismo è un io minimo e mediocre. Per salvare la società bisogna salvare gli individui. Il medico che sacrificando ogni altra dimensione della vita prova a salvare gli altri, sta salvando se stesso. E lo sa. Nelle ore buie in cui questo film appare sugli schermi, c'è un messaggio politico che non so se siamo ancora in tempo a raccogliere. Potrebbe essere una sorta di appello ai tanti dispersi dagli anni degli arricchimenti e del disimpegno, delle famiglie e dell'isolamento, delle professioni e delle corruzioni, ai tanti artefici apatici e alle vittime compiaciute degli anni Ottanta. In questo paese ormai le ragioni della salvezza individuale e quelle della salute pubblica coincidono. Dal campo di segale sembra che stiamo cadendo tutti, e nessun medico-Dio ci può salvare. Eppure la fiducia, la realizzazione, il piccolo successo che Il grande cocomero racconta finiscono per uscire dall'ambito della storia singola e irrip~ibile che vi si racconta. Bisogna credere in se stessi e negli altri per uscire dalla palude esistenziale e sociale. E ritrovare il coraggio di fare quello che si può fare, col senso dei propri limiti e ancor più degli enormi, tragici limiti universali ("Perché i bambini muoiono?"), ma anche con la consapevolezza dell'importanza di ogni gesto, ogni scelta, ogni azione (e ogni omissione). Il grande cocomero, l'esperienza che vi traspare e che vi leggiamo, ci invita a rimettere in gioco gli adulti che siamo diventati in questa Italia avvilita e invecchiata.

IL CONRSTO Identità nazionali e identità europea Dall'intelleHuale meticcio al meticciato culturale di massa René Gallissot traduzione di Maria Matarrese Con i rivolgimenti che si susseguono in Europa centrale e nei Balcani, e a maggior ragione con lo smembramento dell'Unione Sovietica, ciò che si determina oggi su scala continentale è lo smembramento dello Stato nazionale, come se fosse stato tenuto in sospeso o trattenuto dal centralismo comunista. Più che mai la ricerca dell'identità va in direzione della nazionalità, e d'altro canto i nazionalismi intendono sbandierare questo primato, questa univocità dell'identità. L'Europa inizierebbe nel 1993; questa forzatura della lingua porta nello stesso tempo a dire che l'identità europea è sottoposta ad una sfida sotto la scure di una doppia minaccia migratoria, quella del Sud e del confine orientale del Mediterraneo, e quella dell'Est; ma non è chiaro dove tracciare il confine, se non quello della Comunità Economica Europea e dei paesi della zona di libero scambio; questo significa che in realtà ciò che viene chiamato Europa non è che un terzo di Europa: l'Europa occidentale e nordica, quella dei paesi ben forniti che devono proteggersi dalla miseria del mondo. Questa Europa stabile se non felice dovrebbe premunirsi contro l'arrivo di rifugiati ed emigranti. La paura porta a individuare nemici esterni, a invocare la chiusura delle frontiere e il controllo delle stesse; inoltre, questa ansia di sicurezza suscita atteggiamenti xenofobi e un dibattito neo-razzista che si esprime in termini di cultura: proteggere l'identità culturale, insieme nazionale ed europea, contro individui di origine e di cultura diverse e perciò inassimilabili; come dire che si tratta di una differenza di natura. Il problema del pluralismo culturale in Europa è chiaramente duplice, e ogni volta si tratta di pluralismo culturale interno. Le culture ritenute nazionali, generalmente con riferimenti linguistici propri - ma vi sono anche Stati federali e lingue comuni a diversi Stati - nascondono una pluralità espressiva di culture regionali e minoritarie. Lo stesso svilupparsi dell'idea europea rende più esplicite le rivendicazioni culturali in rapporto all'incontro di lingue e culture esclusive o maggioritarie per istituzionalizzazione nazionale/statale. L'affermarsi in seguito di culture di immigrazione, la libertà di espressione rivendicata dalle giovani generazioni di culture di diaspore generate dall'immigrazione, appartengono pertanto all'indagine sul pluralismo culturale interno. Il termine diaspora è qui impiegato per sottolineare precisamente il carattere di presenza intra-nazionale, all'interno degli Stati nazionali, e trans-nazionale, a seconda della densità e delle combinazioni minoritarie diverse, a livello europeo, per non parlare che di questo continente. Il problema del pluralismo è senza dubbio quello del futuro stesso delle società nazionali. È il punto di partenza che Ulisse Santamaria ha dato a queste giornate di studio nell'introduzione da lui preparata: "È nostra intenzione qui avanzare l'idea che gli immigrati debbano essere ritenuti parte integrante della società in cui vivono. L'affermarsi dell'identità etnica può essere considerato più che una reazione alla mancanza di diritti politici, una strategia di un sistema sociale che sta cambiando e che gli immigrati ben conoscono. Più che la mancanza di diritti politici, sono i conflitti generati dallà posizione ambigua degli immigrati che ci fanno capire il senso dell'appartenenza etnica." "Posizione ambigua" di coloro che sono all'interno ma sono trattati come stranieri; doppiamente stranieri: stranieri per la nazione e stranieri per l'Europa; questa formulazione ci riporta alla definizione di straniero data da Georg Simmel; la sua "fondamentale ambivalenza ... contemporaneamente all'interno della società e ai margini ... all'interno delle frontiere politiche e poliziesche, ma fuori dalle sue frontiere sociali e simboliche". Ed ancora, lo straniero dell'interno è "colui che non fa parte della società fin dall'inizio ... che è introdotto", colui che non è originario ma meteco, che non ha diritto alla piena legittimità nazionale e, oggi, alla legittimità di dirsi originario europeo; è il bastardo o, nel linguaggio razziale, il meticcio. Ulisse è tra noi. 1.Nazionalismoculturaleecomunitarismobasatosull'identità Nel secolo diciannovesimo in Europa il riferimento alla razza appartiene non solo al linguaggio corrente, ma soprattutto al lessico di base di due scienze che si sviluppano in parallelo: l'etnologia, scienza dei popoli, e la linguistica, omeglio la scienza delle lingue; tutt'e due impiegano gli stessi termini e clichés Foto di Marco Pesaresi !Contrasto). 7

IL CONTESTO nell'indagare su stirpi e ramificazioni, nel discettare sulle origini. Questo vocabolario organico, naturalista ed evoluzionista, è anche quello delle storie nazionali stabilite all'epoca, storie che si propongono di cercare il popolo originale e si servono dell'analogia basata sull'identità per fare dei popoli persone che attraversano la storia. Ed anche se la natura di questi popoli si rinnova attraverso l'assimilazione di altri popoli successivi e di popolazioni la cui identità scompare o non è riconosciuta, come accade nella visione della storia francese, la storia è vista come mescolanza di sangue, come una naturalizzazione, così si-comincia a dire, molto vicina alla parentela. È su questa concezione che perpetua il modello di rappresentazione tramite la parentela, su questo mito delle origini, fondato sullo schema razza/stirpe, proprio della nobiltà di sangue, che riposa il discorso dei diversi nazionalismi, anche quando questo si ritiene erudito, e a maggior ragione, erudito e letterario. La pratica simbolica dei movimenti nazionali si allarga nell'immaginario collettivo, fino a che non interviene la scuola, poi gli apparati amministrativi e ideologici, quindi gli Stati nazionali a dare forza legale, morale ed educativa a questo nazionalismo, che diventa così di Stato. La nazionalità, nel senso di carattere nazionale, esprime una superiorità di natura di coloro che sono cittadini per origine e discendenza. Si verifica una democratizzazione della nobiltà: la cittadinanza presuppone l'appartenenza alla comunità nazionale e la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino riconosce come solo elemento intermediario tra gli individui e l'umanità. L'ideologia nazionale francese non rompe con questo schema di rappresentazione genealogica, e fa della razza francese la mescolanza di venti razze. La stessa laicità non impedisce la sacralizzazione dellanazione, se non la intensifica con l'esaltazione dell'amor di patria, che arriva fino al sacrificio supremo. Anche quando è sostenuto dall'individualismo liberale, il nazionalismo rimane legato alla comunità. Spingendosi ancora più lontano di Ernst Gellner, è possibile sostenere che ogni nazionalismo corrisponde alla abnorme pretesa di far corrispondere Stato e comunità. Questo esercizio di sintesi mira ad afferrare il nodo della questione del pluralismo culturale nel suo rapporto con le identità comunitarie. La maggior identità comunitaria è diventata a tal punto nazionale da imporsi oggi al mondo intero e da sentirsi spinta a declinare la propria identità. Il primato dell'appartenenza nazionale fa sì che, per esprimere un'identità distinta, si manifesti un senso della comunità ancor più accentuato di quello delle nazionalità minoritarie, legate al paese e alla terra, e dei particolarismi la cui base non è territoriale. La condizione minoritaria è vissuta localmente in micro-comunità che si fanno forti dell'appartenenza ad una comunità largamente o totalmente extraterritoriale, addirittura dispersa. L'idea di diaspora rimanda dapprima al manifestarsi di una cultura ebraica di comunità multiple che si considerano come un popolo o un insieme disperso in Europa, se non fuori. Non è sufficiente dire che il termine diaspora è adoperato qui per analogia con la diaspora ebraica, poiché si tratta di vedere quanto c'è di nuovo e dunque di diverso al secondo livello della questione del pluralismo culturale, quello della presenza in Europa di "diaspore" di immigrazione. Parlare di diaspore provoca dapprima una doppia reazione di rigetto, per amor di precisione; da parte ebraica, si vuol conservare la specificità, da parte delle nuove immigrazioni e più ancora dall'intellighenzia che se ne fa portavoce, si rifiuta una tale assimilazione. Nel modello ebraico, se così si può dire, è saldamente radicata l'idea della rottura iniziale, della violenza, della dispersione originaria e dell'esilio che comporta il mito del 8 ritorno. Il concetto di diaspora comporta la presenza in terra "straniera" di un popolo di un altro luogo, che forma nell'emigrazione una comunità culturale extra-territoriale, ma ancorato a focolari comunitari, rifugi di una pratica gelosa di scambi endogeni, intimi santuari della Gerusalemme lontana o abolita. Questa concezione legata a un mito fondante per comunità che in Europa sono indigene, è segnata di nazionalismo romantico; l'assenza di territorio è compensata dall'assolutizzazione della discendenza; la generazione diventa centrale, quand'anche fosse generazione religiosa per tramite materno. Una prima estrapolazione porta ad una seconda accezione del termine diaspora, se così vogliamo chiamare le "comunità" d'immigrazione: i Corsi del Continente, i Polacchi dell'Europa occidentale (e a maggior ragione d'America) ecc ... Il recupero culturale, la difesa e il rinvigorimento di pratiche collettive mettono in evidenza un comunitarismo basato sull'identità e una strategia di collocazione e di conquista di uno statuto all'interno delle due collettività nazionali, quella d'origine e quella di residenza e di lavoro. Queste emigrazioni/immigrazioni producono intrecci che legano le due estremità della catena migratoria. L'immaginario fondato sull'identità e il culto dei simboli e delle radici è ancor più forte nell'esilio e nel progredire di un'intellighenzia che si attribuisce una funzione di testimone nei due paesi, strumentalizza la cultura come meccanismo legittimo di ruoli di rappresentanza istituzionale e politica, come rit.ulta evidente dal gioco di rivalità per la "leadership" del movimento associativo al l'interno di ognuno degli Stati e presso le istituzioni regionali e municipali. Tale carattere di "revival" del sentimento dell'identità esalta l'attaccamento rurale e il localismo, celebra gli antenati e gli eroi, si crogiola nell'ascendenza e nella discendenza, e fa appello al doppio patriottismo. Per accostarsi al significato nuovo di diaspora e alla novità del problema del pluralismo culturale, occorre tenere presenti i tre gradi o le tre gamme di identificazione che sostengono la trasformazione contemporanea nazionale o transnazionale: il paese d'origine (e sempre più spesso si confonde abusivamente la cultura d'origine con la lingua materna), la collettività nazionale a realtà o a rivendicazione statuale, e la dispersione a livello continentale o oltre, di un insieme di popolazioni che si richiamano ad una etnia culturale comune, senza intendimenti di ritorno e senza adesione ad un radicamento storico e genealogico. Il cordone ombelicale è tagliato. I lacci migratori di cui l'emigrazione italiana offre numerosi e durevoli esempi, fino alla richiesta di doppia nazionalità e di esercizio di voto nel paese, persistono profondamente nell'identità comunitaria attraverso l'unione della piccola patria e della patria stato-nazionale, la ricostruzione della casa, perfino il matrimonio con la compaesana, il parentado e la solidarietà associativa, fino alla lobbying d'affari e di sistemazione lavorativa. I due primi gradi, il locale e il nazionale, sono preponderanti, addirittura rafforzati l'uno con l'altro fino ad arrivare all'esclusivismo comunitario. All'opposto, nella nuova accezione di diaspora di cui i Magrebini offrono un esempio fra altre immigrazioni post-coloniali, l'identificazione diviene transnazionale non solo perché si muove tra diversi Stati nazionali, fatto che si verifica già per le vecchie immigrazioni, ma perché il riferimento etnico non è più nazionale.Nei paesi del Maghreb vi sono iMarocchini, Algerini, Tunisini ... ma in Europa si trovano i Magrebini che su'ccedono ai vecchi Nord-africani immigrati nella Francia metropolitana e che diventano i Magrebini d'Europa per palesare la loro distanza dal nazionalismo francese ma anche dai nazionalismi degli Stati del Maghreb, che contraccambiano sacrificando all'autenticità del-

Foto di LollaGolderer e Vito Scifo do Stranieria Milano (Mozzotto 1985). IL CONTESTO la pratica nazionale statuale di "dissi mi I azione", secondo I' esempio asintotico della purificazione della razza tedesca o ariana. In l'arabo-islamismo. L'identificarsi come Magrebini non è solo il Francia, Jean Giraudoux sollecitava nel 1939 un "ministero della rifiuto di sottomissione al nazionalismo di Stato, ma, sottratto razza", mentre la Spagna cattolica franchista celebrava "la giorall' assegnazione di un'identità araba e ancor più musulmana, e nata della razza". Una letteratura ridondante ispirata alla psicoloquindi segno di distacco dalle norme comuni attraverso l' osten- gia collettiva, scrive indifferentemente come si parla al bar: razze tazione di una nuova identità, diventa anche l'invenzione di una o culture latine, razze o culture slave, ecc ... riproducono stereotipi cultura in diaspora. L'esibizione emblematica che può superare la etnici. Dopo la seconda guerra mondiale, nelle scienze sociali il realtà delle pratiche e dei comportamenti, combatte innanzitutto termine razza è squalificato; finisce col prevalere la nozione di la stigmatizzazione e l'esclusione, ma conferma anche l' apparte- cultura fino a creare una differenziazione culturale assoluta che nenza a una società, senza dover riconoscere un'identità naziona- rimanda ad una specificità culturale e quindi ad una essenza che le che sfoggia la propria nobiltà d'origine, la propria superiorità diventa sostanza, riproducente una differenza equivalente alla culturale, perfino la propria superiorità europea bianca legata alla differenza di natura. Più che una concessione, è un mettersi storia coloniale. nell'incapacità di rispondere al razzismo differenziante, secondo È a questo secondo livello del pluralismo culturale e al la formula di Pierre-André Taguieff. significato transnazionale di diaspora che compare la messa in Si verifica ora uno slittamento se non una sovrapposizione tra causa dell'identità originaria. Siamo al momento della separazio- l'identità di origine nazionale e l'identità europea, tramite l' afferne della nazionalità dalla cittadinanza, al momento della dissocia- marsi di una diversità insormontabile "di cultura e di origine" per zione dell'alleanza esplicita o implicita tra razza e cultura, popò- le popolazioni che non sarebbero di "origine" europea e che si lo, o particolarismo comunitario, e irrefragabile e intoccabile trovano dunque ad esseré straniere per definizione e per natura. specificità dell'identità. ' La legittimità e il credo sono sempre posti nell'origine, che segna • l'appartenenza alla civiltà europea e, attraverso questa, il diritto 2. Dalle culture dell'identità originaria alle culture genera- sociale e politico, che l'origine della discendenza sia giudaicozionali cristiana o greca o occidentale, in opposizione all'Islam. Questa Le storie nazionali costituitesi nel diciannovesimo secolo frontiera culturale non separa forse l'Europa dal Terzo Mondo, invocavano una origine culturale/civilizzatrice; le culture nazio- anche per coloro che nascono, vivono, lavorano e muoiono in nali e comunitarie'si inscrivevano in una derivazione di lingua e Europa: che il Terzo Mondo sia ad Est? civilizzazione: latina, indo-europea, nordica in opposisizione a Questaconcezionegenealogicadellaculturapartecertamente semitica, slava, caucasica, asiatica ... Nel ventesimo secolo, sotto d<!una realtà sociale: la trasmissione culturale si effettua attraverla spinta dello scientismo, il dibattito culmina nell'esaltazione so l'educazione familiare e l'acquisizione e la pratica dei segni di confusa della razza e della cultura nazionale, e inoltre giustifica appartenenza alla comunità, ma questo terreno sociologico viene 9

IL CONTESTO ben presto abbandonato per fare appello agli antenati; il salto ideologico fa del sistema di rappresentazione genealogica una verità fisica che finisce per essere quella della parentela.Una linea divisoria separa così i figli legittimi per origine, i cittadini europei, dai figli di stranieri o di genitori sospetti di non essere "originari"; l'ascendenza riporta alle origini. Questi figli illegittimi tutt'al più possono essere considerati dei bastardi. In Europa, l'indigenato è nobilitato poiché sottolineerebbe il "diritto del sangue", come se il sangue avesse a che vedere con il diritto, se non nella casistica dei giuristi, e più ancora come se il sangue avesse a che vedere con la procreazione. Ma la fede nell'origine "naturale" è la più forte, ecco perché domina il criterio dell'identità nazionale. Questa differenziazione che si pretende culturale nasconde discriminazioni di statuti e di diritti, nasconde la trasposizione dall'origine nazionale all'origine europea che fa pesare una minaccia di segregazione e di rigetto non solo sugli immigrati, ma su coloro che restano segnati da questa differenza, detta d'origine. Ed ecco che nella Comunità economica europea si profila una discriminazione tra gli Europei di razza, cioè i cittadini originari degli Stati membri, degni quindi di riconoscimento nazionale, e i cittadini europei che non appartengono alla CEE, i cittadini d'Oltremare, e cioè i cittadini francesi dei territori e dipartimenti d'Oltremare, i cittadini britannici del Commonwealth, gli olandesi euroasiatici o indonesiani, i bi-cittadini dell'espansione portoghese, spagnola, italiana, e al grado più basso i cittadini e gli altri emigranti d'Africa ed' Asia che la loro "differenza d'origine e di cultura" rende inassimilabili. L'Europa del sud (Spagna, Italia, Corsica) diventa una frontiera di controllo e di retrocessione degli emigranti del Terzo Mondo. Questa frontiera ideologica avrebbe per fondamento l'appartenenza originaria alla cultura europea, fatto che ·contrasta i processi effettivi di acculturazione e di meticciato. Su questa nuova frontiera, interna e simbolica, si intensifica l'etnicizzazione dei rapporti sociali. I conflitti etnici si localizzano in città, in quartieri e periferie, ma la linea divisoria non appartiene alla città, bensì a questa concezione dell'origine, al complesso di superiorità implicitamente o esplicitamente razzista che crea definizioni attraverso qualifiche etniche; arabi, musulmani, africani, colorati, neri ..., coloro a cui si nega la nazionalità, che sarebbe invece un fatto di eguaglianza, e non sono quindi cittadini, oppure sono falsi cittadini, dubbi o abusivi. In città si stabilisce e si rinnova la segregazione sociale che comporta ineguaglianza di accesso agli svaghi e alla "cultura"; nelle città proletarie e attraverso la proletarizzazione urbana vengono accantonate masse che non sono più marginali ma formano la maggioranza della società, quella propriamente diseredata, cioè priva di patrimonio. Non ci sono più classi pericolose, ma "etnie" pericolose, bande di giovani pericolosi a causa della loro diversità, rapportata ali' origine. L'identificazione etnica si sovrappone così alle differenze sociali; i conflitti sociali si traducono in conflitti etnici su una base di immigrazioni non più coloniali, ma post-coloniali, di diaspore che non solo sono messe in disparte da un nazionalismo razzista, ma additate per di più dal razzismo di colore. Lungi dal corrispondere ad una permanenza e ad una natura, l'identità è mutevole quando gli stereotipi razzisti si ripetono nella loro semplificazione. In Francia, stesse popolazioni sono state volta a volta chiamate kabile, arabe, nord-africane, e oggi musulmane. Identità che non sono che identificazioni inscritte in un campo ideologico da alterco, fissate, ma anche rivendicate, stigmatizzate e emblematiche. Esse discriminano, creando la prossimità alla precarietà e all'esclusione sociale. E, immerse nella stessa miseria economica e sociale, si affrontano le bande che, tirando in ballo l'etnia, pestano in nome del nazionalismo e della razza su coloro che esibiscono la loro diversità. Per tacciare di illegittimità coloro che, volontariamente o perché in esilio, si ponevano fuori di un'identità nazionale che sottolinea l'origine, il diciannovesimo secolo ha inventato il genere "meticcio culturale". Meticcio culturale per eccellenza fu considerato Marx. Otto Bauer fra gli altri ne ha tratto una teoria avvalorante il misto culturale, che rendeva manifesto il senso di emancipazione contro il quale si sollevavano sospetti ed accuse. Il meticcio culturale non è solo "il tipo senza patria", ma è anche fuori dalla comunità religiosa, impegnata a garantire la conservazione sociale; apolide o cosmopolita, ma in contrasto con l'identità della comunità che inscrive la famiglia nell'appartenenza ad una religione socialmente riconosciuta. Il misto ha un significato contro-culturale perché mette in discussione non solo il conformismo sociale, ma le gerarchie di potere, la sottomissione alle norme collettive stabilite sul modello della parentela e consacrate dalla legge di Dio. Non è meno scandaloso l'internazionalismo di fronte a nazionalismi che credono e sacrificano all'identità di un popolo unico ed eletto. Ma nel diciannovesimo secolo, questo ritratto di meticcio culturale non s'applica che a un'intellighenzia minoritaria e marginale che spesso accumula segni di minorità e marginalità: declassata, minoranza nazionale, ebrea, socialista rossa. Caratteri che si ritrovano oggi, ma a ben altro livello di massa, in certi "nuovi movimenti sociali" che praticano certamente il consolidamento dell'identità, ma si presentano anche come fronti di liberazione: movimenti di gente di colore, movimenti femministi. La collocazione e la composizione dell'intellighenzia sono totalmente cambiate, essendosi questa allargata, moltiplicata, massificata. La scolarizzazione si è generalizzata, ed ora si prolunga dall'adolescenza alla giovinezza, con un insegnamento professionale svalutato. Il maggio 1968 aveva fatto dello studente un modello per gli altri giovani, che si è imposto come un top/ modello, perfino alla moda. Ma lo studente appartiene ancora ad una intellighenzia elitaria; oggi le manifestazioni sono cose da liceali, e l' "hooliganismo" cosada adolescenti più omeno attardati, in rotta o in fallimento scolastico; si tratta soprattutto di un'espressione delle giovani generazioni che esprimono la violenza sociale nata dal depauperamento e dalla segregazione urbana. Ecco dunque i due termini della nuova problematica del pluralismo culturale: si tratta di una cultura urbana e di una cultura generazionale, e la cultura urbana corrisponde a un meticciato culturale di massa. Cultura delle città proletarie, della concentrazione e dell'espansione urbana, cultura mediale per corrispondenza e mimetismo di suoni, di ritmi e di clamori che si rispondono attraverso immagini "audiovisive" di grandi megalopoli, siano metropoli americane o su modello americano. L'acculturazione acquisita attraverso l'educazione familiare e di comunità, e convalidata dall'educazione propriamente nazionale, cede in parte il posto ad una acculturazione che si sviluppa nel gruppo di pari, e in una congiuntura che è insieme dell'adolescenza e della giovinezza; in questo senso la cultura è generazionale, sia per l'età sia perché inscritta direttamente nell'attualità. Ora, sono proprio le giovani generazioni "mescolate" ad esibire segni di identità per sottolineare una presa di distanza con la simbolica della maggioranza. Sono espressioni culturali mutevoli e creative, che si staccano dagli stereotipi nazionali; sono in rotta con il nazionalismo dominante e i particolarismi delle comunità tradizionali. La risposta attraverso la denuncia e la rissa, l'attacco fisico, si esercitano in nome del nazionalismo oltraggia-

to, perfino del razzismo europeo bianco, che arriva ad un populismo della superiorità di sangue che riprende l'amalgama della cultura e della stirpe nazionale ed europea. Ma forse tutto ciò non è altro che la "mescolanza" di una cultura generazionale urbana medializzata, che diventa la cultura delle città del mondo, cosmopolita sotto forma folk e pop, per non dire rap. Pur nel miserabilismo, è in tal senso che questi movimenti, per discontinui che siano, sono anche transnazionali, ed in questo senso è un cultura di diaspora. Non è una scusa il riconoscere che il termine cultura è qui adoperato in senso lato e sfumato, fino a quello di cultura di massa e fino a giocare su tutti i registri. Può il termine essere tenuto al guinzaglio da una definizione? Sostanzialmente il problema del pluralismo culturale è qui legato al nazionalismo e al discorso sull'identità. Poiché la diversità culturale favorisce, nei conflitti e nell'immaginario, una reale etnicizzazione dei rapporti sociali IL CONTESTO che perdono così la loro chiarezza, il problema del pluralismo culturale non appare più come un problema sociale. Non significa fare del riduzionismo sociologico o marxista se il problema lo si inserisce nel campo delle contraddizioni e delle pratiche di discriminazione e segregazione, e nel campo ideologico che sostiene le definizioni di identità e gli impulsi collettivi, che orienta, fossilizza o rinnova le pratiche culturali. In questo passaggio da culture di comunità a culture generazionali, anche attraverso la miseria sociale e esistenziale e la povertà simbolica, viene messa in discussione la sottomissione alle norme della comunità; è il significato contro-culturale di quei clamori, correnti, lineamenti, emergenze simili e diverse. Non significa recuperarli il pensare che, al di qua di un'utopia impaziente di internazionalismo, e sotto il dilagare stesso delle reazioni nazionaliste, si produca il disincanto del mondo comunitario e del nazionalismo di identità, che in questo modo lascia trasparire un pluralismo culturale altro. Da una piccola nazione Riflessioni slovacche Martin M. Simecka traduzione di Manuela Vittorini Sono trascorsi due anni dal momento in cui l'Europa orientale ha cominciato a cambiare volto. La maschera immobile di un sistema chiuso è andata in frantumi e sotto di essa è apparso, in un primo momento, un tenero sorriso. Poi ha cominciato a trasformarsi nelle più diverse smorfie e oggi ormai nessuno sa qual è il reale aspetto di questa parte d'Europa. Sembra che, per la comprensione del significato e del senso storico degli eventi dei due anni trascorsi, saremo costretti ad aspettare ancora un po' di tempo. Nonostante ciò, non resisto e rifletto spesso su ciò che è veramente accaduto. Sul perché tutto si è svolto così come si è svolto e mi chiedo se la storia abbia delle sue leggi, alle quali nessuno di noi sfugge. Io stesso mi sono invischiato nella storia, mi sono trovato per un certo tempo nel suo vortice e, in silenzio, mi consolo per essere stato piuttosto un suo osservatore e per non aver avuto molte occasioni di sciupare qualcosa. Mi sono trovato nel novembre dell'89 nel gruppo di quei rivoluzionari insonnoliti ed esauriti, con gli occhi febbricitanti, più o meno perché erano, per la maggior parte, miei amici e sono rimasto tra di loro non solo perché pensavo che fosse in qualche modo mio dovere, ma anche perché non sono riuscito a resistere al richiamo di una grande avventura. Oggi ho una sensazione assolutamente egoistica di felicità per la ricchezza acquisita, la stessa che probabilmente ha un ladro quando cammina con il bottino verso il suo covo. Il mio bottino è un'esperienza affascinante. Mi sono trovato nel tempo che gli antichi Greci chiamavano kairos, un tempo che è un vivere intensamente il presente e che si incontra solo raramente, come un'isoletta nel mare del banale tempo chr6nos. Ho visto come tutto ricomincia daccapo e, allo stesso tempo, tutto si ripete. È iniziato un nuovo desiderio di un mondo migliore, sono nati nuovi rapporti ed è nata una politica che aveva l' ambizione di essere una nuova politica. Allo stesso tempo si è ripetuto il vecchio desiderio platonico che a governare la società siano gli intellettuali e i filosofi, si è ripetuta la credenza che gli uomini saggi abbiano il diritto, e persino il dovere, di governare. Dopo due anni vedo come un altro tentativo di una politica supportata dalla saggezza naufraghi. Quelli che sono stati dai primi giorni il cervello della rivoluzione e che la gente ascoltava trattenendo il respiro, quando dicevano alla televisione e alla radio miracolose parole di verità, quelle stesse persone sono oggi oggetto di un oscuro odio. Certo, l' odio è ingiusto, altrimenti non sarebbe nemmeno odio, ma difficilmente ciò può essere una c'onsolazione. Rimane una persistente sensazione di fallimento. La Slovacchia ha, nella storia del movimento dell'Europa orientale, una posizione particolare. Con la sua cultura politica e la sua inclinazione a smussare gli angoli più aspri di una politica interna autoritaria è più vicina all'Ungheria e tanto più lontana dalla Boemia. Le mancano però i politici con la coscienza del proprio valore, che in Ungheria negli ultimi venti anni hanno disgregato il comunismo con l'eleganza di un aristocratico e, a dire il vero, le è mancato anche lo spazio, solidamente delimitato dalla spietata posizione del potere comunista praghese nei confronti di qualsiasi liberalizzazione delle strutture già esistenti. Si è creata una situazione particolare, atipica per gli altri paesi: se in Slovacchia continuava l'erosione del sistema totalitario, attraverso la sua umanizzazione ed il coinvolgimento, attraverso la legittimazione di tutti coloro che erano silenziosamente disposti a riconoscere la legittimità del potere, nella Repubblica ceca cresceva l'abisso tra il potere e i cittadini, ed il superamento di questo abisso era solo una questione di tempo, di quando ci sarebbero state forze sufficienti. Un esempio tipico è stato lo svolgimento delle prime dimostrazioni studentesche a metà novembre dell'89. Giovedì 16 novembre si radunarono nella piazza di Bratislava alcune centinaia di studenti in memoria del cinquantesimo anniversario della morte di Jan Opletala. La motivazione era la stessa del giorno dopo a Praga. La protesta contro la mancanza di libertà. Gli studenti per un po' stettero in piazza in un'atmosfera imbarazzata, poi si presero per mano ed insieme sfilarono per le vie. Si fermarono davanti all'edificio del Ministero della scuola e dalla strada chiesero libertà e alloggi migliori nelle case degli studenti. 11

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