Linea d'ombra - anno XI - n. 79 - febbraio 1993

traddittorie. Dapprima si è appoggiata l'idea di tenere assieme lo Stato federale jugoslavo come stato unico. Poi, specie sotto la spinta della Germania, e contro i pareri di Lord Carrington e di Butros-Ghali, i Paesi della Comunità europea hanno fatto una virata di centottanta gradi e sono passati ad appoggiare frettolosamente la politica di secessione e quindi la costituzione degli stati indipendenti di Slovenia, Croazia e Bosnia Erzegovina. L'indipendenza della Bosnia viene riconosciuta (il 6 aprile dell'anno scorso - giorno in cui ricorreva il cinquantunesimo anniversario del bombardamento di Belgrado ordinato da Hitler!), nonostante che il 33% della popolazione si fosse espressa chiaramente contro, e senza che venissero non dico risolti, ma almeno avviati a soluzione complessi problemi come quelli dolla delimitazione precisa dei confini del nuovo stato, della garanzia dei diritti delle minoranze, e della determinazione della parte del debito dell'ex federazione jugoslava che il nuovo stato di Bosnia doveva addossarsi. Inoltre, i Paesi occidentali hanno anche chiuso gli occhi sul fatto che la Germania, in piena contravvenzione con la politica dell'embargo sulle armi decretata dall'Onu, armava la Croazia di Tudjman. Come hanno chiuso gli occhi quando il gm ~rno di Bosnia ha riconosciuto come "forze legittime di difesa" le camicie nere croate del partito di Dodroslav Pargas. Nemmeno la politica dell'Onu è stata all'altezza della drammaticità della situazione. Ci voleva una ben più decisa e precisa presa di posizione a. favore di una soluzione autogestionaria all'interno di una repubblica federata Jugoslava e la condanna di ogni politica secessionista nazionalista. Ci voleva, molto prima di IL CONTESTO Fotodi Jean·PaulBajard (G. Neri). quanto non avvenne, una dura, precisa condanna di ogni idea di "patria etnica". Ci voleva, già nel momento in cui in Croazia il conflitto slittava verso la guerra civile, un massiccio intervento di pace da parte dei caschi blu. Anche la politica di embargo nei confronti della Serbia è molto discutibile. Non soltanto perché essa colpisce in primo luogo i più poveri e gli innocenti e favorisce una diffusa criminalità nella società serba; ma anche perché, come poi si è visto nelle ultime elezioni del 20 dicembre, ha favorito quelle forze politiche che in Serbia e in Montenegro hanno maggiormente ostacolato una politica di pace. E uno sbaglio è stato non riconoscere la nuova federazione di Serbia e Montenegro e darle il posto che le spetta nell'Onu. 5. Di fronte a conflitti come quelli in atto nella ex Jugoslavia, specie in Bosnia, caratterizzati dai processi di cui ho parlato sopra, è difficile vedere soluzioni, sia di carattere nonviolento, sia attraverso il ricorso ad un intervento militare da fuori. È irrealistico sperare nella possibilità di un ridimensionamento del conflitto in Bosnia, o di quello in Croazia (che può rincrudire di nuovo, specie se il governo di quel Paese persiste nel suo intento di chiedere in marzo il ritiro delle forze dell'Onu) in base ai principi della lotta popolare nonviolenta. Per una siffatta lotta non esistono oggi, né in Bosnia né in Croazia, e probabilmente neanche nel Kosovo, i presupposti; non vi è una tradizione e una preparazione di lotta nonviolenta; non esistono, che io sappia, personalità politiche e culturali di spicco che professino attivamente la 7

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==