Linea d'ombra - anno XI - n. 79 - febbraio 1993

IL CONTESTO autogestionario - specie tra le generazioni di giovani uomini - di una "cultura rambo" che, indipendentemente, da dove si verifichi, non esiterei a caratterizzare come fascistoide: perché è una cultura caratterizzata dalla glorificazione della violenza, dal disprezzo dei deboli, che esalta il bullo, e nell'ambito della quale il forte è esclusivamente identificato con il violento. Direttamente o indirettamente le immagini di questi giovani ci sono ben note: vestiti in uniformi mimetizzate, con nastri neri attorno al capo, le magliette su cui sono stampati slogan guerrieri, pugnali fissati agli stivali, una bomba a mano che pende dalla cintura e un Kalachnikov sulla spalla, dall'aria spavalda; ma chissà quanti di loro sono vittime di una pressione di gruppo alla quale non hanno la forza di resistere e dentro di sé magari hanno paura della loro stessa immagine esterna. Ma intanto uccidono, fanno esecuzioni sommarie, non rispettano le tregue, contribuiscono ad un'ulteriore escalation della violenza e ad una ulteriore brutalizzazione del· conflitto. Un terzo processo che si è innescato nel conflitto jugoslavo è l'emergere a rango di leadership politica e militare di individui e quadri tra i quali le inibizioni nel confronto dell'uso della violenza, anche di quella più brutale e gratuita, sono molto basse: notoriamente, alcuni di questi leader sono ex criminali, qualcuno di essi addirittura ricercato dalla polizia di altri Paesi. Tutti e tre i processi accennati, oltre che essere il più immediato effetto dell'escalation della violenza, sono allo stesso tempo una delle cause più immediate dell'ulteriore escalation di essa. 2. In Jugoslavia vi era una possibilità di sviluppo democratico all'interno di uno stato costituito da una federazione di repubbliche autonome. I vari gruppi etnici erano convissuti in relativa armonia per mezzo secolo, i matrimoni ed i contatti tra di essi erano andati sempre più aumentando. Un importante presupposto per una soluzione pacifica, costruttiva e accettata del conflitto poteva anche essere il cosiddetto "SANU Memorandum", un documento elaborato dall'Accademia serba delle scienze. Sia in Slovenia che in Croazia questo documento, che evidentemente costituiva un ostacolo per gli uomini politici e i gruppi che volevano la secessione, venne frettolosamente, e spesso senza una diretta conoscenza di esso, condannato come una espressione dell'espansionismo di Milosevic. Ora è vero che il documento in questione, verso la fine, sosteneva che ad un aggravamento dell'esclusionismo nazionalista l'unica alternativa per la Serbia era quella di fare valere i propri interessi nazionali e quelli delle minoranze serbe nelle altre repubbliche. Ma il documento favoriva soprattutto, in modo concreto, lo sviluppo di una moderna federazione jugoslava realmente democratica, un sistema econo· mico razionale, estesi diritti civili, rispetto per le minoranze, ed una prospettiva culturale cosmopolita. Esso contiene anche una dettagliata analisi del processo di disintegrazione dello Stato federale dopo la morte di Tito. Anche tra le minoranze serbe vi erano vari gruppi con vari atteggiamenti. Un gruppo era costituito da quei serbi che, vedendo le differenze tra serbi croati sloveni e musulmani come puramente storiche, erano favorevoli a una completa assimilazione. Questo gruppo era particolarmente forte tra i circa 60.000 serbi viventi a Zagabria e anche tra quelli viventi nelle campagne della Croazia dove per cinquant'anni avevano convissuto senza alcuna difficoltà con i contadini croati. Questo gruppo è oggi con tutta probabilità molto più esiguo di quanto non fosse prima che il conflitto deteriorasse in guerra. Un secondo gruppo era costituito da quei serbi che propugnavano una politica di piena cittadinanza, di uguali diritti per le 6 minoranze serbe all'interno di stati costituzionali indipendenti. Anche questo gruppo è oggi probabilmente meno folto di quanto non lo fosse precedentemente. Un terzo gruppo era costituito dai serbi che esigevano vari gradi di autonomia per le minoranze serbe all'interno di stati costituzionali indipendenti. Questo gruppo è probabilmente ancora assai consistente. Un quarto gruppo infine era costituito da quei serbi che propugnavano o l'annessione alla Serbia oppure la creazione di stati serbi indipendenti nelle aree dove la popolazione serba è chiaramente in maggioranza. Questo gruppo, bene armato, deciso a realizzare i propri obiettivi con la violenza, fornito di una organizzazione che in gran parte sfugge al controllo di ogni autorità politica costituita, era - ed è - molto attivo, tanto in Croazia quanto in Bosnia. Esso è tra i corresponsabili della militarizzazione del conflitto jugoslavo. 3. Ritengo però che corresponsabili della militarizzazione del conflitto siano anche i gruppi di sloveni, croati e musulmani che hanno favorito una intransigente e anche frettolosa politica di secessione fondata in parte su quello che Sigmund Freud chiamava "il narcisismo delle piccole differenze": la tendenza a mettere in primo piano e sfruttare politicamente al massimo le differenze fra i vari gruppi limitrofi, a scapito di tutto quello che essi hanno in comune. Questa tendenza è contraria alla impostazione nonviolenta del conflitto: in essa annidano già i semi della violenza. Dietro una siffatta politica di secessione stavano in parte forti motivazioni egoistiche volte a saivaguardare il maggior benessere economico di cui godevano certi strati di popolazione nelle repubbliche secessioniste, in parte pretese di sovranità territoriale nelle quali si esprimevano più che non l'adesione ai principi di autodeterminazione, di democrazia e di cittadinanza indipendente ed uguale per tutti, sete di potere di politici e un nazionalismo sciovinista che, sulla scia della violenza che ne è scaturita, ha poi portato sempre di più in superficie l'idea reazionaria e ripugnante di "patria etnica". Non a caso, penso, la costituzione della Croazia, nella quale precedentemente era sancito che la Croazia è "repubblica dei croati e dei serbi", è stata cambiata ed ora dice che la Croazia è una "Repubblica dei croati". La politica di secessione, che poteva prospettarsi come una politica realistica - il che non significa giustificabile - nel caso della Slovenia, che praticamente non aveva minoranze, non si prospettava certamente tale per la Croazia, in cui vivevano circa 600.000 serbi (pari ali' 11 % della popolazione); e si prospettava estremamente azzardata, se non semplicemente avventata (visto quello che nel frattempo era successo in Croazia) nel caso della Bosnia Erzegovina, dove i serbi erano 1.300.000 (pari al 31%della popolazione) ed in più vi era anche una forte minoranza croata. Una siffatta politica è stata tuttavia perseguita da forze evidentemente irresponsabili e appoggiata dall'esterno da forze altrettanto irresponsabili (prima fra tutte la classe politica dirigente in Germania). Il risultato è oggi davanti agli occhi di tutti, con la Bosnia che appena costituitasi come stato indipendente si è disintegrata ed ha cessato in pratica di essere tale. 4. Anche l'Europa occidentale è•fortemente corresponsabile della militarizzazione del conflitto. Non si può certo dire che i Paesi europei e la CEE abbiano condotto, relativamente alla crisi jugoslava, una politica sistematicamente fondata su di una precisa e coerente filosofia di risoluzione costruttiva dei conflitti. La politica dei Paesi europei,è stata invece caratterizzata da un insieme di iniziative che si sono dimostrate estremamente con-

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