GIALLI DI RABBIA Incontro con Didier Daeninckx a cura di Fabio Gambaro Il romanziere francese Didier Daeninckx è uno scrittore autodidatta. Figlio di operai, ha abbandonato la scuola a sedici anni per lavorare egli stesso come operaio tipografo. Dopo dodici anni di questa attività, la crisi del settore lo costringe a svariati lavori precari: macchinista teatrale, animatore culturale, fotografo, collaboratore di giornali di quartiere, ecc. Alla fine degli anni Settanta inizia a serivere, ottenendo un grande successo con il suo secondo romanzo, A futura memoria (1984, Interno giallo 1991), un'opera dietro la cui trama poliziesca egli evoca fantasmi passati e presenti della storia francese: il collaborazionismo del regime di Vichy alle persecuzioni contro gli ebrei e il massacro degli immigrati algerini a Parigi nel 1961. Da allora, Daeninckx si è dedicato interamente alla scrittura, dando alle stampe numerosi romanzi e racconti, che in un modo o nell'altro-e spesso con molta libertà- recuperano le modalità del polar, il poliziesco francese. Tra i suoi titoli di maggior successo vanno ricordati Le géant inachevé (1984), Le Der des ders (1985), Metropolice (1985), Le bourreau et son double (1986), Lumière noire (1987), Play-back (1987) e Lefacteurfatal (1990), nei quali, sullo sfondo delle periferie industriali francesi devastate dalla crisi economica e morale del nostro tempo, ritorna spesso l'ispettore Cadin, un uomo rigoroso e disincantato, costantemente in bilico tra cinismo e ironia. Recentemente, Daeninckx ha mandato in libreria due raccolte di racconti in cui si allontana dal genere poliziesco: 7,apping (Denoel), che affronta il mondo della televisione, e Hors limites (Julliard), che invece ritorna sul degrado e sulla follia delle periferie metropolitane. Realtà che egli conosce assai bene, visto che ha sempre vissuto nella banlieue nord di Parigi, un mondo dunque a cui si sente visceralmente attaccato e che non vuole abbandonare, nonostante il successo che ormai corona la sua attività letteraria. Proprio nel grigiore invernale di questa periferia l'abbiamo incontrato e intervistato. Come mai ha iniziato scrivendo dei romanzi polizieschi? Ho scritto il mio primo libro, Mort au premier tour, nel 1977, mandandolo a diversi editori senza alcun risultato. Solamente cinque anni dopo ricevetti una lettera da Hachette, uno degli editori a cui l'avevo spedito nel 1977, che si diceva interessato alla pubblicazione. Il romanzo così fu pubblicato all'inizio degli anni Ottanta, ma era nato a metà degli anni Settanta. E in quegli anni ero già un grande lettore di gialli, soprattutto dei grandi autori del romanzo nero americano: Thompson, Hammett, Chandler, ecc. Dei loro romanzi mi piaceva soprattutto l'immagine della realtà americana che riuscivano a trasmettere: leggere le loro opere era come tuffarsi nei problemi del continente americano, nelle sue contraddizioni, nelle lotte per il potere, negli intrighi politici, ecc. Dunque, quello americano fu certamente un modello importante. Fu il solo? No, perché nella seconda metà degli anni Settanta era in corso il tentativo di rinnovamento del palar francese ad opera di Manchette, Vautrin ed altri, i quali cercavano di ricollegare questo genere con la realtà, dato che in precedenza il giallo francese era assai folcloristico. Anche loro mi furono di aiuto. Infatti, quando iniziai a scrivere, volevo conciliare l'atmosfera di Simenon e la violenza di Manchette. Inoltre la Francia stava attraversando un periodo politicamente assai agitato, l'illusione del cambiamento politico era assai forte, la politica era molto importante. Ed io volevo trasferire questa tensione politica e sociale ali' interno del 74 Didier Daeninckx in una foto di Jacques Sassier. romanzo poliziesco, come ad esempio aveva fatto anche Manchette. In effetti A futura memoria affronta subito alcuni temi capitali: la guerra d'Algeria, l'emigrazione in Francia, la persecuzione degli ebrei durante la seconda guerra mondiale, le coperture dello stato francese ai funzionari collaborazionisti. .. Mi sembravano questioni essenziali volontariamente dimenticate e rimosse. lo volevo ricordarle alla gente. Anche perché ero scandalizzato da come attorno a me veniva affrontata la delinquenza e il passaggio della frontiera che conduce gli uomini al di fuori della legge. Ci si occupava solo dei crimini di sangue commessi dai singoli, del tizio che uccide a martellate il suo vicino, del ragazzo che assalta la banca, della criminalità alimentata dalla droga, ecc. Nessuno invece si interessava dei grandi crimini presenti nella nostra storia. Ancora oggi continuiamo a preoccuparci del clima di insicurezza nelle città francesi, dimenticando senza difficoltà le migliaia di morti della ex Jugoslavia. Come sempre i veri pericoli sono presi alla leggera, mentre si è terrorizzati dalle false paure. Insomma, nel romanzo volevo ribaltare questo atteggiamento, facendo paura al lettore con degli avvenimenti veramente importanti, invece che con le paure illusorie alimentate dalla società. Nei suoi romanzi non passa inosservato un realismo descrittivo assai marcato: gli ambienti, gli scenari, gli interni sono descritti con grande precisione. Da dove viene questo bisogno di realismo? La periferia in cui vivo è una regione che è stata assai maltrattata dall'industrializzazione, dall'urbanizzazione selvaggia, dai quartieri dormitorio, dalle reti ferroviarie, dai capannoni, dai centri commerciali, dai canali, ecc. Vivendoci, poco a poco ci si rende conto che la gente e i luoghi sono in simbiosi, la gente che vive qui è diversa dalla gente che vive nel centro di Parigi. Questo universo periferico trasforma le persone. Ciò vale anche per me. È per questo ad esempio che, seppure invitato, non vado quasi mai alle serate mondane nel mondo letterario: non ne conosco i riti e i codici, mi annoio, non mi sento a mio agio, appartengo ad un
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==