INCONTRI/HAQQY Sono innamorato della lingua araba. Innamorato. classico, che nessuno parla e pochi sanno. Una seconda lingua, colta e inaccessibile per coloro (e sono ancora la maggioranza) che conoscono solo la variante volgare che parlano. Una lingua che tendeva sempre più alla preziosità, che stava diventando un gingillo per pochi. Una lingua a cui i nuovi generi letterari e autori come lei hanno reso l'anima. Yahya Haqqi, si dice di lei "mutayyamu lughat ed-dad": il folle d'amore per la lingua del dad, l'arabo classico ... È proprio così. Sono innamorato della lingua araba. Innamorato. Da quando ho iniziato a scrivere racconti ho subito constatato che il primo problema a cui ero confrontato non era legato a questa forma d'arte, a come scrivere un buon racconto. Il vero problema era come esprimersi in arabo. Molto presto ho iniziato a predicare uno stile fondato sulla precisione. Prima si usavano molte frasi inutili, frasi scelte solo per la loro assonanza, si prestidigitava con le parole, si ripeteva lo stesso senso due o tre volte, con parole diverse ... Ho predicato uno stile molto preciso, in cui le parole non siano interscambiabili, in cui non si possa trovare una parola migliore per sostituire quella scelta. Arrivare a questo ha richiesto un grande sforzo. Quanto alla questione della diglossia: io esigo che il romanzo e la novella vengano scritti in lingua classica. Perché la lingua classica ha una tradizione, si sentono in ogni parola le impronte digitali dei grandi scrittori del passato. La lingua vernacolare invece è mutevole, cambia a ogni generazione, manca di radici. È meno artistica. E poi si dice che il romanzo è finzione. Che ogni situazione romanzesca è pura finzione. Se si accetta di scrivere una storia "finta", perché non accettare che anche i dialoghi siano avvolti nella finzione? Certo i personaggi, nella realtà, parlano in vernacolare, ma esattamente come sono trasformati gli avvenimenti così sarà trasformata anche la lingua dei dialoghi, dal vernacolare all'arabo classico. Ma tutti questi problemi ... in fondo sono discussioni inutili. L'essenziale è la verità. La verità che lo scrittore sente e vuole trasmettere al suo lettore. Se proprio sono cose vere: che scriva in cinese, in giapponese, in vernacolare, in arabo classico ... il lettore sentirà quello che vuole dire. Le racconto un aneddoto. In un momento di tensione politica, erano gli anni di Nasser, passavo per strada accanto a un'edicola. C'era un altoparlante, e molta gente si era radunata tutt'attorno per sentire un discorso che sembrava essere molto importante. Era un discorso in lingua classica. Allora, da innamorato che sono mi sono avvicinato a una delle persone qualsiasi che stavano ascoltando, e le ho detto: "Avrebbe preferito che parlasse in vernacolare?", "Come?" mi ha risposto "Cosa intende dire"? Ho spiegato: "Che invece di dire '1am yadhhab' dicesse 'ma rahsh', all'egiziana." "No, no" mi ha risposto "Capisco tutto quello che dice. Lasciami, lasciami ascoltare!" Tanto trovava sincero colui che parlava, e importante il suo discorso. Non gli stava mentendo. Allora l'importanza del mezzo di comunicazione diventa relativa. Se però ci si considera uno scrittore prezioso, se si vuole giocare sulle parole, non ci si farà capire. Bisogna cercare di dire cose vere con sincerità, in qualsiasi lingua. E si sarà capiti. Yahya Haqqi, lei sembra prediligere un certo tipo di personaggi: la gente semplice, le "comparse" ... Ecco, esatto: Nas fi-z-zhill, la gente nell'ombra. Mi interesso molto alla gente nell'ombra. Il coro per esempio. Ricordo di esser stato a un concerto, a Roma. Mi hanno dato un programma.C'era quello che si sarebbe suonato e molta pubblicità. Nient'altro. Mi sono detto: ma signori, avete otto pagine, e davanti a me vedo un'orchestra. C'è il primo violino, la ragazza che suona l'arpa, il signore che batte sul tàmburo ... Io vorrei sapere chi sono queste persone. Dovete dirmi il loro nome! Per ogni strumento il nome di chi lo suona. Avete otto pagine! Invece di mettere le redarne dei corsetti, mettete i loro nomi, rispettate questa gente! Perché li lasciate nell'ombra? Abbiate un po' di gusto, un po' di rispetto! Mi permetta un'ultima domanda. Perché scrivere? Credo che la risposta più normale, più abituale sia dire che sentivo il bisogno di confessare: la confessione. È istinti va, è nella natura umana. Presso i cristiani è addirittura un obbligo. Ma non credo che sia davvero questa la ragione. Come le ho detto sono nato assieme alla scuola moderna: penso quindi sia stato l'amore per l'Egitto a farmi scrivere. Sono folle ... amo il mio paese, non può avere idea di quanto ... Quasi me lo vedo, come se fosse una persona, in carne ed ossa. E dal momento che soffre molto, c'è ancora maggiore ragione di amarlo. Dalrmarz noidonne è tuttanuova midOime Vecchieragioni,nuovissimi ragionamenti. 71
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