Linea d'ombra - anno XI - n. 79 - febbraio 1993

Foto di Jeon-PoulBoiord (G Neri). adagio. Specie se serve a legittimare i propri interessi economici e di potere. 4. Ecco perché sarebbe sbagliato sottovalutare la straordinaria esperienza pacifista e di solidarietà con la ex Jugoslavia. Quelli che si sono dedicati in questi mesi a raccogliere medicinali, a fare volontariato, a trascorrere le proprie ferie insieme alle vittime del conflitto sono i costruttori di una speranza nuova, di una pace che si declini al plurale: giustizia, diritti umani, solidarietà, convivenza, nonviolenza, i cinque possibili casi. E la significativa esperienza di Time for peace, con pacifisti presenti contemporaneamente a Sarajevo, Belgrado, Zagabria, Fiume, Pristina, Skopie, Novi Sad, Dubrovnik, rilancia un impegno, una promessa: quella di continuare a condividere il dramma delle vittime, quella di sostenere le forze di pace e di dialogo che lì ancora si battono contro la guerra. I prossimi appuntamenti sono tanti e non è possibile citarli tutti: l'accoglienza dei profughi, la costruzione di un grande convoglio di aiuti, la gestione dei campi profughi, l'aiuto ai disertori, il volontariato. Questa è una guerra che nega i valori della convivenza, della solidarietà, dei diritti umani. La "bonifica etnica" ne è la esemplificazione mostruosa. L'azione dei pacifisti la previene e la contrasta. Ex Jugoslavia: paradigma delle nuove guerre e del nuovo impegno dei pacifisti. Crocevia della costruzione di una nuova Europa, simbolo dei valori e di culture che vanno difese ed affermate. Esempio dell'impotenza e della miopia della comunità internazionale. Occasione per ripensare tante certezze o per introdurre nuovi temi: il principio di autodeterminazione, il tema del!' ingerenza democratica, come si difendono i diritti umani e dei deboli. Sono i problemi di un mondo nuovo, di un futuro comune da costruire. Che ci riguarda tutti. IL CONTESTO La via bloccata della violenza Giuliano Pontara 1. Ancora una volta, in Jugoslavia abbiamo assistito alla graduale militarizzazione di conflitti che potevano essere risolti in modo politico, nonviolento. La militarizzazione del conflitto, iniziata in Slovenia, si è allargata alla Croazia, poi alla Bosnia Erzegovina, ed è diventata sempre più intensa e brutale. E non si può purtroppo escludere che essa si allarghi ulteriormente e coinvolga anche la ex provincia indipendente di Kosovo - dove, come noto, il 90% dei quasi due milioni di persone che ne costituiscono la popolazione sono albanesi in gran parte di religione musulmana - e la Macedonia. Ancora una volta, nella guerra che da quasi venti mesi martoria tanta gente in vari territori della ex Jugoslavia, vediamo in atto alcuni processi interdipendenti, estremamente negativi e controproducenti, intimamente connessi all'uso della violenza armata. Sono processi che costituiscono formidabili ostacoli ad una soluzione costruttiva dei conflitti tra le varie etnie e i vari stati della ex Jugoslavia. Per brevità, nel resto di questo scritto mi riferirò a questi conflitti con il termine generale di "conflitto jugoslavo". Uno di questi processi è quello di crescente e sempre più generalizzata de-umanizzazione dell'oppositore: gli esseri umani che fanno parte del gruppo avversario vengono visti sempre di più, e in modo sempre più indiscriminato, come una massa indistinta di individui privi di ogni qualità umana, e che quindi si possono trattare alla stregua di semplici cose. Un siffatto processo di deumanizzazione facilita l'uso di forme sempre più terribili di violenza contro esseri umani appartenenti al gruppo avversario, in quanto diminuisce negli individui i sensi di colpa per quello che fanno ai loro oppositori. Si tratta di un processo che si esprime anche a livello verbale: gli oppositori, caratterizzati come "il nemico", sono variamente, e in misura sempre maggiore e sempre più generalizzata, chiamati "terroristi", "primitivi", "belve assetate di sangue", "porci", "topi", ecc. I mass media aiutano il processo diffondendo, in modo irresponsabile, una stereotipa immagine de-umanizzata dell'oppositore. Le testimonianze dirette e indirette che i mass media nelle varie repubbliche della ex Jugoslavia sono così coinvolti in questo processo sono moltissime. Ciò dipende anche dal fatto che i mass media, nelle varie repubbliche, sono quasi totalmente sotto controllo di forze autoritarie; come ha detto un attivista pacifista serbo: "Mai prima nella nostra storia le forze autoritarie hanno controllato i mass media in modo così efficace come oggi". Un altro processo che si è innescato nel conflitto jugoslavo è quello di crescente brutalizzazione, per cui gli individui che partecipano alla lotta armata sono portati nel prosieguo di essa a diventare sempre più insensibili nei confronti delle morti e delle sofferenze da essi causate e quindi ad usare e accettare, man mano che la lotta armata procede, forme sempre più vaste e gratuite di violenza, ivi comprese le esecuzioni sommarie di "nemici" fatti prigionieri. Questo processo di crescente brutalizzazione è in parte aiutato da quello di de-umanizzazione dell'avversario cui ho appena accennato. Ma è anche ulteriormente favorito da due altri fattori: da una parte dal militarismo, proprio, come di ogni esercito, anche dell'esercito federale, uno dei più armati d'Europa; dall'altra dal diffondersi, nel vuoto ideologico lasciato dalla caduta degli ideali di fratellanza, di socialismo decentrato e 5

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