Linea d'ombra - anno XI - n. 79 - febbraio 1993

IL MARINAIO E IL DERVISCIO Khalìl S. Hawi a cura di Pino Blasone Il libanese Khalìl S. Hawi è uno dei maggiori poeti arabi contemporanei: e si può ben azzardare; non solo arabi. Insieme al siriano 'Ali Ahmad Sa' ìd "Adonis", all'iracheno Badr Shakìr al-Sayyàb e ad altri, fece parte del gruppo "Tammùz" (si veda la presentazione di M. M. Pesaresi alle poesie di Adonis nel n.61 di "Linea d'ombra", e il mio lshtar e Tammùz nel "Manifesto" del 10-3-91): esperienza fondamentale nel rinnovamento della letteratura araba, dopo la "Scuola siroamericana" raccoltasi negli Usa attorno a Gibràn Khalìl Gibràn (autore di quel celebre poema Il Profeta che è stato anche in Italia uno dei rari best-seller di poesia in anni recenti). Biografo tra l'altro di Gibràn, co_mequest'ultimo di estrazione cristiana, madi formazione sostanzialmente laica, Hawi è stato un profondo conoscitore della cultura araba e del pensiero mistico-islamico, con quella intimamente connesso. In particolare, dalla "Scuola siro-americana" egli riprende l'idea che il "sufismo" (appunto, la mistica islamica; la tesi si trova tuttavia già accennata nei Parerga di Schopenhauer) sia influenzato dalla religiosità indiana oltre che da quella semitica, all'interno di una più ampia visione orientale del mondo. È il tema che egli ha sviluppato nel Con Ulisse vagò nell'inconscio, con Faust immolò la sua anima a causa della conoscenza. Infine, nella nostra epoca, egli disperò della scienza. Estraniatosi come Huxley, fece vela per le rive del Gange, sorgente madre del sufismo. Là egli non vide altro che creta senza vita, qui solo caldo fango: pur sempre e solo fango. Dopo aver avuto a che fare col mal di mare, con lumi devianti dalla rotta oscurata, con ignote distese dilaganti ad accerchiarlo da ogni lato fuori dall'inconscio, dalla morte, la quale sciorina sudari azzurri per l'annegato, spalanca fauci cavernose in vacui orizzonti, rivestiti di un bagliore d'incendio, eccolo infine proiettato dall'ingannevole gioco dei venti sui lidi dell'antico Oriente. Così approdò in una terra di cui narrano in oziose taverne i cantastorie, miti, preghiere, il mormorio svagato delle palme dalle fievoli ombre. lvi uno sciabordìo acquoso intorpidisce ogni sensazione lungo i nervi infiammati, 66 poemetto Il marinaio e il derviscio, personale interpretazione del sincretistico mito di Gilgamesh/Ulisse/Sindbad così caro ai simbolisti tammuziani. Qui l'influenza di poeti occidentali, quali Coleridge e T. S. Eliot, è piegata a un confronto critico con la civiltà occidentale stessa, e unita a una visione pessimistica della Storia: riflesso di un sofferto e motivato atteggiamento esistenziale, che condurrà l'autore al suicidio nel 1982, durante l'invasione israeliana del Libano. Espressa anche in alcuni scritti filosofici, la sua tematica di fondo è un esasperato moderno contrasto tra fede e ragione, tra coscienza e inconscio, tra natura e cultura. In tal senso, il discorso si accosta drammaticamente a quello di alcuni poeti palestinesi "colti", quali Tawfiq Soyigh e Mu'in Bsyusu (o a narratori come il palestinese Ghassan Kanafani e il marocchino francofono Driss Chra1bi). Salvo il testo che segue qui tradotto, una raccolta dei più importanti - anche se non facili - poemetti di Hawi, da Lazarus I 962 a Il geniofemmina della spiaggia, si trova in Naked in Exile, con ottima traduzione inglese a fronte, a cura di Adnan Haydar e Michael Beard (Washington, Three Continents Press 1984). e attutisce ogni ricordo a un'eco ripetuta e distante come il richiamo di porti remoti. Potessero almeno aiutarlo i nudi, ascetici dervisci! Rutilanti nei vortici dei loro circoli di rimembranza, essi ormai oltrepassarono i confini dell'esistenza. Circoli e ancora circoli intorno a un vecchio derviscio: le gambe radicate nella melma, assorbe linfa dalla grama terra. Se ne sta immoto insensibile, e nelle pieghe della sua pelle germogliano piante parassite: muschio stagionato dal tempo, edera che infittisce crescendo. Egli mai più si sveglierà, ma quel po' di fertile stagione che gli scorre ancora nelle vene riveste di bellezza e di eleganza la sua vecchia pelle screpolata. "Suvvìa, svelami i tesori che attrassero il tuo sguardo nel profondo dell'inconscio". "Da mille anni accovacciato in questo ricorrente sciabordìÒ sulla riva primordiale del Gange, le vie del mondo, benché distante, tutte si arrestano alla mia porta, e nella mia capanna dimorano divinità e eternità gemelle. Tu vuoi sapere che cosa vedo?

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