INCONTRI/SARAMAGO Sarebbe assurdo ignor._arel'importanza dell'immaginario cristiano. E un aspetto della realtà a cui mai mi sarei potuto mantenere estraneo. Causa qualche perplessità il fatto che lei, pur essendo ateo confesso, si occupi di frequente dei miti del cristianesimo. In effetti, i commenti critici alla "storia sacra" o alla dottrina cristiana sono presenti un po' in tutta la sua produzione - in primo luogo, nelle poesie di Os Poemas Possfveis; e poi, in praticamente tutti i suoi romanzi, perfino in quelli in cui sarebbe più impensabile, come, per esempio, nel Manual de Pintura e Caligrafia, nella Hist6ria do Cerco de Lisboa o nel!' Ano da Morte de Ricardo Reis. Si può forse desumere, da questa sua continua visitazione di questa tematica, che lei segue una strategia specifica rispetto alla religione? No, non c'è nessuna strategia deliberata dietro questo mio interesse, nessuna intenzione provocatoria, nessuna intenzione di attacco. Nutro il massimo rispetto per le credenze altrui, per diverse che siano da quelle che mi sono proprie. L'interesse per questa tematica è sorto in me naturalmente, è qualcosa di spontaneo che non vedo nessun motivo di reprimere. Oltretutto è un interesse abbastanza normale, se consideriamo le tradizioni culturali di cui siamo impregnati. Mi permetta di rendere più esplicita la mia idea: nelle sue opere precedenti, mi pare che lei approfitti solo di alcune occasioni diversive al margine dell'azione principale o degli argomenti dominanti, per smontare i miti del cristianesimo. Nell'Evangelho, invece, ciò che negli altri romanzi era elemento secondario diventa obiettivo principale: mi riferisco alla dissacralizzazione di tali miti. Negli altri libri leifaceva soltanto allusione al mito, in quest'ultimo, invece, lo manipola integralmente. Mipare,perciò, che lei abbia proprio seguito una strategia di demistificazione, una strategia che si basa sulla coscienza del fatto che non basta disprezzare o mettere da parte, dimenticare i vecchi miti sacri della tradizione; e non basta neanche smontarli con argomentazioni razionalistiche. Se si mettono da parte, infatti, questi diventano, nell'ombra, più forti, diventano ancora più sacri, nel senso etimologico, intoccabili, inaccessibili, perfino ineffabili. E lo stesso succede se si smontano alla luce fredda della ragione: ai cultori del mito resta sempre la possibilità di rivendicare la sua impenetrabilità per l'intelletto, la sua inafferrabilità - insomma, la sua sacralità. Per evitare tutto questo, allora, lei non ignora i miti del cristianesimo, non li isola dal suo campo di coscienza, né li smonta o li smaschera: li riutilizza, li manipola, lifa propri e li trasforma a suo piacimento. Questo sì che è negare in pratica la sacralità del mito. Insomma, più che la decostruzione dei suoi miti sacri, ciò che può irritare molto un cattolico (o un difensore di un qualsiasi altro dogma) è che un non credente si arroghi il diritto di appropriarsi delle storie che per lui sono sacre, e che si permetta di rielaborarle come gli pare e piace. In definitiva, è questo, oppure no, ciò che lei fa nell'Evangelho? No, non posso essere d'accordo sulla sua interpretazione. Non seguo nessuna strategia specifica, come ho già detto. In realtà, ciò che lei definisce come una probabile causa del processo narrativo dell' Evangelho può essere piuttosto una conseguenza. Ossia, non ho preteso in nessun modo creare un romanzo "a tesi", non ho ubbidito a nessuna "strategia di demistificazione". Mi interessa, questo sì e da sempre, il nostro fondo culturale cristiano (in fondo, nessuno in questa parte del mondo può evitare di essere cristiano per cultura, per educazione, anche se si dichiara ateo o agnostico), e la voglia di ricreare a modo mio la storia di Cristo in quanto uomo - che è la prospettiva che mi interessa- ha fatto il resto: dopo aver preso questa decisione ed aver iniziato a scrivere, la storia ha acquistato una vita propria, ha cominciato a "camminare coi suoi piedi". Sarebbe assurdo ignorare l'importanza dell'immaginario cristiano: l '80%, se non più, delle opere che riempiono i nostri musei di arte antica sono le sue dirette tributarie. Anche se io non credo, dunque, so che la religione esiste e che le sue istituzioni sono potenti, non solo dal punto di vista spirituale, ma anche da quello materiale. È un aspetto della realtà a cui mai mi sarei potuto mantenere estraneo. E, in fondo, essere credente, o agnostico, o ateo poco importa: non è altro che una presa di posizione filosofica.L'etica per.5onale è tutt'altra cosa. E non è solo questo: non potremmo, comunque, in nessun modo ignorare la religione quando questa, con le abitudini - perfino alimentari - che stabilisce, le ricorrenze festive o penitenziali che prescrive, è diventata parte integrante ed inalienabile del nostro quotidiano: basta pensare, per esempio, a feste come il Natale, la Pasqua, il Carnevale, i "Santi Popolari" ... 1 Leggendo il suo libro, ci si accorge subito fin dall'inizio che non si tratta di una narrazione in prima persona. Allora, perché lo ha intitolato proprio O Evangelho Segundo Jesus Cristo? Bene, questo ha a che fare con una specie di piccola "visione" di cui sono stato vittima, o meglio, di una illusione ottica che ho avuto un giorno, per la strada, in Spagna e che mi ha fatto "vedere" il titolo, ancor prima di avere deciso di scrivere questo romanzo, e che, in buona parte, mi ha condizionato a scriverlo. Ma l'ho già raccontato in un'altra intervista2 • Comunque, anche se quest'illusione ottica l'ha stimolata a scrivere il romanza, non mi pare che questo giustifichi interamente il fatto che lei abbia mantenuto il titolo. Cioè, nonostante il titolo in sé e per sé le sia servito come punto di partenza, questo non le avrebbe comunque impedito di abbandonarlo, in seguito, al rendersi conto che non si adattava al romanza scritto. Perché l'ha mantenuto, allora? Prima di tutto, perché non mi piace nessuna manifestazione di arroganza, e sarebbe stata un'estrema arroganza dare al romanzo il titolodi O EvangelhoSegundoJosé Saramago ... Non avrei potuto neanche farlo dato che, come ho già detto, non nutrivo nessuna intenzione provocatoria. È chiaro che, perché il titolo avesse una corrispondenza logica con la storia che racconto, doveva essere Gesù Cristo il suo narratore ma non è così. Come è venuto fuori il titolo, lo sa già. E, mentr; scrivevo il libro, la mia intenzione di mantenerlo si è fatta sempre più forte. In fondo, il titolo finisce per non essere assolutamente fuori luogo, data la relazione interna, viscerale tra questo "detonatore" della storia e la storia ~tes~a, ~ data la prospetti va che ho adottato in essa, che è que~lad1Cn_stom9uanto uomo di cui metto in evidenza l'evoluz10ne ps1colog1ca, la ' 63
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==