IL CONTESTO Le strade della violenza Il confliffo n•lla ex Jugoslavia Noi e questa guerra Giulio Marcon 1. Il movimento per la pace degli anni Ottanta si era fatto i calli ai piedi con le marce ed i cortei. Era il tempo della guerra fredda, degli euromissili, del pericolo atomico. Il movimento per la pace degli anni Novanta ha ormai i calli alle mani con la diffusa e capillare solidarietà che ha costruito in quest'ultimo anno con le vittime del conflitto nella ex Jugoslavia. "La solidarietà è una via della nonviolenza", diceva qualcuno prima di noi. Solidarietà come convivenza, diritti umani, condivisione. È una nuova cultura, una diversa identità che si va radicando nel movimento pacifista di questi anni. Pacifisti che vanno nei campi profughi a fare volontariato con i bambini, che raccolgono medicine e dopo rocamboleschi viaggi li portano agli ospedali della Bosnia. Che vanno a Sarajevo, facendo quello che l'Onu non riesce a fare: portano aiuti, un messaggio di speranza, rompono l'isolamento. Sono tante storie, impossibile raccontarle tutte. Come quelle di Alberto Salvato, un pacifista di Treviso che 10 anni fa stava davanti ai cancelli di Comiso contro i Cruise, e che in queste settimane ha raccolto 107 milioni di solidarietà e li ha portati al "Villaggio del bambino" di Novi Sad dove convivono bambini serbi, croati, musulmani. 4 GONTHERANDERS 1909- 1992 2. È un pezzo di quella Italia generosa, civile che crede nei valori della pace e della solidarietà. Quell'Italia delle minoranze che sono sopravvissute al conformismo degli anni Ottanta-e al narcisismo degli anni Novanta. Un'Italia nascosta, quella del volontariato, del lavoro sociale di base, dell'impegno civile, come si diceva una volta. Di fronte alla guerra nella ex Jugoslavia il movimento per la pace sta sedimentando nuove culture e valori. Sta crescendo una nuova generazione di pacifisti. Andando - durante la settimana di Capodanno - nella ex Jugoslavia (eravamo più di 1000, con l'iniziativa Time for peace, in un centinaio di località a fare volontariato, a portare aiuti, a sostenere le forze di pace e di dialogo) abbiamo incontrato gli esponenti di questa nuova generazione: studenti, boy scout, preti, sindacalisti, volontari. Di cui pochi parlano. Di cui pochi sanno. Sarebbe l'ora di un libro bianco di tutte le attività che sono state promosse in questi mesi. E di farlo avere ai gazzettieri che si ricordano dei pacifisti solo per dargli addosso. Ma nella società dello spettacolo e dei fatti vostri questo non fa notizia, o meglio non è notizia. E questo vale anche per la solidarietà, di cui si conosce quella pelosa dei fustini Dash e dei Cruciverboni, e non quella degli Stregoni normali (perusare un'espressione di Benni nel suo ultimo libro) che si sporcano le mani con la quotidiana sofferenza. Della solidarietà del cuore banalizzata e spettacolarizzata, ma non di quella in cui dono non è solo rinunciare al superfluo di sé, ma condividere, rimettere in gioco i propri privilegi. 3. La guerra nella ex Jugoslavia ha modificato culture, pratiche, certezze del vecchio movimento pacifista. È la prima grande guerra del dopo '89. Evidenzia le future minacce e le tensioni violente degli anni Novanta. E non solo nell'Est. Una guerra che può essere letta in tanti modi. In cui vediamo le radici dei conflitti che stanno esplodendo anche da noi: xenofobia, razzismo, nazionalismo. La fine dei valori della convivenza e della solidarietà. Ci sono ragioni storiche, certo: il groviglio secolare dei Balcani, la gragnuola di conflitti etnici nell'Est, il totalitarismo comunista che ha sepolto la democrazia ed i diritti per tanti anni. Ma non è affare solo della ex Jugoslavia e dell'Est. È affare dell'Europa e del rapporto Nord-Sud. Un'Europa forte e dei mercati che si rinchiude in una fortezza e che lascia fuori tutto il resto non può che esasperare i particolarismi, i conflitti etnici, i nazionalismi. Un Nord che accresce la propria ricchezza ed il divario con il Sud del mondo accende la miccia di una bomba a tempo fatta da due elementi: la povertà e l'ingiustizia. Ecco perché non basta più un movimento per la pace, per il disarmo e contro la guerra. È necessario. Ma senza una costruzione di valori, culture ed esperienze sociali è condannato ad essere residuale. Per costruire il tabù della guerra (come proponeva Moravia) è necessario che i primi passi il movimento per la pace li faccia nelle famiglie, nei luoghi di lavoro, nelle scuole. Morte le ideologie e le grandi sfide epocali per il dominio del mondo, il movimento per la pace deve essere capace di radicarsi e modellarsi sulle pieghe dei nuovi conflitti, prevenendoli, costruendo le soluzioni nonviolente. La guerra nella ex Jugoslavia ripropone quella "immagine del nemico", quella "necessità del nemico" che è alla base delle guerre (e della xenofobia, del razzismo) e che sembra quasi connaturata alla moderna psicologia collettiva. Fino a qualche anno fa c'era il Grande nemico (l'Impero del male) e ora se non se li ha, li si costruisce a tavolino. Così fa il PentagonQ, per giustificare il futuro di un ruolo dominante americano nel mondo, prima Gheddafi, poi Noriega, ora Saddam. "Chi trova un nemico, trova un tesoro", si potrebbe dire, parafrasando un vecchio
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