Linea d'ombra - anno XI - n. 79 - febbraio 1993

Martin Amis !foto di Robin Borton). Sì, e al modo in cui questo mondo è rappresentato. Non riesce per esempio ad accettare nessun tipo di artificio post-modernista. Non ne vuole sapere assolutamente niente e in un certo senso non lo biasimo. Penso che il post-modernismo - questo richiamare l'attenzione sul fatto stesso che stai scrivendo un romanzo-per molti lettori possa essere e sia una cosa irritante. È qualcosa che io stesso faccio, ma cerco di farlo a ragione e in maniera divertente. Diversamente perderei solo tempo. Ma posso capire che sia subentrata una certa sensazione di mancanza di decoro, ed è questo che mio padre avverte fortemente. Entrambi siete romanzieri comici, ma il vostro modo di fare commedia è lo stesso? Credo sia molto affine. Penso che il valore positivo che fa da sfondo alla sua commedia sia diverso dal mio. A sintetizzarlo in una sola parola, direi che il suo valore positivo sia il pudore, mentre il mio è l'innocenza. E fra questi due concetti c'è una notevole distanza. Inoltre io ho il senso, che non credo lui abbia, di una maggiore precarietà: ho vissuto la mia vita in una specie di mondo moderno, mentre lui ha soltanto conosciuto un periodo che ha preceduto la caduta, prima della seconda guerra mondiale, quando il pianeta era molto più giovane e innocente; è lì che lui ha le sue radici, io ho le mie nella precarietà del mondo moderno. INCONTRI/ AMIS Mi incuriosisce il fatto che tu usi la parola "innocente", perché mi sembra che ci sia in te qualcosa di romantico. Sei attratto dagli eccessi, sei affascinato dalla degradazione, ma sotto la superficie si avverte la nostalgia dell'innocenza. Certamente. La satira o la commedia non hanno ragione di essere se non sono sostenute da qualcosa di valido. Per me si tratta di qualcosa di lampante, ancora più lampante nell'età moderna in cui il mondo diventa ogni giorno meno innocente. La vita è così: le esperienze si accumulano e attaccano l'innocenza. La storia attacca l'innocenza. Potresti mai concepire di scrivere un libro in cui la sessualità sia ridotta a semplice affetto e l'amore non sia degradato o corrotto, insomma un romanza lirico o celebrativo? Non credo, e in parte perché la commedia non ha niente a che vedere con cose del genere. È molto difficile fare in modo che la felicità funzioni sulla pagina. L'inchiostro della felicità è bianco. Forse soltanto Tolstoj ha reso la felicità qualcosa di emozionante da leggere, un'impresa incredibile, ma nessuno è riuscito a ripeterla con facilità, meno che mai uno scrittore comico. Non credi che lane Austen sia riuscita a conciliare questi due aspetti? L'ironia coesiste con una sorta d'innocenza nella sua opera. Sì, ma tutto viene risolto molto in fretta. Jane Austen scrive soprattutto di complicazioni, però poi trovi quei brevi epiloghi piuttosto compiaciuti del tipo - "Elizabeth a volte è ancora bisbetica" o "Jane è smemorata come sempre" - o qualcosa del genere, di cui Nabokov fa la parodia in Despair con tono diverti to e affettuoso. Tutto si risolve nel finale, e ciò di cui davvero si alimenta l'autrice, e che fa contorcere e agitare il lettore, sono i malintesi e le complicazioni. Penso che George Eliot arrivi più vicino alla celebrazione della vita felice. Ma spesso ho la sensazione che a rendere la commedia, o almeno il mio tipo di commedia, così strano, è il fatto che oggi essa debba comprendere tutto. Il tono tragico non ha più accesso al registro linguistico; l'eroico e l'epico non sono voci più tanto plausibili nella narrativa moderna. E la commedia è zeppa di cose che proprio non dovrebbero esserci, stupri, assassinii, abusi sessuali nei confronti di bambini, veri e propri peccati e il male. Il romanziere comico, naturalmente, non risolve le cose con il rigore dello scrittore tragico, non premia, non punisce né trasforma; tutto quello che può fare è spazzare via questi mali con una risata. Ma si presentano delle cose che non possono essere spazzate via con una risata. Lo dico perché ho appena terminato un romanzo breve su un argomento paradigmatico che non si può spazzare via con una risata, l'olocausto degli ebrei nella seconda guerra mondiale. Eppure penso che, sebbene non abbia ricercato il lato comico dell'olocausto, perché non esiste un lato comico dell'olocausto, ho scritto fondamentalmente una commedia o forse una sorta di anti-commedia. Le cose su cui lavoro sono sempre l'ironia, l'obliquità e la comicità. Oserei dire che, al di là di tutto, il piano nazista era completamente ridicolo. Ti senti a disagio nell'affrontare un tema quale l'olocausto e nell'utilizzarlo per fini letterari? Mi riferisco per esempio a un autore come William Styron e a La scelta di Sofia, che ancora mi comunica un notevole senso di disagio. 55

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