STORIE/MILLHAUSER Quello stesso mese, più tardi, accadde un altro incidente che può essere interpretato alla luce del ritratto di Sophia. che sta al di là del dolore, è riuscito a raggiungere l'altro versante dell'angoscia. Nell'estate del 1845 le emicranie ed altri acciacchi costrinsero Elizabeth a restare chiusa in casa sempre più a lungo, e lì dentro divenne sempre più dipendente dagli effetti lenitivi del laudano, prescritto dal dottor Long di Strawson e facilmente ottenibile nelle due drogherie di Saccanaw Falls. Solo quando i suoi malesseri recedevano un poco era in grado di lasciare il cottage di Stone Hill e fare lunghe passeggiate nei suoi boschi adorati, lungo il torrente, o in direzione del Black Lake. Dopo un attacco particolarmente acuto, verso il finire dell'estate, William persuase Moorash ad assumere una donna che si prendesse cura della casa: una certa Mrs. Duff di Strawson, che veniva tre volte la settimana e presto si affezionò profondamente sia a Elizabeth che a Edmund. Elizabeth dapprima protestò, ma si rassegnò presto alla situazione: c'erano mansioni alle quali non poteva più attendere. La mancanza di una cartella clinica del dottor Long, e la predominanza di sintomi non specifici come le emicranie e le vertigini, rende impossibile una precisa diagnosi della malattia di Elizabeth, che è probabile avesse radici psicosomatiche ma non senza il dubbio di un'origine organica. Benché non si possa escludere il disordine mentale di una depressione patologica, non vi sono testimonianze, che siano il Diario o gli scarsi referti medici, a darne prova evidente (cfr. Havemeyer, 210 ff., per un elenco completo delle fonti). Le "vertigini" e le emicranie sembrano confermare decisamente l'ipotesi di un'alta pressione sanguigna, ma dato che il misuratore della pressione fu inventato solo verso la fine del secolo, tutte le ipotesi che si possono fare devono restare pura materia speculativa. L'ipertensione o qualche connesso disturbo cardiovascolare spiegherebbero molto, se non tutto, dei sintomi di Elizabeth, ma essi possono anche aver avuto origine da altre cause, quali, ad esempio, un'ansia o un'eccitazione estreme. Insomma, in ogni considerazione relativa alla malattia fino alla prima metà del secolo diciannovesimo - vale a dire, prima della scoperta dell'avvelenamento per dipendenza da droghe- bisogna tener conto che le manifestazioni di nuovi, inspiegabili sintomi potevano anche essere stati indotti dalle stesse cure dei medici. Benché il Diario parli di un'acutizzarsi dell'irritabilità a certi stimoli, come il suono acuto di un coltello su un piatto, l'odore di urina, e l'improvviso avvampare o affievolirsi della fiamma di una candela per l'imperfezione dello stoppino, una delle più strane manifestazioni della malattia di Elizabeth fu una acuita sensibilità per la letteratura, la musica e l'arte. Certi lenti, languidi ritmi nelle Poesie del 1842 di Alfred Tennyson, e, in Keats, particolari effetti di silenzio, sogno, mollezza, prodotti dal fondersi delle vocali lunghe col ronzio fricativo di m's e n's e dalla morbida dolcezza delle sibilanti (Elizabeth cita: The maiden 's chamber, silken, hushed, and chaste da The Eve of St.Agnes), sporadici versi che suggeriscono misteriose vastità (Noiseless as fear in a wide wilderness) o che suonano come chiamate a qualche grande impresa (Say, my heart's sister, wilt thou sail with me?) determinavano un' accellerazione del suo battito cardiaco e una accentuata irrorazione delle gote, così che Elizabeth era costretta a lasciar da parte un volume e giacere con le mani schiacciate contro le clavicole, quasi a comprimere la sua eccitazione.Nell'ascoltare Sophia che suonava In der Nacht dalle Fantasiestucke (op.52) di Schumann, o il notturno di Chopin in Mi maggiore, op.9, n.2, ol' andante doloroso della Brocken Sonata di Sonnenstein, op.16, con quelle sue lunghe concatenazioni di sospensioni armoniche irrisolte e il suo insistente motivo di cinque note, ella si riduceva in uno stato di pericolosa esaltazione, durante il quale una vena pulsava visibilmente sul suo collo (si sarà guardata allo specchio?) e si sentiva di volta in volta bruciare o gelare. Ma era soprattutto la pittura che scatenava in lei le più forti e inquietanti reazioni. Una volta William le portò un volume di incisioni di dipinti medievali tedeschi: Elizabeth fu subito prostrata da una febbricitante esaltazione che la tenne sveglia tutta notte e, il mattino seguente, le scatenò un attacco così violento di tosse che Edmund chiamò subito il dottor Long da Strawson. Sembrava che ella recepisse il senso del dipinto tutto in una volta, con la forza di un colpo improvviso, e che lo esperisse non semplicemente a livello di terminazioni nervose, ma nelle fibre più profonde del suo essere. Era come se una particolare pellicola protettiva fosse stata soffiata via dalla malattia, lasciandola completamente scoperta. Ma se acuta era la sua sensibilità per la pittura in generale, diventava morbosa e fervente sensitività quella suscitata dalle opere di Edmund, e così infatti la descrive con parole sempre più intense: "Mi giravo per guardare, ed ecco! mi entrava dentro il corpo come fuoco" (2 maggio 1845); "quel cielo notturno fu un colpo alla tempia per me, e così me ne ritrassi vacillando, col respiro che mi mancava" (I 4 agosto 1845); "il dolce veleno scorre dentro di me, e col calore porta il gelo" (8 novembre 1845). Quell'estate William e Sophia prolungarono la loro permanenza a Black Lake fino a metà settembre. Fu durante la seconda settimana di settembre - era una giornata bellissima, luminosa, fuori dal tempo - che Elizabeth ebbe un colloquio con William che ella riportò brevemente nel suo Diario, ma che Sophia ebbe modo di annotare molto più estesamente in una lettera a Eunice Hamilton (12 settembre 1845). Stesa nel letto, i lunghi capelli sciolti sui cuscini, gli occhi "rilucenti di una chiarità innaturale", Elizabeth chiese a William di badare a suo fratello "se si fosse trovato solo", poiché Edmund era "come un bambino, in certe cose". William giurò solennemente che l'avrebbe fatto. Quando uscì dalla stanza, Sophia notò che il suo volto era umido di lacrime. 26. AUTORITRATTO (1845?-1846) Olio su tela, 92,06 x 76,96 cm Nell'ottobre del 1845 Moorash parlò a Elizabeth di un autoritratto, ma dal Diario non si capisce se vi avesse già posto mano o no. Di un autoritratto si parla di nuovo in dicembre, ma con un tono da cui deduciamo che egli stesse ancora solo vagheggiando un modo per arrivarci.(8 dicembre 1845: "E. lavora con grande impegno a Il sogno del demone [dipinto andato perduto]. Ha so~- tolineato il paradosso che implica la stessa definizione di autontratto: che cos'è il "sé" che è al contempo oggetto e soggetto del ritratto?"). È invece decisamente al lavoro sul proprio autoritratto nel maggio del 1846, anzi pare che si sia concentrato su quell'opera a partire da allora, lasciando da parte ogni altro lavoro, fino al 27 luglio, data della sua morte. Elizabeth migliorò notevolmente nell'autunno del 1845. Dopo .una piccola ricaduta in novembre, _s~rip~es_equ~nto _ba_sta~a_per godere, nel periodo natalizio, una v1s1tad1d1ec1g1om1d1W11l~am e Sophia, durante la quale i quattro fecero lunghe passeggiate ••
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