STORIE/ MILLHAUSER tele, quand'anche ne sopravvivessero molte caratteristiche: sono, più che altro, delle visioni di sogno, delle allusioni, degli studi dell'anima - o ancora dei "paesaggi interiori", come li chiama con estrema acutezza Elizabeth (Diario, 4 gennaio 1846). Lo sguardo che quelle immense eteree figure hanno negli occhi non rientra certo nell'ambito dell'umano quanto piuttosto in quello del mito: è come se Moorash riuscisse a liberare nel colore il mistero dell'uomo solo mandando in frantumi quelli che una volta aveva chiamato "impedimenti mimetici". Pare che nel febbraio del 1844 Moorash abbia messo mano a un ritratto di William Pinney, che poi distrusse o lasciò da parte per la Totentanz e più tardi per i Quadri Stregati. Tornò al progetto per un breve periodo in dicembre. Era di nuovo impegnato al ritratto all'inizio dell'estate del 1845, nello stesso momento in cui aveva ripreso a lavorare alla Sonata della Morte dopo un'apparente sospensione. Non si sa se l'abbia messo da parte o se abbia continuato a lavorare a fasi alterne a entrambi i quadri negli otto mesi seguenti, ma nel marzo del 1846 vi ritornò certamente su prima di abbandonare quello e tutti gli altri per il quadro che doveva diventare la sua ultima opera. Più di ogni altro dipinto di Moorash, Dornroschen incluso, l'inquietante ritratto di William Pinney ha su chi guarda l'effetto che farebbe l'illustrazione di un libro di fate. Un gigante trasparente della consistenza di un'ombra sta a gambe larghe sopra un lago oscuro e si leva nel cielo notturno, dove il fluttuare dei suoi capelli dà forma a comete e stelle di fuoco. È nudo e possente: lungo tutto il suo corpo vediamo nubi notturne e un barlume di colline illuminate dalla luna. Veramente sconvolgente è tuttavia l'espressione che gli segna il volto: un dubbio, l'urgere di un pensiero, una sorta di diffidenza pronta a esplodere in rabbia ma tenuta a freno dall'incertezza. Le sue mani sono semi legate dietro le trasparenti cosce nerborute. Il gigante dà l'impressione di essere un grande prigioniero in catene -depositario di un potere misteriosamente frustrato o costretto ali' impotenza. Da lui emana una particolare aura di angoscia, debolezza e pericolo. La figura è patentemente una creatura mitologica o leggendaria, anche se un raffronto con il convenzionale ritratto in gesso nero del Pinney del 1830 (cfr. n.2 del catalogo) rivela una arcana somiglianza. Elizabeth scrive il 4 giugno 1845: "La mia anima l'ha riconosciuto prima dei miei occhi - in quella terribile sospensione che esiste fra realtà e sogno - un brivido d'orrore mi è passato per tutto il corpo - E. ha visto dentro la vera anima di W. - Non riuscii a guardarlo a lungo, ma me ne allontanai con un sentimento di paura". Benché Pinney rimanesse un incrollabile ammiratore dell'arte di Moorash, e un amico fedele sino alla fine- Moorash ebbe a dire che Pinney fu l'unico amico che aveva mai avuto - nondimeno l'amicizia fu soggetta, in modo pesante, a crisi e a malsane tensioni. Pinney aveva corteggiato Elizabeth Moorash senza avere successo; dopo una fase di conflitti interiori si era rassegnato a ricoprire, con una certa dose di benigna malinconia, il ruolo di amante respinto. Quando Moorash s'innamorò violentemente di Sophia Pinney nell'estate del 1843, William deve aver avuto la netta sensazione di assistere alla ripetizione quasi comica di un modello, compreso il rifiuto del corteggiatore. Con una differenza però, che non tardò a balzare agli occhi. Giacché, diversamente da Pinney, Moorash non era un uomo capace di rassegnarsi di buon animo ad 48 alcunché. Erano due temperamenti diversi. La passione di Moorash per Sophia, nonostante gli sforzi che egli faceva per non lasciarla trapelare onde poter continuare a godere della sua compagnia, continuava a essere forte, tormentosa, e ossessiva. Pinney, attento studioso degli umori di Moorash, fu dunque costretto a tollerare l'incessante percezione della soffocata passione dell'amico, della sua sofferenza e della sua delusione - e questo dallo stesso uomo che egli aveva parzialmente biasimato per il contegno che aveva saputo dare alla sofferenza e alla delusione. Per di più, la passione di Moorash avrebbe significato per William, qualora fosse stata ricambiata, la perdita della sorella, il che era un po' come sentirsi continuamente minacciato di furto. Nel frattempo il rapporto con Elizabeth stava conoscendo una nuova trasformazione. Quando il suo malessere, aggravandosi, si manifestò inesorabilmente, William riguadagnò la vicinanza della donna. Se ne stava spesso seduto accanto a lei per interi pomeriggi, mentre Moorash, profondamente grato all'amico, dipingeva nel fienile. La nuova vicinanza di William ad Elizabeth, però, riaccese l'antica fiamma del torto subito: William si convinse che Moorash fosse, lui più di ogni altra ragione, il vero responsabile della malattia di Elizabeth. Proprio così. Giacché, non è forse vero che se a Elizabeth fosse stato permesso, come scrisse Sophia in una lettera a Fanny Cornwell, di sbocciare a nuova vita come moglie e madre, di vivere un'esistenza slegata da quella del fratello, le avrebbe certamente arriso una vita ben più sana di quella che aveva prodotto le condizioni di "un innaturale attaccamento"? (Sophia sembra incapace di vedere se stessa e il fratello, ma d'altro canto ella aveva sempre tenuto a sottolineare la sua diversità: Elizabeth viveva permanentemente col fratello in un cottage isolato, mentre Sophia stava con William solo nei mesi estivi e viveva, oltretutto, per il resto dell'anno a Boston con una zia nubile.) La malattia di Elizabeth ebbe, tuttavia, un ulteriore effetto. Malgrado la sua apparente indifferenza, quando non addirittura ostilità, nei confronti di Moorash, Sophia era profondamente attenta agli umori di Elizabeth; e quando le emicranie di Elizabeth cominciarono ad aggravarsi, e la sua salute divenne più fragile, anche Sophia cominciò a patire acute, tormentose emicranie che la lasciavano prostrata per interi pomeriggi. William, che si ritrovava spesso a prendersi cura delle due donne, non poteva fare a meno di far risalire l'origine del male all'amico. Talora si domandava se non fosse suo preciso dovere proteggere Sophia dalla sofferenza di Elizabeth, e allora gli si destava dentro il desiderio di fuggire da tutto ciò, di sparire da qualche parte in un posto tranquillo, anche quando il suo cuore lo trascinava al fianco di Elizabeth. Turbamenti di tal fatta e tensioni così pericolose vanno naturalmente a ispessire l'oscura materia del ritratto di William Pinney, dato che, a sua volta, Moorash era sensibilissimo agli stati d'animo di Pinney e non gli devono essere sfuggiti i dubbi non detti e le mute disapprovazioni dell'amico. Il fatto di avergli mostrato il dipinto non dovrebbe esshe così sorprendente (il 14 agosto 1845): Elizabeth fu testimone dell'evento. Pinney osservò a lungo la tela in silenzio. Indi si voltò, lanciò a Moorash "uno sguardo che non saprei davvero descrivere, perché aveva ben poco di umano" e se ne andò via senza dire una parola. Fu l'unica volta in cui non seppe dire alcunché su un quadro dell'amico. Moorash, dal canto suo, si girò verso Elizabeth con uno sguardo di "rabbioso trionfo" e disse: "Visto? Colpito!".
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